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L’art 1 dello Statuto albertino e il suo superamento legislativo

la libertà religiosa nel sistema costituzionale

1. L’art 1 dello Statuto albertino e il suo superamento legislativo

nonostante l’affermazione contenuta nell’art. 1 dello Statuto albertino, secondo cui «La Religione Cattolica, apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi», lo Stato liberale sardo-piemontese si caratterizzò nel senso di una forte laicizzazione del proprio ordina- mento giuridico4: già nello stesso anno di emanazione della carta costituzionale,

la Legge Sineo del 19.6.1848, n. 735, volle togliere ogni dubbio sulla capacità civile e politica dei cit- tadini che non professavano la religione cattolica stabilendo, in un articolo unico, che la differenza di

culto non forma eccezione al godimento dei diritti civili e politici ed all’ammissibilità alle cariche civili e militari. al tempo stesso, con Lettera-patente del 18.2.1848, e con r.d. del 29.3.1848, n. 688, si legitti-

mavano Valdesi ed israeliti ad agire liberamente ed a fruire, al pari degli altri cittadini, dei diritti civili e politici5.

nonostante queste norme di notevolissima importanza, che venivano a tutelare il singolo rispetto a discriminazioni per motivi religiosi, la tolleranza verso le minoranze religiose, i loro ministri e i loro fedeli fu, soprattutto per quanto riguarda i protestanti, decisamente molto ristretta, anche per la persistenza in vigore delle norme del Codice penale albertino, severissime nel proteggere la religione cattolica da ogni offesa o attac- co, fosse pure sul piano meramente ideologico6.

Sotto il governo d’azeglio furono poi approvate nel 1850 le leggi Siccardi, che comportarono una forte laicizzazione dell’intero ordinamento statutario. Concepite inizialmente come un unico provvedimento normativo destinato a definire i rapporti tra Chiesa e Stato, spezzando in modo definitivo quel connubio trono-altare che aveva

ampia bibliografia) e, più in generale, C. gHiSalBerti, Storia costituzionale d’Italia 1848/1994, Bari, Laterza,

2002.

4 Scrive F. FinoCCHiaro, Libertà di coscienza e di religione, in Enc. giur., Roma, istituto della enciclopedia

italiana, 1990, p. 1: «agli albori della formazione dell’unità d’italia, l’art. 1 dello Statuto albertino, 4 marzo 1848, sembrava voler dare all’ordinamento un’impronta confessionista in senso cattolico e, perciò, limitatrice della libertà delle minoranze religiose, le quali avrebbero potuto godere della mera tolleranza. ma il coevo riconoscimento dei diritti civili e politici degli appartenenti a tali minoranze (lettera patente 17 febbraio 1848, n. 673; r.d. 29 marzo 1848, n. 688; d. luog. 15 aprile 1848, n. 700; l. 19 giugno 1848, n. 735) e l’interpretazione restrittiva dell’idea di religione di Stato prevalsa negli anni successivi, fecero evolvere l’ordinamento in senso liberale nei confronti delle confessioni religiose di minoranza, sicché il codice penale del 1889, agli artt. 140-142, garantiva la libertà di tutti “i culti ammessi nello Stato”, senza alcuna discriminazione. tanto che, tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, la dottrina poteva identificare nella disciplina data dall’ordinamento italiano alla libertà religiosa la già menzionata figura del diritto pubblico soggettivo».

5 C. Cardia, Libertà di credenza, in Enc. giur., Roma, istituto della enciclopedia italiana, 1990, p. 2 (cor-

sivo dell’autore).

6 Cfr. l. muSSelli, Libertà religiosa e di coscienza, in Dig. disc. pubbl., iX, torino, Utet, 1994, p. 217, se-

condo il quale tale situazione, connotata anche dall’atteggiamento ridigo e «apertamente repressivo della magi- stratura piemontese, spesso roccaforte di conservatori e tradizionalisti, era destinata a durare un decennio fino all’emanazione del Codice Penale per gli Stati Sardi del 20-11-1859, che pur conservando una tutela privilegiata per la religione di Stato proteggeva, anche al semplice livello dell’oltraggio, tutti i culti “tollerati” nel regno».

caratterizzato sino al 1848 la Restaurazione nel regno subalpino, esse si concretizzarono nell’iter parlamentare in tre distinti disegni di legge7.

Con queste leggi, oltre all’abolizione del foro ecclesiastico – consistente nel diritto di cui godevano i sacerdoti di essere giudicati, per i loro reati, da tribunali ecclesiastici, sottraendosi a quelli civili – e del diritto di asilo che veniva attribuito a coloro che si rifugiassero nelle chiese e nei luoghi di culto, vennero limitate le pene fino allora pre- viste per l’inosservanza delle festività religiose e, soprattutto, fu vietato agli istituti e ai corpi morali, sia ecclesiastici sia laici, di acquistare immobili e di accettare donazioni, e lasciti testamentari, senza autorizzazione regia e senza un obbligatorio parere del Consiglio di Stato8.

La politica di stampo cavouriano, tendente a realizzare le condizioni per una ‘Libe- ra Chiesa in libero Stato’9, nonostante lo scacco subito con la bocciatura del disegno

di legge per l’introduzione del matrimonio civile nel 1852, continuò anche negli anni seguenti: nel 1855, superata la c.d. crisi Calabiana, venne tolta dal bilancio la posta di circa un milione che fino ad allora vi era comparsa come contributo dello Stato alle spese di culto; ciò comportò «la necessità di redistribuire le rendite ecclesiastiche e quindi di riordinare la proprietà della Chiesa»10.

7 Cfr. C. gHiSalBerti, Storia costituzionale d’Italia, cit., p. 65, che sottolinea poi un aspetto molto in-

teressante della questione dal punto di vista del diritto costituzionale: all’approvazione delle ‘leggi Siccardi’ sarebbe in buona sostanza dovuta la trasformazione della forma di governo statutaria in senso parlamentare, dal momento che d’azeglio «nella polemica con la destra clericale aveva operato fondandosi esclusivamente sull’appoggio parlamentare, evitando di compromettere la corona. La vasta maggioranza che nelle due Camere aveva suffragato l’azione azegliana di approvazione delle leggi Siccardi era destinata a dare ormai una base diversa all’esecutivo i cui ministri, in avvenire, non potranno più sottrarsi all’appoggio e alla convalida del loro operato da parte del Parlamento. Così, alla sostanza liberale data all’ordinamento statutario con la nuova rego- lamentazione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica si univa anche l’avvio di quel regime parlamentare che caratterizzerà l’intero svolgimento della vita pubblica nei decenni successivi» (pp. 66 e 67).

8 Ibidem, p. 66, secondo cui si trattava di norme che «facevano fare un grande passo avanti alla società

piemontese, ancora per troppi aspetti attardata su quelle posizioni ancien régime dalle quali la trarrà fuori definitivamente il successivo governo cavouriano». L’autore ricorda pure come «l’estrema fermezza dimostrata dal ministero nel persuadere la Camera elettiva e il Senato alla loro approvazione e la necessaria durezza nella repressione dell’insurrezione clericale, spinta fino all’arresto di due arcivescovi e di alcuni sacerdoti che aveva- no assunto un deciso atteggiamento eversivo, furono prove qualificanti per il ministero e aprirono una nuova pagina della storia d’italia».

9 Per il pensiero del Conte di Cavour in materia di libertà religiosa, nonché di rapporti tra Stato e Chiesa,

si vedano i suoi discorsi parlamentari più famosi: cfr. C. BenSodi CaVour, Stato e Chiesa, Firenze, Ponte alle

grazie, 1992, a cura di p. alatri. Lo stesso alatri, nell’introduzione, ricorda come già dietro alle ‘leggi Siccardi’

ci fosse la regia di Cavour che, dopo aver suggerito la nomina a ministro del Conte giuseppe Siccardi, aveva ottenuto il suo primo grande successo parlamentare proprio con il discorso su tali leggi (p. 10).

10 p. alatri, Introduzione, in C. BenSodi CaVour, Stato e Chiesa, cit., p. 16 che sottolinea come «con l’in-

ventario … e con il progetto di legge per la soppressione di monasteri e il miglioramento della condizione dei parroci poveri, la politica ecclesiastica cavouriana toccò l’apice del radicalismo». Per alatri, con il superamento della ‘crisi Calabiana’, conseguente alla manovra monarchico-clericale che cercò di far cadere il governo per impedire l’approvazione della legge di soppressione dei conventi, l’affermazione del sistema parlamentare che si era delineato a partire dalle ‘leggi Siccardi’ divenne definitiva.

Un’ulteriore tappa del processo di svuotamento dell’art. 1 dello Statuto fu rappre- sentata dalla legge Casati del 1859, con la quale venne riformato in modo organico l’in- tero ordinamento scolastico, dall’amministrazione all’articolazione per ordini e gradi alle materie di insegnamento, confermando la volontà dello Stato di farsi carico del diritto-dovere di intervenire in materia scolastica a fianco e in sostituzione della Chiesa cattolica che da secoli deteneva il monopolio dell’istruzione11.

nel decennio che porta dalla proclamazione dell’unità d’italia da parte del primo Parlamento nazionale (27 gennaio 1861) all’ingresso dei bersaglieri a Porta Pia (20 set- tembre 1870), di fondamentale importanza fu l’ampio dibattito parlamentare svoltosi a proposito della liquidazione dell’asse ecclesiastico, che investiva non soltanto il fatto meramente tecnico-giuridico della regolamentazione dei beni della Chiesa, ma anche il problema della natura stessa dell’ordinamento italiano: si trattava di scegliere

tra una forma giurisdizionalista laica legata ad antichi postulati di ordine regalistico nei confronti della Chiesa cattolica, o una sorta di separatismo garantista nel quale vi fosse spazio per un’ampia libertà di quella come delle altre confessioni praticate dalle minoranze religiose12.

La crisi del governo Ricasoli causata proprio da questo disegno di legge ne rimandò l’approvazione, che avvenne dopo le elezioni il 15 agosto 1867 e comportò la soppres- sione delle corporazioni religiose, nonché la devoluzione allo Stato del patrimonio ecclesiastico13.

Del principio confessionale formalmente ispiratore dell’ordinamento era dunque rimasto in piedi, in pratica, solamente il ricorso ai riti cattolici nelle cerimonie ufficiali, restando Chiesa e Stato nettamente separati in una specie di giurisdizionalismo atte- nuato ed accettato di fatto dalla stessa Chiesa, e lasciandosi massima libertà a tutte le confessioni14.

11 È da notare, però, che tale legge (n. 3725/1859) rendeva obbligatorio l’insegnamento della religione

cattolica nei ginnasi, nei licei, negli istituti tecnici e nelle scuole elementari; e che l’art. 149 del regolamento di attuazione (r.d. n. 4336/1860) disponeva la presenza del crocifisso in ogni classe. Richiamano questo dato n. Colaianni, Il crocifisso in giro per l’Europa: da Roma a Strasburgo (e ritorno), in www.statoechiese.it (novem-

bre 2010), p. 2, e p. CaVana, I simboli religiosi nello spazio pubblico nella recente esperienza europea, in www.

statoechiese.it (1° ottobre 2012), p. 5 e ss.

12 C. gHiSalBerti, Storia costituzionale d’Italia, cit., p. 131.

13 Ibidem, p. 132, la legge, «redatta in base a una visione meramente finanziaria del problema e a una impo-

stazione chiaramente giurisdizionalista, ebbe un’importanza enorme. eliminando, infatti, vastissimi patrimoni terrieri ritenuti in base a una tradizione di origine feudale praticamente inalienabili, contribuì alla laicizzazione della società italiana, rafforzando nella sua consistenza patrimoniale parte di quella borghesia agraria che ne rappresentava allora la salda base politica e che in concreto ebbe possibilità di acquistare i beni appartenenti alla manomorta ecclesiastica. La legge rifletteva così l’ideologia della classe dominante ed appariva del tutto coerente con lo stesso svolgimento del Risorgimento italiano».

14 Cfr. C. laVagna, Istituzioni di diritto pubblico, cit., p. 127, che ricorda la necessità dell’exequatur e del

placet regio richiesti per la pubblicazione e l’esecuzione degli atti delle autorità ecclesiastiche, parzialmente abo- liti più tardi dalla legge delle Guarentigie. Per n. Colaianni, Il crocifisso in giro per l’Europa, cit., p. 3, «mentre

sul piano dei diritti civili, politici, finanche di proprietà, lo Stato italiano affermò la sua piena giurisdizione, ispi- rata ai principi del separatismo tipico degli stati liberali, senza concessioni alle pretese ecclesiastiche, sul piano

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