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La libertà religiosa come libertà ‘oggettivamente privilegiata’

la libertà religiosa nel sistema costituzionale

2. La libertà religiosa come libertà ‘oggettivamente privilegiata’

altra parte della dottrina, invece, basandosi sulla menzione specifica del fenome- no caratterizzato in senso religioso contenuta nell’art. 19 Cost., ha sostenuto che tale libertà sarebbe ‘privilegiata’ rispetto a quelle sancite in particolare dagli artt. 17, 18 e 21 Cost., non essendo dunque sottoponibile ai limiti posti da tali disposizioni: si è pen- sato, cioè, che la libertà religiosa fosse una libertà disciplinata da norme costituzionali speciali e più favorevoli18.

ma, come dimostrato in maniera convincente da Francesco Finocchiaro, non sembra dubitabile che lo svolgimento delle riunioni e l’esercizio del diritto d’associazione per scopo di religione o di culto ricadano nella generale disciplina degli artt. 17 e 18 Cost.19,

così come non è dubitabile che spettacoli o altre manifestazioni del pensiero caratteriz- zate in senso religioso siano soggette ai limiti generali previsti dall’art. 21 Cost.20.

18 Cfr. p. giSmondi, L’interesse religioso nella Costituzione, in Giur. cost., 1958, p. 1221 e ss., in particolare

p. 1232. in maniera molto più sfumata sembra attribuire alla libertà religiosa una posizione oggettivamente privilegiata (in rapporto alla libertà di manifestazione del pensiero) S. FoiS, Principi costituzionali e libertà di

manifestazione del pensiero, milano, giuffrè, 1957.

19 F. FinoCCHiaro, Art. 19, cit., p. 296: «Quanto alle riunioni in luogo pubblico, sia perché l’avviso all’au-

torità di polizia – che non implichi il rilascio di un’autorizzazione – non importa una limitazione di libertà, bensì può consentire all’autorità stessa di proteggere convenientemente la manifestazione, sia perché, riguardo all’applicazione dell’art. 17, il peso che l’opinione criticata attribuisce al silenzio sulle riunioni dell’art. qui esaminato sembra eccessivo. invero, escluso che le riunioni in materia di religione o di culto siano disciplinate dall’art. in esame e negata l’applicazione dell’art. 17, il fenomeno sarebbe disciplinato – per il riferimento contenuto nella norma qui considerata alla professione di fede in “forma associata” - dalle norme sulle as- sociazioni, che concernono un fenomeno diverso. tali norme, d’altronde, sono applicabili alle associazioni con fine di religione o di culto, perché escludono che occorra una qualche autorizzazione per la costituzione di esse e perché proibiscono quelle associazioni che, pur perseguendo tali fini, volessero rimanere segrete. infine, sembra da negare che la libertà religiosa abbia natura privilegiata perché il legislatore avrebbe voluto “accordare una sfera di libertà particolarmente rigida alla professione delle convinzioni religiose”. Difatti, una tal esigenza sarebbe comune all’esercizio di tutte le libertà che dessero luogo a manifestazioni verso l’esterno, sicché verrebbe meno il motivo per differenziare la tutela costituzionale della libertà religiosa da quella delle altre libertà che dessero luogo a manifestazioni verso l’esterno e, in particolare, dalla tutela della libertà di manifestazione del pensiero».

20 in dottrina, venne sostenuto che la non menzione nell’art. 19 dei limiti previsti dall’ultimo comma

dell’art. 21 sottraesse le manifestazioni cultuali a quei controlli preventivi che, invece, sono ammissibili per gli spettacoli: ma è evidente la confusione concettuale di un tale parallelo. Per attribuirsi un oggettivo privilegio alla libertà religiosa si sarebbe dovuto sostenere che la caratterizzazione in senso religioso degli spettacoli non consentisse un controllo preventivo, cosa che evidentemente non può sostenersi. Per quanto riguarda le riunioni a scopo di culto, la disciplina non può che essere quella generale promanante dall’art. 17, così come il fine di

non può che ribadirsi quanto già ricordato in precedenza, ossia che l’esistenza di una norma apposita a garanzia della libertà religiosa va ricercata «non nel fatto che questa sia una libertà privilegiata, bensì in ragioni d’ordine storico, remote e recenti»21.

a fronte di ciò, continuano a essere avanzate in dottrina ricostruzioni che fanno riferimento, senza mai definirne o quasi il concetto e la conseguente portata normativa, al c.d. favor religionis, inteso quasi sempre in senso oggettivo, ossia come privilegio per il fenomeno religioso. Dalla Costituzione si evincerebbe nella sostanza una valutazione di meritevolezza che caratterizzerebbe il nostro ordinamento nel senso della ‘laicità positiva’, rendendo legittimi tutti i privilegi che il legislatore volesse attribuire ai feno- meni sociali caratterizzati dal fine religioso.

Ora, che l’ordinamento possa considerare meritevoli tali fenomeni non vi è dubbio, ma ciò non è certo giustificabile in virtù di tale presunto favor, bensì in ragione del fatto che ogni fenomeno associativo promanante dal libero sviluppo della personalità di ogni singolo individuo che non sia impedito dalla legge penale deve essere, nel nostro ordinamento, considerato passibile di apprezzamento22. Certo, sarà poi il potere

politico a decidere, di volta in volta, in ragione della valutazione della rilevanza quanti- tativa sottesa alle varie fenomenologie sociali come ripartire le risorse per forza di cose non infinite, ma ciò non potrà avvenire a senso unico e sulla base di una precostituita valutazione di meritevolezza di un ‘pensiero’ (nel caso in questione, quello di matrice religiosa) rispetto a un altro23.

religione non può certo consentire associazioni contrarie alla legge penale o di carattere segreto o militare. Dal che si desume che non vi è alcuna deviazione dai limiti previsti in generale dagli artt. 17, 18 e 21. in senso conforme cfr. S. lariCCia, Coscienza e libertà, cit., p. 134, per il quale i problemi che riguardano i diritti di liber-

tà, con riferimento alle riunioni, alle associazioni, alla manifestazione del pensiero, all’informazione in materia religiosa «si ricollegano naturalmente alle disposizioni costituzionali che prevedono e garantiscono tali diritti».

21 Così F. FinoCCHiaro, Art. 19, cit., p. 297. molte perplessità desta invece l’inciso successivo di questo

autore, il quale afferma: «escluso che la libertà religiosa sia una libertà privilegiata in sede costituzionale, è tuttavia possibile chiedersi se essa non sia privilegiata in sede di legislazione ordinaria». mentre è evidente che, se la Costituzione esclude una dimensione privilegiaria, ciò che la legge disponesse in tal senso sarebbe incosti- tuzionale.

22 Secondo a. C. Jemolo, Lezioni di diritto ecclesiastico, V ed., milano, giuffrè, 1979, p. 161, «l’espressione

favor religionis appare pericolosa, perché può favorire il trapasso all’idea di una preferenza dell’ordinamento giuridico accordata al soggetto religioso rispetto a quello che non sia tale»; egli rimarca poi che sono motivi storici e pratici a portare verso eventuali trattamenti di favore (portando l’esempio delle attività sportive, «per cui dall’esame del diritto positivo può ravvisarsi un favore»), concludendo infine che «si potrà, sì, rinvenire un apprezzamento del valore del fatto religioso, assimilabile ad altri fini considerati favorevolmente, come la cultu- ra, come la beneficenza» (p. 163).

23 Cfr. C. Cardia, Ateismo e libertà religiosa, cit., p. 88, secondo il quale «Se uguaglianza sta a significare

anzitutto impossibilità di discriminazioni per chiunque, a seguito di opinioni politiche, religiose, di differenza di sesso, di razza, etc., il termine dignità sociale è di per sé più completo ed atto ad intendere il diritto di ciascuno a godere della medesima considerazione da parte del legislatore il quale si impegna a non parteggiare, in alcun modo, per alcuna fazione, nella quale i cittadini si dividano … le libertà civiche sono state recepite e tutelate dalla Costituzione in quanto espressioni di una autonoma determinazione individuale, e nel momento stesso in cui si fa garante della loro attuazione, lo stato non formula alcun apprezzamento sui risultati ai quali l’uso di dette libertà può recare. affermare che i cittadini hanno pari dignità sociale senza distinzione di religione vuol

Diversamente ragionando, si finirebbe per alterare la pari dignità sociale degli indi- vidui, che comporta naturalmente la pari dignità delle forme di pensiero degli stessi e delle forme associative in cui, eventualmente, tale pensiero si può estrinsecare. Sulla base dell’art. 3 Cost. è invece possibile asserire che lo Stato si deve porre «come garante di una vita civile e sociale pluralista e competitiva e vede nel pluralismo ideologico e nel confronto dialettico condizioni necessarie per lo sviluppo della persona umana», dal momento che i cittadini possono godere di pari dignità sociale solo se le loro opzioni, di qualunque segno, sono ritenute ugualmente idonee alla formazione della personalità. Di conseguenza, se non viene attribuito «alcun valore, positivo o negativo, alle opinio- ni, politiche o ideali, religiose o filosofiche, nessuna ideologia può aspirare ad alcun cenno di preferenza da parte dello stato, delle sue leggi e dei suoi organi». e la laicità dello Stato, «intesa come garanzia di imparzialità nel confronto ideologico, assurge ad autentico valore costituzionalmente rilevante»24.

non sono mancate poi anche definizioni piuttosto ambigue del favor religionis, che non appaiono utili a livello ermeneutico e sembrano viziate da aporie logiche: secondo giuseppe Dalla torre, l’autore più citato da coloro che richiamano tale concetto, si tratterebbe di

una espressione con la quale non si vuole certo dire – come forse inteso in un primo tempo da una par- te della dottrina costituzionalistica ed ecclesiasticistica – che l’ordinamento manifesta un disfavore per la non credenza, quale risposta dell’uomo agli interrogativi ultimi; né tantomeno con essa si vuole dire che l’ordinamento favorisce una espressione, fra le tante, del fenomeno religioso. Ciò in quanto – come si vedrà – entrambe queste risposte risulterebbero incompatibili con la qualificazione che lo Stato ha inteso dare di sé, con l’avvento della Costituzione repubblicana, in materia ideologica e religiosa.

Con l’espressione favor religionis si intende dunque

fare riferimento al fatto che il Costituente ha voluto riservare una peculiare attenzione al fatto reli- gioso, sia esso considerato sotto il profilo individuale che sotto quello collettivo, sia esso visto nella sua

dimensione positiva che in quella negativa. insomma il fatto religioso ha una particolare rilevanza sul

piano costituzionale perché il Costituente, nella valutazione della molteplicità di situazioni soggettive, nonché dei rapporti fra gruppi e dei rapporti fra il cittadino – singolo od associato – e lo Stato, ha discrezionalmente ritenuto quelle qualificate nel senso religioso meritevoli di specifica tutela25.

significare che tutte le opinioni in materia religiosa sono degne del medesimo rispetto, da parte delle leggi come degli organi dello stato». Occorre avvertire, però, che il Prof. Cardia nell’ultimo decennio ha maturato delle idee molto diverse, manifestatesi, oltre che nella produzione scientifica più recente, nel passaggio, come edito- rialista, da «l’Unità» ad «avvenire» e nelle recenti prese di posizioni a favore dell’esposizione del crocifisso, di cui la memoria presentata in sede di appello alla grande Camera della C.e.d.u. nel Caso Lautsi, supportata dalla ampia e appassionata indagine contenuta in C. Cardia, Identità religiosa e culturale europea. La questione

del crocifisso, torino, allemandi, 2010, rappresenta soltanto l’ultima manifestazione. Rimane lecito, una volta avvertito il lettore di ciò, preferire le idee espresse nel passato da tale autore e, naturalmente, utilizzarle ai fini che interessano questo lavoro.

24 Così C. Cardia, Ateismo e libertà religiosa, cit., p. 89.

25 g. dalla torre, Il fattore religioso nella Costituzione, torino, giappichelli, 1995, pp. 28 e 29 (corsivo

Come si è visto, invece, dai lavori preparatori sembra emergere come non vi fosse nessun intendimento in tal senso, essendo ben altre le motivazioni che portarono alle formulazioni costituzionali (spesso in gran parte frutto di casualità), e dalla Costituzio- ne come testo non si può evincere alcuna specifica tutela che non sia già conseguibile attraverso le restanti affermazioni di libertà. gli stessi artt. 7 e 8, testualmente, non dicono nulla, riferendosi solo ai ‘rapporti’ fra Stato e Chiesa e fra Stato e confessioni: è stata la loro lettura a partire dai privilegi incostituzionali contenuti nel Concordato (e poi ripetuti nelle Intese) a far assumere al sistema una ‘coloratura promozionale’, non certo il testo costituzionale preso in se stesso.

non si capisce poi l’utilità di una tale nozione di favor nei confronti di un fenomeno subito contraddetta affermando che si ricomprende nella tutela anche la negazione del fenomeno stesso: è evidente che parlare di favor religionis potrebbe avere senso solo qualora si ritenesse che l’ordinamento considerasse con disfavore ciò che non rientra nella fenomenologia favorita. Se poi s’intendesse la nozione nel senso che sembra emergere dalle parole di Dalla torre in senso rigoroso, si dovrebbe dare accesso a tutti i privilegi dati oggi alle confessioni religiose pure a una associazione, ad esempio, come l’Unione degli atei e degli agnostici Razionalisti, mentre tutti coloro che si richiamano a tale favor negano la possibilità per tale associazione di accedere all’Intesa e con essa a tali privilegi. Questa versione apparentemente più ‘morbida’ della libertà religiosa come libertà ‘oggettivamente privilegiata’ pare servente al tentativo di giustificare privilegi, specie quelli di natura fiscale, che, incostituzionalmente, a tutt’oggi vengono concessi al solo fenomeno religioso.

Si badi bene poi: anche a estendere le misure di privilegio ai fenomeni associativi espressivi di convinzioni ateistiche o filosofiche, si avrebbe comunque la violazione della pari dignità sociale dei singoli, dal momento che talune forme associative sarebbe- ro privilegiate rispetto ad altre sulla base del ‘pensiero’ che si annida dietro ad alcune, giudicate più meritevoli. Cosa che sembrerebbe contrastare con l’impianto costituzio- nale basato sulla pari dignità di ogni singolo individuo (quindi di ogni singola coscienza individuale) ex art. 326.

- m. oliVetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, Vol. i, torino, Utet, 2006, p. 181, secondo il quale

lo Stato laico, «nel non negare la dimensione religiosa e spirituale dell’uomo e della vita, valuta positivamente il fenomeno religioso ponendolo su un piano di rilevanza non inferiore rispetto a tutti gli altri fattori sociali che contribuiscono alla crescita individuale e collettiva dell’uomo, ed all’affermazione e all’espansione della sua stessa personalità. Così, lo Stato non si limita a garantire formalmente la libertà e il pluralismo religioso, ma si attiva, anche sostanzialmente, mediante una serie di interventi propulsivi». Come dall’affermazione «ponendolo su un piano di rilevanza non inferiore rispetto a tutti gli altri fattori sociali» si possa giungere a giustificare un trattamento privilegiario, addirittura caratterizzato nel senso degli «interventi propulsivi», del fenomeno reli- gioso, è un mistero logico che chi scrive non riesce a comprendere.

26 in questo senso sembra muoversi g. leziroli, Aspetti della libertà religiosa, cit., p. 93, secondo il quale

«il costituente ha, infatti, semplicemente preso atto di una pluralità di fenomeni religiosi, non sentendosi, per altro, impegnato (e competente) ad effettuare una scelta in merito; egli, anzi, valuta il fenomeno religioso non diversamente da altri fenomeni socialmente rilevanti: essi vengono visti come manifestazioni, nei più diversi campi, di un pluralismo considerato come efficace fattore di crescita civile».

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