• Non ci sono risultati.

nella giurisprudenza costituzionale

3. Questioni tributarie

nel 1985 fu portata all’attenzione della Corte la questione dell’inVim, ossia l’im- posta incremento valore immobili: il giudice a quo sollevò la questione dubitando della legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, della l. n. 904/1977,

nella parte in cui limita l’esonero dall’imposta di cui all’art. 3 d.P.R. 26 ottobre 1971 n. 643 ai benefici ecclesiastici, escludendo dall’esonero stesso quelle istituzioni aventi personalità giuridica e dotazione patrimoniale immobiliare, che siano espressione o emanazione di confessioni religiose ammesse dallo Stato e diverse dalla religione cattolica59.

Sulla base degli artt. 3, 8, 19 e 20 si chiedeva l’estensione della norma di esenzione a tutte le istituzioni promananti dalle confessioni acattoliche.

La Consulta dichiarò l’impugnativa non fondata «in quanto le situazioni che si vorrebbero mettere a raffronto non sono per nulla omegenee … in tali circostanze, la sentenza di accoglimento additivo prospettata dal giudice a quo non troverebbe alcun fondamento nel principio generale d’eguaglianza»60.

escluse altresì la violazione degli altri parametri richiamati in maniera molto sbri- gativa ‘appoggiandosi’ anche alla ratio decidendi delle prime decisioni in materia di tutela penale del sentimento religioso:

Vero è che «il Costituente ha dettato negli artt. 7 e 8 Cost., rispettivamente per la Chiesa cattolica e le altre confessioni religiose, norme esplicite, le quali non ne stabiliscono la parità, ma ne differen- ziano invece la situazione giuridica, che è sì, di eguale libertà…, ma non di identità di regolamento dei rapporti con lo Stato» (cfr. la sent. n. 125 del 1957, come pure la s. n. 39 del 1965). ed è altret-

58 Per g. Di CoSimo, Coscienza e Costituzione, cit., p. 176, la novità in questa sentenza è rappresentata dal

fatto che essa specifichi come la laicità si opponga «anche all’attribuzione di poteri pubblici a istituzioni religio- se: volendo usare una espressione di sintesi (che forse ha il difetto di non essere tecnicamente inappuntabile), si potrebbe dire che la laicità si oppone alla “istituzionalizzazione” di organismi religiosi».

59 S. n. 86/1985, in Giur. cost., 1985, p. 576 e ss. Ritenuto in fatto, p. 580: «Secondo il giudice a quo, tale limi-

tazione realizzerebbe un’innegabile disparità di trattamento in danno di tutti gli enti delle confessioni religiose non cattoliche aventi identica struttura e finalità dei “benefici ecclesiastici”. Parallelamente, risulterebbero an- che vulnerate l’eguaglianza delle confessioni religiose e la libertà di religione, in quanto a trattamenti diversi non potrebbero non corrispondere possibilità diverse di professare le varie fedi».

60 Punto 2 del Considerato in diritto, pp. 582 e 583: «Come la Corte ha chiarito – da ultimo – nella sentenza

n. 108 del 1983, “le disposizioni legislative le quali contengono agevolazioni e benefici tributari di qualsiasi spe- cie… hanno un palese carattere derogatorio e costituiscono il frutto di scelte del legislatore…”; sicché la Corte stessa non può estendere l’ambito di applicazione, se non quando lo esiga la ratio di tali benefici. ma la ratio legis cui s’informa l’impugnata esenzione dall’inVim decennale concerne in modo esclusivo i benefici ecclesiastici e non si presta di certo ad inglobare istituzioni religiose o para-religiose del tutto diverse, sul tipo dell’Opera pia “FOa” e dell’asilo infantile “Levi”, collegati alla comunità israelitica di Vercelli e ricorrenti nei giudizi a quibus».

tanto vero che l’art. 19 Cost. riguarda la libertà di culto «come pura manifestazione di fede religiosa» (cfr. la sent. n. 59 del 1958): insuscettibile, dunque, di essere lesa dall’imposizione di un tributo quale l’inVim decennale, tanto più se si consideri che dal tributo stesso rimangono esenti, in particolar modo, gli «immobili destinati all’esercizio del culto»61.

Questa decisione si segnala, da una parte, per il netto arretramento della Corte nell’affermazione dell’eguaglianza in materia di libertà religiosa rispetto alle prime decisioni analizzate, nonché per un uso abbastanza ‘disinvolto’ di precedenti non specifici: sembra emergere quell’atteggiamento prudente nei confronti dei privilegi concessi alla Chiesa cattolica che non pare potersi giustificare sulla base delle diffe- renze presenti nei casi sottoposti al sindacato di costituzionalità62. e, ancora una volta,

occorre rimarcare che ogni trattamento di privilegio nei confronti di una confessione si traduce automaticamente in una deminutio nella posizione delle altre, nonché di quella riguardante tutti gli altri fenomeni associativi, specie quelli di ‘promozione sociale’.

Dopo un’ordinanza di inammissibilità in relazione alla questione dell’otto per mille63, nel 1996 fu invece sottoposta all’attenzione della Corte una questione, risolta

con la s. n. 178, riguardante il riconoscimento della spettanza della deduzione del reddito imponibile di una somma versata a favore della Congregazione dei testimoni di geova: la Commissione tributaria di milano sollevava questione di legittimità costi- tuzionale dell’art. 10 del D.P.R. n. 597/1973, nella parte in cui disponeva la deduci- bilità dal reddito, ai fini iRPeF, di erogazioni liberali a favore dei fedeli di quelle sole confessioni religiose che avessero stipulato un’intesa con lo Stato italiano64.

61 Punto 3 del Considerato in diritto, p. 584.

62 giudica invece ineccepibili le decisioni in materia di inVim n. Colaianni, Eguaglianza, non discrimi-

nazione, ragionevolezza, cit., pp. 74-75.

63 Ord. n. 539/1995, in Giur. cost., 1995, p. 4467 e ss. La questione venne dichiarata inammissibile per

carenza della motivazione sulla rilevanza «Considerato che le norme censurate non sono impositive, ma sono esclusivamente dirette a regolare la destinazione delle somme che siano state percepite dall’erario a titolo di im- posta sul reddito delle persone fisiche ed in forza della disciplina di questa; che l’ordinanza della Commissione rimettente non offre alcuna motivazione in ordine alla circostanza che dalla caducazione della disposizione cen- surata possa conseguire per il contribuente la possibilità di ottenere il rimborso della quota riferibile all’otto per mille dell’iRPeF pagata, circostanza che essa sola assicurerebbe la rilevanza dell’incidente di costituzionalità».

64 S. n. 178/1996, in Giur. cost., 1996, p. 1635 e ss., con osservazione di a. guazzarotti, L’«inammissibile»

eguaglianza. Diritto ecclesiastico e tecniche legislative di privilegio, per il quale «apparentemente anche l’oggetto della questione in esame … rientra nella legislazione di diritto comune, non introdotta in forza di intese con le confessioni acattoliche. ma la disposizione impugnata altro non è che un articolo del testo unico delle imposte sui redditi che, nel disciplinare una serie di oneri deducibili ai fini dell’iRPeF, rinvia a quelle norme delle leggi in base all’intesa che stabiliscono la deducibilità delle erogazioni liberali in danaro, fino all’importo di due mi- lioni di lire, a favore di determinate confessioni … non sussiste alcuna previsione generale di un requisito forma- le, quale l’intesa, per poter fruire del beneficio … Così, diversamente dal primo caso, se una confessione avesse stipulato l’intesa senza la previsione di quel beneficio … la norma in questione non attribuirebbe alcunché» (p. 1645). Proprio per la diversità del caso l’autore critica l’ordinanza di rimessione del giudice a quo, che avreb- be dovuto argomentare in maniera più adeguata il motivo per cui si chiedeva l’applicazione della ratio decidendi della sentenza precedente.

il giudice a quo indicava come parametri gli artt. 2, 3, 8, 19 e 53 della Costituzione, ma in sostanza mirava a far applicare la ratio della s. n. 195/1993 anche al caso in questione65.

La Corte, operando attraverso la tecnica della distinzione, dichiarava la questione inammissibile:

alla stregua, quindi, della stessa impostazione della questione di costituzionalità come proposta dal giudice rimettente, deve constatarsi che in ogni caso la possibilità di prendere in esame la necessi- tà di estendere alle confessioni senza intesa la attribuzione di un beneficio, che in ipotesi si assumesse essere allo stato illegittimamente limitato alle sole confessioni con intesa, è in limine preclusa dalla

mancanza di quella “disciplina, posta da una legge comune, volta ad agevolare l’esercizio” del diritto di libertà religiosa, quale è la disciplina cui ha avuto riguardo la sentenza n. 195 del 199366.

Si potrebbe però con molta facilità replicare alla Corte considerando la questione dal punto di vista dell’eguaglianza dei singoli individui «senza distinzione di religio- ne»: perché mai solamente i cittadini che si riconoscono nelle confessioni che hanno stipulato un’intesa con lo Stato che abbia previsto la deducibilità fiscale delle somme versate possono usufruire della stessa? ne deriva chiaramente un deficit di eguaglian- za e quindi di libertà nella destinazione del proprio danaro. e, poi, è giustificabile la differenziazione in questa materia fra fenomeni associativi di matrice religiosa e altri fenomeni promananti dal libero sviluppo della personalità di ciascun singolo individuo? non sembra davvero possibile riscontrare alcun legame tra deducibilità dal reddito e specificità di culto che possano giustificare deroghe al diritto comune67.

Così facendo, il giudice delle leggi finiva nella sostanza per legittimare

l’ingiustificata specializzazione di materie di ius commune, attraverso «tecniche legislative di privile- gio» mirate, forse non consapevolmente ma certo efficacemente, a rendere impossibile un’applica- zione estensiva in favore di soggetti affini delle disposizioni promozionali, che di specifico rispetto alla identità confessionale interessata non hanno nulla, se non l’essere state «contrattate»,

dando così il beneplacito a «vere e proprie “nicchie”, al riparo dalla Costituzione e dal

65 Punto 1 del Ritenuto in fatto, p. 1637: «in particolare la Commissione rimettente – nel richiamare la

sentenza n. 195 del 1993 con cui questa Corte ha dichiarato illegittimo, per violazione degli artt. 8, 19, 2 e 3 della Costituzione, l’art. 1 della legge della Regione abruzzo … nella parte in cui limitava l’accesso ai contributi per la realizzazione degli edifici di culto alla Chiesa cattolica e alle sole altre confessioni religiose, i cui rapporti con lo Stato fossero disciplinati ai sensi dell’art. 8 … – rileva che le diverse confessioni religiose, purché non contrarie all’ordinamento italiano, hanno tutte pari diritti nei confronti dello Stato e delle altre istituzioni pubbliche. altresì i singoli individui hanno pari diritto di abbracciare liberamente la propria fede religiosa e di esercitarne il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume. Quindi … risulta viziata di incostituzionalità ogni norma che crei discriminazioni tra le varie confessioni religiose o tra i cittadini ad esse fedeli e che, anche solo indirettamente, incida sulla loro pari dignità e libertà».

66 Punto 5 del Considerato in diritto, p. 1641 (corsivo aggiunto).

67 a. guazzarotti, L’«inammissibile» eguaglianza, cit., p. 1656, giustamente sottolinea come «Con riguar-

do proprio alla materia dell’autofinanziamento, viene da chiedersi in cosa si distinguono le confessioni religiose dai sindacati, dai partiti politici o dalle associazioni latu sensu umanitarie. tanto più che non si tratta di un esercizio di libertà da parte della confessione – organizzazione, bensì dei singoli fedeli».

suo Custode ultimo»68, e ridimensionando in tal modo la portata delle affermazioni

contenute nella s. n. 195/1993 che sembrava invece chiaramente orientata nel senso di ‘confinare’ la legislazione pattizia in funzione derogatoria dell’eguaglianza all’interno di ristretti, determinati e determinabili àmbiti di competenza.

atteggiamento simile si manifestò nuovamente l’anno successivo, quando fu ripro- posta alla Corte la questione dell’inVim già decisa con la s. n. 86/1985: il giudice

a quo dubitava della legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, l. n. 904/1977

e dell’art. 45 l. n. 222/1985

nella parte in cui dichiarano esenti dall’inVim periodica i soli immobili appartenenti ai benefici ecclesiastici, agli istituti diocesani ed all’istituto centrale per il sostentamento del clero, quale che ne sia la destinazione ed utilizzazione, escludendo invece dall’agevolazione quegli stessi immobili se ap- partenenti ad istituzioni aventi personalità giuridica e dotazione patrimoniale che siano espressione o emanazione di confessioni religiose ammesse dallo Stato e diverse dalla religione cattolica69.

i parametri richiamati erano gli artt. 3, 8, 19, 20 e 53, e il rimettente, allo scopo di indurre la Consulta a modificare la precedente giurisprudenza, così da addivenire a una pronuncia che ristabilisse l’eguaglianza di trattamento, sottolineava come

non è di ostacolo a una siffatta operazione la particolare natura delle disposizioni cui si fa riferimen- to, poiché la norma di derivazione pattizia non può creare situazioni privilegiarie in settori nevralgici

della uguaglianza formale, della libertà e della parità di trattamento di tutte le confessioni religiose e dell’eguale obbligo di contribuzione («ovvero esonero») a parità di capacità contributiva; tutti principi,

questi, riconosciuti come supremi dall’ordinamento e non suscettibili di deroghe, nemmeno da parte di norme di derivazione pattizia70.

68 Ibidem, p. 1659, che conclude rimarcando che così facendo, la Corte non sembra essere interessata «a

dare effettività a quelle fondamentali prescrizioni d’uguaglianza, celandosi dietro il formalismo di discutibi- li pronunce d’inammissibilità». in senso critico cfr. anche n. Colaianni, Eguaglianza, non discriminazione,

ragionevolezza, cit., p. 79, secondo cui questo caso di inammissibilità rientra «nell’ampia categoria di pronunce di inammissibilità motivate unicamente dalla circostanza che non è stato invocato un tertium appropriato o omogeneo: ma questo apprezzamento dipende solo dall’interpretazione perché in fondo si può sempre trovare un tertium per invocare una disuguaglianza. il che aggrava l’anomalia per cui con il tertium comparationis si finisce per affidare al legislatore ordinario, piuttosto che ad una rigorosa giurisprudenza costituzionale, la scelta dell’elemento normativo di confronto per giudicare la costituzionalità della norma in esame». Particolarmente critico si mostra anche g. CaSuSCelli, Le fonti (pattizie) del diritto ecclesiastico nella giurisprudenza della Corte

costituzionale, cit., p. 41, secondo cui «il ricorso all’espediente di predisporre discipline unilaterali di favore irragionevolmente applicabili alla Chiesa cattolica … ed alle altre confessioni i cui rapporti fossero regolati per legge sulla base delle intese di cui all’art. 8 della Costituzione, ha trasformato il diritto comune in un diritto, di fatto, “para-pattizio” ed in buona sostanza “speciale”, esempio paradigmatico del decadimento di una tecnica legislativa che finisce con lo sconvolgere gli stessi criteri interpretativi, ed insieme di violazione dei principi co- stituzionali che, per ripetitività e diffusività, sembra assumere il carattere di una sospensione o revisione tacita della nostra Carta».

69 S. n. 235/1997, in Giur. cost., 1997, p. 2228 e ss., con osservazione di a. guazzarotti, L’esenzione

dall’INVIM decennale in favore degli Istituti per il sostentamento del clero: un privilegio in cerca di giustificazione. Punto 1 del Ritenuto in fatto, p. 2231.

il giudice delle leggi, però, dopo aver escluso di trovarsi di fronte a una normativa pattizia e aver rimarcato che ci si trovava di fronte a norme legislative unilaterali dello Stato71, dichiarò non fondata la questione alla stessa stregua della decisione preceden-

te, ossia sulla base della distinzione fra la struttura degli istituti per il sostentamento del clero e quella delle Comunità ebraiche72, che rendeva impossibile il giudizio di

eguaglianza e giustificato quindi il trattamento diversificato73.

Come è stato fatto notare, la decisione è criticabile perché, a differenza della pre- cedente, si limita a dichiarare il beneficio fiscale tecnicamente non estensibile, senza giustificarne il fondamento:

il dato rilevante è, infatti, che solo la Chiesta cattolica ha la possibilità di ottenere una agevola- zione fiscale per immobili di sua proprietà, anche se destinati a produrre reddito. Che poi questo reddito sia istituzionalmente destinato al sostegno economico dei ministri di culto non fa retrocedere la sperequazione nell’irrilevanza giuridica. Ossia non fornisce un’adeguata giustificazione della ‘de- roga’ al principio di eguaglianza74.

Conclusioni

al termine di questa lunga analisi, non resta che fare un bilancio di quanto è emer- so: quanto al momento individuale della libertà che stiamo analizzando, nonostante le naturali oscillazioni proprie di ogni giurisprudenza, possono essere individuate

71 in particolare la Corte sottolinea come «il richiamo della disciplina contenuta nella legge dello Stato [da

parte della disciplina pattizia] non determina una novazione della fonte e una trasformazione in normativa pat- tizia, non essendosi mai dubitato della disponibilità della disciplina dell’inVim da parte del legislatore statale» (Punto 3 del Considerato in diritto, p. 2238). Valorizza questo inciso a. guazzarotti, L’esenzione dall’INVIM

decennale in favore degli Istituti per il sostentamento del clero, cit., p. 2249, secondo cui «l’affermazione di prin- cipio fatta dalla Corte è importante, poiché conferma, implicitamente, quanto sopra prospettato, ossia che certe materie, anche se contenute in discipline pattizie, restano d’esclusiva pertinenza statale».

72 Punto 4 del Considerato in diritto, p. 2239: «Pertanto, agli istituti per il sostentamento del clero deve ri-

conoscersi la natura di enti strumentali ad hoc della Chiesa cattolica, con personalità giuridica nell’ordinamento dello Stato, mentre le Comunità ebraiche sono, innanzitutto, comunità sociali che organizzano ed esprimono l’insieme degli interessi religiosi, culturali e assistenziali qualificanti la loro identità».

73 Ibidem, p. 2240: «Quella anzidetta costituisce una differenza di natura soggettiva direttamente collegata

alla diversità delle funzioni e della destinazione oggettiva dei beni e ciò impedisce di addivenire a una pronun- cia d’incostituzionalità, equiparatrice delle diverse situazioni. Una pronuncia che determinasse l’estensione dell’esenzione, come richiesto dal giudice rimettente, avrebbe infatti come conseguenza … che l’esenzione totale dell’inVim periodica finirebbe per riguardare beni immobili delle Comunità ebraiche destinati anche a finalità diverse dal sostentamento dei ministri del culto ebraico: una conseguenza eccedente la portata della norma di esenzione assunta come temine di comparazione nel giudizio di uguaglianza.

74 Così a. guazzarotti, L’esenzione dall’INVIM decennale in favore degli Istituti per il sostentamento del

clero, cit., pp. 2250-2251, che continua: «il diritto statuale ha registrato il dato della trasformazione dell’ordi- namento canonico, che è passato dal sistema “beneficiale” a quello degli istituti per il sostentamento del clero. Lo ha fatto mediante formazione pattizia coordinando la propria legislazione a quella dell’ordinamento confessio- nale interessato. ma ciò lascia impregiudicata la decisione di agevolare in modo privilegiato tale forma di “autoso- stentamento” scelta dalla Chiesa rispetto a quella delle altre confessioni. Se è discutibile la richiesta di estendere ad altre confessioni tale beneficio, resta da dimostrare perché solo la Chiesa cattolica debba poterne usufruire».

due grandi fasi nella giurisprudenza della Corte: una prima fase in cui il giudice delle leggi ha dato una definizione riduttiva dell’eguaglianza dei singoli in materia di libertà religiosa utilizzando il criterio quantitativo (ossia l’adesione alla confessione cattolica della maggioranza del popolo italiano) per giustificare le discriminazioni esistenti, ad esempio in materia di tutela penale del sentimento religioso, e in cui ha lasciato sostanzialmente priva di tutela la dimensione ‘negativa’ della libertà religiosa, ad esem- pio in materia di giuramento nei processi civile e penale. La Consulta in questa fase è sembrata essere più preoccupata di non incorrere in ‘reazioni politiche’ piuttosto che di affermare pienamente i principî costituzionali in materia, attendendo sempre evoluzioni del mondo politico e sociale e del quadro normativo che rendevano poi inevitabile mutare giurisprudenza.

La lettura in senso ‘discriminatorio’ delle disposizioni costituzionali che tutelano l’eguaglianza nella libertà religiosa, appoggiata su considerazioni di carattere quantita- tivo e culturale, che nel susseguirsi delle motivazioni delle decisioni diviene a mano a mano sempre più sfumata portando all’emersione del ‘sentimento religioso individua- le’ come bene costituzionalmente tutelato da tali norme, è stata messa in crisi irreversi- bilmente dalla svolta rappresentata dalla s. n. 117/1979, quando il giudice delle leggi ha operato un trasparente overruling, mettendo in discussione e superando sia la pre- cedente dottrina in tema di libertà religiosa, comprendendovi finalmente e pienamen- te anche l’individuo non religioso, sia il criterio quantitativo utilizzato in precedenza per giustificare la diversità nella tutela penale del sentimento religioso individuale. gli effetti di tale svolta sono poi divenuti evidenti a partire dalla s. n. 203 del 1989, attraverso la quale la Consulta ha ‘scoperto’ il principio di laicità dello Stato75 (anche

se in via di obiter dictum in una sentenza interpretativa di rigetto), qualificandolo altresì come principio supremo. non si può mancare di osservare che questa decisione è stata presa dopo l’Accordo del 1984 e dopo l’avvio della ‘stagione delle Intese’, argomento che può concorrere a dimostrare come, in questo settore delle libertà costituzionali, la Corte abbia sempre preferito attendere gli sviluppi sociopolitici, piuttosto che antici- parli e indirizzarli nel senso della pienezza dell’espansione dei principî costituzionali. La giurisprudenza dell’ultimo ventennio è stata poi contrassegnata, oltre che dalla valorizzazione sempre più profonda del principio di eguaglianza in materia di libertà religiosa, anche dall’utilizzazione molto ‘disinvolta’ del principio di laicità dello Stato76.

75 in materia di laicità la bibliografia è sterminata (se ne può avere contezza scorrendo la rassegna biblio-

grafica presente nel sito del Prof. Lariccia, www.sergiolariccia.it): per un primo approccio al tema, con ampi ragguagli bibliografici, cfr. C. Cardia, Stato laico, in Enc. dir., vol. XLiii, milano, giuffrè, 1990; F. Rimoli, Lai-

cità (dir. cost.), in Enc. giur., Roma, istituto della enciclopedia italiana, 1995. Sulla laicità in generale v. aa.VV.,

Outline

Documenti correlati