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La ‘religione di Stato’ e la persecuzione delle minoranze

la libertà religiosa nel sistema costituzionale

3. La ‘religione di Stato’ e la persecuzione delle minoranze

Sino all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, in mancanza di una norma esplicita che riconoscesse a tutti gli individui il diritto di libertà religiosa, c’erano le norme derivanti dal Concordato del 1929 che assicuravano alla Chiesa cattolica uno spazio di libertà, nell’àmbito del quale i cattolici, in quanto agissero in armonia con la Chiesa, potevano riunirsi e svolgere l’attività di culto e di propaganda religiosa senza dover soggiacere a controlli governativi; dunque, sia pure in modo limitato solo ad alcune facoltà, essi godevano del diritto di libertà religiosa: basti ricordare, al riguardo, l’art. 1 Conc., il quale, fra l’altro, assicurava «alla Chiesa Cattolica il libero esercizio del culto», e l’art. 2, che sanciva la libertà di comunicazione e di corrispondenza fra la Santa Sede e i Vescovi, nonché analoga libertà, «per tutto quanto si riferisce al mini- stero pastorale», ai Vescovi nei rapporti con il clero e tutti i fedeli, e, inoltre, la libertà della Santa Sede e dei Vescovi di pubblicare i propri atti, anche per affissione alle pareti esterne degli edifici di culto e degli uffici.

tali diritti, sconosciuti alla generalità dei consociati dopo la soppressione delle libertà operata dal Regime fascista, erano riconosciuti in misura molto ridotta alle altre confessioni religiose: la legge n. 1159/1929 sui culti ammessi stabilì il principio della ammissibilità nello Stato di culti diversi da quello cattolico, purché non professassero principî e non seguissero riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume. ne deri- vava il potere discrezionale delle pubbliche autorità di limitare o interdire l’esercizio di un culto sulla base di valutazioni di merito23.

Per altro verso, venne limitato il proselitismo religioso, e ciò avvenne nonostante l’art. 5 l. n. 1159/1929 avesse riprodotto, con formula lievemente diversa, il principio già citato di cui all’art. 1 della legge delle Guarentigie, affermando che «la discussione in materia religiosa è pienamente libera». in realtà, sia il nuovo sistema di controlli giuri- sdizionalisti nei confronti dei culti ammessi, sia il clima di restrizione delle libertà civili, finirono col depotenziare le garanzie residue per le minoranze religiose, ivi compresa la libertà di discussione24.

23 Cfr. C. Cardia, Libertà di credenza, cit., p. 3, che ricorda come tale potere «venne effettivamente uti-

lizzato, quando con la circ. min. int. n. 600/158 (c.d. circ. Buffarini-guidi) del 9.5.1936, si vietò ogni forma di attività del Culto pentecostale, “essendo risultato che esso si estrinseca e concreta in pratiche religiose contrarie all’ordine sociale e nocive all’integrità fisica e psichica della razza” (il ministero degli interni confermò la vali- dità della circ. Buffarini-guidi il 6.3.1947 con altra circ. n. 001815/59168, lasciando intendere con ciò “che nel settore dei culti acattolici nulla era cambiato, o doveva cambiare”)».

24 Ibidem, p. 3: «già in seguito ad una controversia degli anni ’30, la Corte di appello di Roma ebbe modo

di distinguere la libertà di discussione dalla libertà di propaganda, sostenendo che “nelle discussioni si espon- gono le ragioni favorevoli e contrarie di un dato argomento per giungere a una conclusione, e non si fa opera di propaganda, mentre la propaganda include sempre il concetto di propagare la religione propria presso chi non ne ha alcuna o ne segue una diversa dalla propria”. e proseguiva affermando che “il principio della libertà religiosa dei culti ammessi nello Stato fu sempre ritenuto nel senso che la libertà di coscienza non può essere sottoposta ad alcuna sorveglianza finché non si esplichi con atti e manifestazioni esterne; ma quando l’esercizio della libertà suddetta, eccedendo dalla propria sfera d’azione o per altre ragioni, venga a costituire causa di gravi

L’attività di queste, anche riguardo al culto, era in più aspetti limitata dagli artt. 1 e 2 del r.d. 28 febbraio 1930, n. 289, anche se, a favore di esse, l’art. 3 attribuiva ai mini- stri di culto, la cui nomina fosse stata approvata dall’autorità governativa, la facoltà di affiggere alle porte esterne degli edifici destinati al culto (anch’essi autorizzati) «gli atti riguardanti il governo spirituale dei fedeli».

Col regime fascista, dunque, si assistette a una riconfessionalizzazione dell’italia e a una forte compressione del diritto di libertà religiosa degli appartenenti alle mino- ranze, soprattutto protestanti. Se la legge sui culti ammessi non appariva, dal punto di vista formale, particolarmente illiberale, erano presenti norme decisamente restrittive e repressive nel r.d. n. 289/1930, che prescriveva, per la legittimità del culto acattolico, che questo si svolgesse alla presenza di un ministro di culto approvato dal governo ed all’interno di un tempio la cui apertura fosse stata del pari autorizzata dall’autorità (la competenza era allora del ministero per la giustizia e per gli affari di culto, competenza che poi passerà a quello degli interni).

Poco tempo dopo il testo Unico di Pubblica Sicurezza (r.d. n. 773/1931) restringe- va ulteriormente la libertà di riunione e di culto delle minoranze religiose.

era frattanto entrato in vigore il Codice penale Rocco del 1930 che, pur accordando una certa protezione penale anche ai «culti ammessi», sanciva pene maggiori nel caso di turbamento delle cerimonie e di vilipendio di persone o cose della Chiesa di Stato e cioè della Chiesa cattolica, punendo pure, in forma esclusiva, il vilipendio di tale reli- gione (art. 402 c.p.) e la bestemmia «contro le divinità o i simboli o le persone venerate nella religione dello Stato» (art. 724 c.p.).

approfittando di queste disposizioni, le autorità di polizia iniziarono e portarono avanti una dura campagna contro alcune denominazioni protestanti (soprattutto i pen- tecostali) rendendo in pratica quasi impossibile l’esercizio del loro culto e costringendo parecchi fedeli all’emigrazione per poter professare in pace la loro religione; a ciò non erano peraltro estranee ragioni politiche, in quanto, nel clima di esaltata protesta con- tro le sanzioni imposte, dopo la conquista dell’etiopia, dalla Società delle nazioni su impulso angloamericano e

di progressivo avvicinamento alla germania, che porterà a quella follia politica ed a quel ‘monstrum’ giuridico che furono le leggi razziali che privarono gli ebrei non solo della libertà religiosa ma anche dei più elementari diritti umani, i protestanti, aventi le loro sedi di origine negli USa, erano visti spesso come spie o comunque elementi pericolosi e perturbatori dell’unità politica e religiosa dell’italia25.

Questa evoluzione storica e questa disciplina giuridica saranno quelle che, dopo il disastro bellico, l’assemblea costituente si troverà dinanzi nell’affrontare i temi

disordini, lo Stato ha l’obbligo d’intervenire, per tutelare che la libertà religiosa di ciascuno sia contenuta nei suoi limiti e non turbi quella degli altri”».

25 l. muSSelli, Libertà religiosa e di coscienza, cit., p. 220. Per una prospettiva di sintesi sul periodo esami-

nato e in merito al contenuto delle leggi razziali v. p. Caretti, I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, iii

riguardanti la libertà religiosa e i rapporti con le confessioni religiose: quanto precede consente di meglio comprendere

le innovazioni introdotte dalla Costituzione del 1947-48; la quale doveva reagire all’indirizzo confes- sionista del 1929 gettando le basi di uno Stato laico e pluralista, e insieme adeguarsi all’evoluzione dei sistemi di relazione tra Stato e Chiese dando nuova rilevanza sociale al fenomeno religioso in tutte le sue manifestazioni ed articolazioni26.

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