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Il dibattito ai tempi della Costituente: alla ricerca dell’original intent

la libertà religiosa nel sistema costituzionale

4. Il dibattito ai tempi della Costituente: alla ricerca dell’original intent

Come sottolineato da gianni Long in un importante studio, la tematica religiosa e soprattutto quella dei rapporti fra Stato e Chiesa cattolica,

portava con sé un confronto tra culture (politiche giuridiche e religiose) diverse: non si trattava tanto di ‘laici’ contro ‘clericali’, ma di un movimento di idee molti più vasto. esso coinvolgeva concezioni ideali della libertà (di stampo marxista, radicale, liberale, cattolico-sociale, cattolico-‘legittimista’) non meno che visioni giuridiche del rapporto Stato-Chiesa (separatismo, confessionismo, residui di giuri- sdizionalismo anticlericale, emergere del pluri-confessionalismo)27.

Fra i partiti politici, solamente la Democrazia cristiana presentava programmi dettagliati in materia: le Idee ricostruttive di De gasperi e gronchi e il Programma di

Milano di malvestiti, gonella e gronchi, per esempio28. essa quindi arrivò più prepa-

rata degli altri ai dibattiti sulla libertà religiosa, decisa a far passare la concezione che

26 C. Cardia, Libertà di credenza, cit., p. 3. Sulla condizione degli atei e dell’ateismo durante il regime

statutario si veda il Cap. i della fondamentale ricostruzione dello stesso autore, Ateismo e libertà religiosa nell’or- dinamento giuridico, nella scuola, nell’informazione, dall’Unità ai giorni nostri, Bari, De Donato, 1973, secondo il quale nel periodo liberale il sentimento e le idee ateistiche erano giuridicamente irrilevanti: «compresa nel più vasto concetto di libertà di manifestazione del pensiero, la tutela dell’ateismo era attualizzata in un contesto ideologico e normativo pluralista, senza per questo essere oggetto di una puntuale previsione legislativa … La vivacità poi del dibattito culturale e politico, che si svolgeva tra clericali, razionalisti e marxisti, l’orga- nizzazione di circoli e associazioni dei più diversi orientamenti, nonché il rispetto, sufficientemente rigoroso, della libertà di espressione confermerebbero che il principio della libertà di coscienza e di manifestazione del pensiero forniva, nel periodo liberale, adeguate garanzie per il dispiegarsi della dialettica religiosa in ogni sua dimensione» (pp. 25 e 26). L’autore continua sottolineando come, durante l’evoluzione storica, la carenza di di- sciplina legislativa abbia poi «di fatto legittimato un rapporto decisamente alterato tra la propagazione delle idee e degli orientamenti religiosi e di quelli areligiosi … sembra legittimo il sospetto che il principio del laissez faire, in questo come in altri campi, abbia comportato un pregiudiziale regime di favore per le Chiese» (p. 26); alla fin fine, dunque, «all’ateismo si riconobbe una mera tolleranza, presto trasformatasi in ostilità quando la funzione sociale della religione veniva riconosciuta meritevole di tutela» ed «esso fu emarginato in quei settori nei quali poteva rappresentare una reale alternativa opzionale per la coscienza individuale … la libertà religiosa e l’intero sistema di diritto ecclesiastico furono concepiti in funzione di una positiva regolamentazione del fenomeno religioso … Di ateismo non si parlerà più nei codici e nelle diverse leggi nazionali, mentre molteplici norme mireranno a tutelare e favorire, in un modo o nell’altro i valori della religiosità» (pp. 51 e 52).

27 g. long, Alle origini del pluralismo confessionale. Il dibattito sulla libertà religiosa nell’età della Costi-

tuente, Bologna, il mulino, 1990, p. 11.

rifiutava energicamente di considerare la religione come un fatto individuale e voleva la conformazione degli istituti alla possibilità per i cattolici di vivere in uno Stato che permettesse loro di conformare la vita pubblica e quella privata agli insegnamenti della Chiesa29.

Le posizioni del Partito liberale italiano sono difficilmente definibili con esattezza, per la presenza di numerose figure carismatiche portatrici di idee anche assai diverse e per la tendenza a non elaborare documenti sul tema, tanto che poi il gruppo liberale si spaccherà riguardo al voto sull’art. 730.

i repubblicani si presentavano invece come laicisti intransigenti, sulla base delle elaborazioni di Della Seta e Peyrot31, così come gli azionisti, gli unici a rimarcare con

decisione la via del diritto comune per regolare questa materia32.

Sul versante del Fronte popolare, ai socialisti, la cui posizione patrocinata da nenni era riassumibile in «uguaglianza di tutte le fedi davanti allo Stato che non ne abbraccia nessuna, ma rifugge dal dichiarato ateismo e dall’anticlericalismo; negazione dell’in- tolleranza in tutte le sue forme; negazione di una morale dello Stato diversa da quella che nasce dal consenso dei cittadini»33, faceva da contraltare la posizione molto più

sfumata del Partito comunista: il tema della libertà religiosa si fondeva, nella riflessione di questo partito, con quello dei rapporti Stato-Chiesa e P.C.i.-Chiesa, tanto da rende- re molto simile alla posizione democristiana quella dei comunisti (con l’assimilazione libertà religiosa-libertà della Chiesa). ma vi era comunque un contrasto, dal momento che non era accettabile la pretesa democristiana di poter far vivere i cattolici in uno Stato che rispettasse in tutto la loro concezione della vita privata e pubblica34.

Sul terreno delle confessioni presenti all’epoca, mentre da una parte la posizione del Vaticano era intransigente nel pretendere la menzione dei Patti in Costituzione e la fondazione in buona sostanza di uno ‘Stato cristiano’, le Chiese evangeliche, confor- memente alle loro strutture, non erano interessate a ottenere alcun regime particolare e, pur nell’esiguità della forza contrattuale a loro disposizione, erano orientate per il separatismo e l’abolizione di ogni regime concordatario, mentre le Comunità ebraiche, pur preferendo il regime di separazione, non avrebbero disdegnato nel caso in cui lo stesso non fosse realizzato, che i privilegi attribuiti alla religione di maggioranza fossero estesi anche a quelle di minoranza35.

29 Ibidem, pp. 45-47. 30 Ibidem, p. 49 e ss.

31 Ibidem, p. 85 e ss. non a caso Peyrot denunciava, in un articolo del 17 gennaio 1947: «l’errore dell’as-

semblea Costituente è stato quello di partire dalle questioni inerenti al rapporto Stato-Chiesa per giungere a quelle della libertà religiosa. il procedimento esatto avrebbe dovuto essere quello contrario: far derivare i concreti rapporti dal principio fondamentale» (p. 91).

32 Ibidem, p. 101. 33 Ibidem, p. 130.

34 Ibidem, p. 161. Per le posizioni degli altri partiti minori presenti alla Costituente v. i Cap. Vii e Viii. 35 Ibidem, v. rispettivamente il Cap. iX per la posizione della Chiesa cattolica, il Cap. X per quella delle

il lavoro di Long, accuratissimo, ha il pregio di far emergere le divergenze ideolo- giche che saranno alla base del compromesso costituzionale sul punto, ma tende forse poi a proiettare eccessivamente sull’analisi dei lavori preparatori i risultati dell’indagine precedente, enfatizzando oltremodo la prevalenza della posizione democristiana nella redazione delle disposizioni costituzionali. a livello interpretativo, però, sembra più corretto cercare di ricostruire l’original intent attraverso i soli lavori preparatori, cosa che si cercherà di fare nei paragrafi seguenti.

non è certamente questa la sede per dilungarsi sul dibattito dottrinale riguardante il valore da attribuire ai lavori preparatori36 e il loro peso all’interno delle dinamiche

dell’ermeneutica giuridica37. Basterà quindi chiarire la ragione di questa parte dell’in-

dagine, che è quella di cercare di mettere in evidenza come le disposizioni che appa- rentemente potrebbero far pensare, a causa di una formulazione a volte ambigua, o tecnicamente approssimativa, generata dalla necessità politica di arrivare a un compro- messo, a una specialità del fenomeno religioso, da tradursi poi in regime di privilegio per lo stesso, non appaiano supportate in realtà, nel complessivo pensiero del legislato- re costituente, da alcun manifesto intento del genere.

in definitiva, pur optando per la prevalenza dell’interpretazione sistematica e dell’interpretazione evolutiva nei processi ermeneutici, si ritiene utile la ricerca dell’o-

riginal intent per chiarire il più possibile ciò che i significanti non possono significare,

così da escludere tendenzialmente i significati incompatibili con esso (una funzione negativa, quindi) lasciando viceversa aperto il processo interpretativo verso tutti quegli approdi non escludibili sulla base dell’intenzione originaria e accessibili attraverso le altre due tecniche richiamate.

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