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Lo ‘svuotamento’ di significato

la libertà religiosa nel sistema costituzionale

7. Lo ‘svuotamento’ di significato

Un’altra strada per giungere alla completa riconduzione al diritto privato del feno- meno potrebbe essere quella indicata in parte da michele ainis: per l’autore l’art. 7 avrebbe dovuto essere considerato, innanzitutto, norma eccezionale, dal momento che il richiamo dei Patti finiva per infliggere una deroga ai principî costituzionali in materia religiosa. La regola avrebbe dovuto essere cercata «altrove, fuori da quella disposizione»; e a sua volta quella stessa disposizione avrebbe dovuto essere inter- pretata «in senso restrittivo, minus quam valeat, proprio a causa della sua qualità di deroga, di eccezione, di norma speciale e singolare». ma l’autore propone pure una diversa interpretazione, ossia l’art. 7 come «norma provvisoria» e «provvisoria in quan-

59 tali riferimenti sono tratti da un’ottima tesi di laurea, discussa da teresa Franza, con relatore il Prof.

Luigi Lombardi Vallauri, presso l’Università degli studi di Firenze nell’a.a. 2010-2011, intitolata Il neocostituzio- nalismo e l’ipotesi della dichiarazione di incostituzionalità di norme costituzionali, p. 104 e ss. La tesi si è aggiu- dicata il Premio di laurea dell’Unione degli atei e degli agnostici Razionalisti 2012 e può essere consultata nel sito dell’associazione stessa (www.uaar.it). in tale lavoro si è sostenuta la possibilità per la Corte costituzionale di giungere alla dichiarazione di incostituzionalità degli artt. 7 e 8 Cost. per contrasto con gli artt. 3 e 19 Cost.

to eccezionale: questo perché se la norma derogatoria ambisse a una durata illimitata diverrebbe regola a sua volta, sostituendosi alla norma generale». Con l’Accordo del 1984, con cui si è stipulato un nuovo concordato, il capoverso dell’art. 7 Cost. avrebbe cessato «d’esistere per estinzione del suo oggetto, al pari di una legge che protegga una specie animale ormai scomparsa»60. il nuovo concordato non godrebbe dunque della

copertura costituzionale e non potrebbe più essere utilizzato in senso privilegiario per la confessione cattolica, restando pienamente ammissibile, invece, una forma specifica di trattamento della Santa Sede in virtù del Trattato e delle necessità delle relazioni fra Stati. Peraltro, autorevole dottrina aveva già profilato una lettura nel senso della non giuridicità del regime pattizio, a prescindere dal destino dell’art. 7, comma 2, Cost.61.

nell’ottica della piena sostenibilità di tale posizione, non si concorda invece con l’altra proposta di ainis, ossia l’individuazione dell’art. 8 Cost. come la norma gene- rale a cui fare riferimento per la regolazione della materia, addirittura declinato come principio supremo: in primo luogo perché se, come sostiene correttamente lo stesso autore, «il riconoscimento dei Patti ha esercitato un effetto di trascinamento sulle altre disposizioni in materia religiosa» e da esso bisogna quindi muovere «per ricondurre ad unità il sistema, per scioglierne le contraddizioni», non si può puntare sulla disposizio- ne che più di tutte è stata originata dalla menzione dei Patti; in secondo luogo perché, secondo la ricostruzione proposta, la norma generale di riferimento non può che essere l’art. 19 Cost.

Si potrebbe in alternativa arrivare a sostenere, nell’ottica dello ‘svuotamento di significato’ che se l’art. 7, comma 2, ha «cessato d’esistere per estinzione del suo ogget- to», forse l’art. 8, commi 2 e 3, non è mai esistito, perché non potendo lo Stato definire cosa è confessione religiosa, viene meno la stessa possibilità di rendere operativa la disposizione, a meno di non ricorrere al criterio dell’autoqualificazione.

tutto questo, naturalmente, è sostenibile a livello teorico, ma, per un minimo ‘prin- cipio di realtà’ (il Concordato e le Intese esistono e difficilmente si potranno scalfire attraverso questa pur plausibile prospettazione), non ci si può arrestare a questo punto, pur essendo evidente che, ragionando rigorosamente, si potrebbe arrivare a un tale risultato di inoperatività delle parti delle due disposizioni indicate.

L’idea di ainis della carenza di copertura costituzionale dei nuovi accordi, comun- que, ha un certo seguito in dottrina62, ma si è pensato che la Corte costituzionale,

60 m. ainiS, Laicità e confessioni religiose, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, pp. 7-10 e in a. paCe

(a cura di), Annuario 2007. Problemi pratici della laicità agli inizi del xxI secolo, cit., pubblicato poi col titolo Chiesa padrona. Un falso giuridico dai Patti lateranensi a oggi, milano, garzanti Libri, 2009.

61 Cfr. P. Bellini, Natura ed efficacia dei concordati ecclesiastici, in id., Saggi di diritto ecclesiastico italiano,

Soveria mannelli, Rubbettino, 1996, p. 91 e ss., nonché id., Ipotesi non concordatarie di relazioni fra Stato e Chie-

sa, ib., p. 473 e ss.

62 Si vedano, da ultimo, le riflessioni di n. Colaianni, Laicità e prevalenza delle fonti di diritto unilaterale

sugli accordi con la Chiesa cattolica, in Pol. dir., 2010, pp. 194-195, secondo il quale occorre «prendere atto che da un quarto di secolo a questa parte quello specifico concordato ha cessato di aver vigore perché le sue disposi- zioni “non riprodotte nel presente testo sono abrogate” (art. 13.1 dell’accordo del 1984) e quelle asseritamente

richiamando la categoria dei principî supremi per decidere nella sentenza n. 203/1989, abbia implicitamente ammesso la stessa63. in realtà, come sottolineato da Colaianni,

non pare che l’invocazione del principio di laicità dello Stato sia da considerare deci- siva, dal momento che la Consulta lo ha utilizzato negli anni seguenti anche per giudi- care della costituzionalità della normativa unilaterale statale. Ci si troverebbe dunque di fronte a un’utilizzazione argomentativa dello stesso che non sarebbe probante per sostenere la copertura dell’Accordo del 198464. Se così fosse, però, la legge di esecu-

zione del nuovo concordato non avrebbe alcuna particolare forza passiva e potrebbe essere abrogata unilateralmente senza possibili problemi di incostituzionalità per la legge di abrogazione. Sembrerebbe crearsi una situazione di vantaggio per le ‘confes- sioni diverse dalla Cattolica’, dal momento che le leggi emanate sulla base delle Intese, invece, continuerebbero a godere di tale forza passiva (vantaggio che sarebbe ben più giustificabile di quello di cui gode da sempre la Chiesa cattolica, perché mirante a garantire soggetti deboli). ma lo stesso Colaianni sostiene che la legge di esecuzione dell’Accordo sarebbe oggi ‘coperta’ dall’art. 117, comma 1, trattandosi di obblighi internazionali65.

attraverso questa prospettazione, comunque, se non a uno ‘svuotamento’ vero e proprio del significato di tali disposizioni, si può giungere alla loro piena sindacabilità costituzionale e, quindi, alla possibile ‘riduzione’ del significato delle stesse66.

modificative in realtà “disciplinano l’intera materia”. esse, quindi, sono disposizioni nuove, fuori della coper- tura costituzionale assicurata dall’art. 7 cpv.: il quale ha esaurito perciò la sua funzione».

63 Così S. lariCCia, Coscienza e libertà, cit., p. 42: «molti avevano ritenuto che la funzione esercitata

dall’art. 7, 2° comma, non avrebbe potuto riguardare anche il testo del concordato revisionato, ma la sentenza afferma, senza offrire alcun argomento in proposito, la tesi della “copertura costituzionale” anche del nuovo accordo del 1984, un punto che avrebbe richiesto quanto meno un’adeguata valutazione».

64 n. Colaianni, Laicità e prevalenza delle fonti di diritto unilaterale, cit., p. 195 e ss. Secondo l’autore,

in realtà «si continua ad attribuire alla sentenza 203/89 più di quanto potesse tecnicamente dare una sentenza interpretativa di rigetto, con effetti vincolanti solo per il giudice a quo. il lungo excursus sul passaggio dallo Stato confessionista allo Stato laico, ivi contenuto, è un grandioso affresco storico, ma nell’economia della motivazione costituisce un obiter dictum. grazie al quale è stata possibile l’affermazione del principio di laicità come principio supremo, rivelatosi di straordinaria importanza nell’interpretazione non solo della normativa concordataria ma – trattandosi di un profilo della forma di Stato – dell’intero ordinamento giuridico. tuttavia il decisum è fondato alla stregua, necessaria e sufficiente (degli artt. 2 e 3, se si vuole, e) dell’art. 19 sulla libertà di coscienza, che, come la Corte aveva stabilito già un decennio prima, deve comunque restare “illesa” e che, come essa conferma nella 203/89, “deve essere conservata attenta al suo unico oggetto: l’esercizio della libertà costituzionale di religione”» (p. 197).

65 Ibidem, pp. 202-203, che così continua: «L’equiparazione delle norme dei nuovi accordi alle norme

CeDU permette di risolvere anche l’aporia cui, viceversa, potrebbe dar luogo la superiorità gerarchica, deri- vante dalla maggior forza di resistenza al contrasto con norme costituzionali, dei patti lateranensi (come delle norme comunitarie) rispetto alle norme CeDU: in caso di contrasto fra obblighi convenzionali ed obblighi concordatari, infatti, prevarrebbero questi ultimi, sicché paradossalmente, l’italia non potrebbe dar seguito, conformandovi il proprio ordinamento, a condanne della Corte europea dei diritti umani» (p. 205).

8. La ‘riduzione’ del significato e l’autoqualificazione

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