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La libertà religiosa come libertà ‘soggettivamente privilegiante’

la libertà religiosa nel sistema costituzionale

1. La libertà religiosa come libertà ‘soggettivamente privilegiante’

Un primo gruppo di autori nei primi anni ’50 profilò una lettura della disposizione e del sistema che faceva riferimento a una sorta di ‘privilegio soggettivo’ attribuito dall’ordinamento al ‘sentire religioso’; lettura che potrebbe oggi, dopo un’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale più che cinquantennale, apparire fantasiosa, quando non bizzarra, ma che all’epoca dette invece luogo a un acceso dibattito dottrinale.

La ricostruzione proposta da agostino Origone6 mirava ad affermare che il diritto

di libertà religiosa avesse come oggetto il bene giuridico della fede e quindi la pro-

2 V., per es., nella dottrina costituzionalistica, m. oliVetti, Incostituzionalità del vilipendio della religione

di Stato, uguaglianza senza distinzioni di religione e laicità dello Stato, in Giur. cost., 2000, p. 3978, secondo il quale «gli artt. 7 e 8 veicolano piuttosto l’idea che lo Stato italiano – pur nel quadro della essenziale e priori- taria garanzia della libertà di religione, inclusiva, ovviamente, della libertà di non professare alcuna religione – sia ispirato ad un generale favor religionis e la posizione differenziata riconosciuta alla Chiesa cattolica lascia supporre che, in tale contesto di favore, un favor del tutto particolare debba riguardare la confessione religiosa tradizionalmente praticata dalla maggioranza degli italiani».

3 Come evidenziato da d. loprieno, La libertà religiosa, cit., p. 129, la sensazione «che si prova a scorrere

la manualistica di settore, ma soprattutto indugiando sulla politica ecclesiastica italiana, è che le disposizioni della Costituzione repubblicana maggiormente valorizzate siano quelle relative ai rapporti tra Stato e confessio- ni religiose (artt. 7 e 8 Cost.) mentre un “ruolo quasi attratto o quasi derivato” viene riservato alla libertà religio- sa dei singoli». L’autrice fa pure notare come, nonostante fosse «opinione abbastanza condivisa che intenzione dei Costituenti (al di là delle motivazioni politico-ideologiche e dei vincoli più o meno stretti con le gerarchie vaticane) fosse non la costituzionalizzazione tout court dei Patti e la non parificazione, quanto ad efficacia e valo- re, delle sue disposizioni con le norme della Costituzione. Cionondimeno, già all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione vi fu una grande profusione di tesi dottrinarie accomunate, forse, dall’unica caratteristica di voler smentire il senso con cui la disposizione costituzionale era stata “negoziata” fra i Costituenti» (p. 81). Stessa constatazione è quella di un ecclesiasticista come Pierluigi Consorti, che si è opposto a questa tendenza pubblicando un manuale che è impostato, anche nella successione dei capitoli, sulla valorizzazione innanzitutto della libertà individuale: cfr. p. ConSorti, Diritto e religione, cit., p. 11, secondo il quale la dottrina sarebbe

«rimasta avvinta all’albero del concordato, che effettivamente prima della Costituzione rappresentava la gran parte del diritto ecclesiastico».

4 S. lariCCia, Coscienza e libertà, cit., pp. 67-68, faceva notare la necessità di un’interpretazione evolutiva

della disposizione, sottolineando «l’omissione di qualunque riferimento al diritto di dissenso e alla libertà di co- scienza del dissenziente in tema di religione, che … ha consentito ad una parte della dottrina di ritenere esclusa dalla protezione dell’art. 19 cost. la libertà di ateismo».

5 Così S. Ferrari, Libertà religiosa individuale ed uguaglianza delle comunità religiose, cit., p. 3085. 6 Cfr. a. origone, La libertà religiosa e l’ateismo, in Annali Triestini, trieste, 1950, sez. i, vol. XX.

tezione della vita religiosa da attentati nei confronti della stessa, cosa che induceva questo autore a considerare illecita ogni forma di ‘ateismo attivo’: l’insidia alla fede altrui avrebbe costituito perturbazione non solo della libertà del singolo, ma anche dell’ordine pubblico.

inoltre, il riconoscimento di tale libertà avrebbe fornito il soggetto religioso del diritto di osservare le norme religiose prescelte «anche in quelle situazioni e in quei rap- porti che sono materia dell’ordinamento statuale», perché «libertà giuridica» è «libertà dell’intransigenza» e diritto di libertà religiosa equivale a «garanzia dell’intransigenza religiosa»7.

in buona sostanza, secondo tale autore la libertà religiosa si sarebbe tradotta in una garanzia del fenomeno religioso nei confronti della libertà di manifestazione del pensiero, di cui costituiva un limite, e nella possibilità di seguire i dettami della propria coscienza: posizione, a pensarci bene, non così tanto fuori moda visti i recenti ‘ritorni’, manifestatesi per esempio in sede O.n.U., verso tendenze di pensiero tese a criminaliz- zare quelle espressioni che si considerano blasfeme, e visti i pressanti inviti all’obiezione di coscienza su tutte le materie c.d. ‘sensibili’ che oggigiorno vengono rivolti persino ai giudici dello Stato italiano.

non giova indugiare oltre, comunque, sul pensiero di questo autore, mentre è utile richiamare le critiche che a lui furono rivolte, che interamente si sottoscrivono: sotto il profilo dei limiti alla libertà di manifestazione del pensiero, si replicò che «da un buon secolo dove passarono regimi liberali la libertà religiosa non fu che un aspetto della libertà di opinione e di affermare ciò che si crede»8, per cui sarebbe quanto meno

curioso voler trarre dall’affermazione di essa la possibilità nella sostanza di autolimi- tarsi9; sotto quello invece del diritto all’intransigenza, si sottolineava «la gravità della

tesi, perché nell’inevitabile urto delle intransigenze dei cittadini, appartenenti alle varie confessioni religiose, resterebbe compromessa la pace politica»10, argomento che,

nell’odierno proliferare delle c.d. ‘nuove religioni’, dovrebbe consigliare coloro i quali spingono in questa direzione, con il richiamo a generalizzate e generalizzabili obiezioni

7 Ibidem, p. 72.

8 a. C. Jemolo, Le libertà garantite dagli artt. 8, 19 e 21, cit., p. 405.

9 Per a. raVà, Contributo allo studio dei diritti individuali e collettivi di libertà religiosa, cit., p. 51, «il signi-

ficato dell’art. 19 è da ricercarsi, non già in una particolare condizione che si sia inteso riservare al sentimento religioso, tale da trasformare la libertà religiosa in un bene davanti al quale soccombe – in certi casi – la stessa libertà di manifestazione del pensiero affermata dall’art. 21; tale significato riposa, all’opposto, sulla consacrata volontà di garantire ai cittadini, in modo inequivocabile, ed “allo stesso modo come lo sono gli altri diritti di libertà”, anche la libertà religiosa in tutte le sue estrinsecazioni».

10 Così g. Catalano, Il diritto di libertà religiosa, cit. p. 11: «ne deriverebbe, fra l’altro, che, in nome di

tale intransigenza, un gruppo di mormoni, installatosi in italia, potrebbe a giusto titolo pretendere che i propri fedeli contraggano nozze poligamiche, giusta i precetti della propria credenza, mentre seguaci d’altre bizzarre sette pseudo-cristiane potrebbero chiedere di astenersi dal prestare il servizio militare o dal pagare le imposte». a parte il non condivisibile tono spregiativo sulle credenze altrui, l’autore coglie nel segno del problema, chia- rendo molto bene come una tale concezione della libertà religiosa non possa che portare alla frantumazione dell’ordinamento giuridico in tanti ordinamenti particolari.

di coscienza, di valutarne con un po’ più di serietà i rischi per la tenuta dell’ordina- mento giuridico e con esso del principio di eguaglianza, oltreché della pace sociale11.

Un altro autore che in quegli anni sostenne una tesi assimilabile a quella appena esa- minata fu guido Saraceni12, in un’indagine che trascendeva nei suoi risultati il campo

specifico della libertà religiosa e investiva il più vasto problema dei rapporti e dei col- legamenti tra ordinamenti giuridici originari13: egli sosteneva che tale libertà avrebbe

avuto, oltre alla tradizionale caratterizzazione negativa, anche un contenuto positivo che si sarebbe tradotto in una forma di speciale collegamento tra l’ordinamento con- fessionale e l’ordinamento statuale, determinato dal volontario comportamento dei soggetti del diritto di libertà religiosa, che sarebbe consistito nel diritto di adempiere i doveri derivanti dalla propria norma etica o religiosa14.

Queste due ricostruzioni, dunque, pur nelle differenze di impostazione, asserivano che a) attraverso tutte le libertà e in particolare attraverso quella di coscienza, si sarebbe garantito al soggetto il diritto di fare il proprio dovere, di uniformarsi alla norma etica prescelta, e b) che lo Stato, concedendo la libertà religiosa, non potesse pensare a qual- cosa di diverso che a una immedesimazione fra soggetto e ordinamento ecclesiastico, e che, di conseguenza, tale libertà si sarebbe estrinsecata sempre come un complesso di azioni che si svolgono entro un corpo o un’istituzione religiosa.

La matrice teista e la forzatura dei dati di diritto positivo sulle quali queste tesi si basavano era (ed è) evidente, ma, nonostante la confutazione cui le stesse sono state in maniera convincente sottoposte – teorie che scambiano «la libertà giuridica (che è assenza di vincoli) col volontario assoggettamento a dei vincoli» disse gaetano Catala- no15 – e nonostante tali tesi siano state smentite dalla ricostruzione della libertà religio-

11 in merito a questi problemi si vedano le acute considerazioni di d. merCadante, Obiezione di coscienza:

chiarificare l’estensione di una categoria del ragionamento giuridico per evitare la deriva di una sua utilizzazione impropria, in www.forumcostituzionale.it. Per una recente prospettazione e una completa bibliografia in materia v. d. pariS, L’obiezione di coscienza. Studio sull’ammissibilità di un’eccezione dal servizio militare alla bioetica,

Bagno a Ripoli (Fi), Passigli editori, 2011.

12 g. SaraCeni, Libertà religiosa e rilevanza civile dell’ordinamento canonico, in Dir. eccl., 1954, i, p. 196

e ss.

13 il giudizio è di g. Catalano, Il diritto di libertà religiosa, cit., p. 5.

14 g. SaraCeni, Libertà religiosa e rilevanza civile, cit., p. 256, secondo cui «se la libertà morale general-

mente considerata si concepisce solo come adesione finale ad una legge, ciò, a maggior ragione, potrà dirsi della libertà religiosa, che, per quanto di natura personalissima, esprime, normalmente adesione … ad una istituzio- ne».

15 g. Catalano, Il diritto di libertà religiosa, cit., p. 10 (si veda comunque tutta la disamina critica effettua-

ta dall’autore a partire da p. 7). Cfr. anche F. FinoCCHiaro, Art. 19, in g. BranCa (a cura di), Commentario della

Costituzione, Bologna – Roma, zanichelli – Soc. ed. del Foro italiano, 1977, p. 246, secondo il quale queste tesi, «sebbene ampiamente argomentate, mostrano di obliterare il dato offerto dal vigente ordinamento costituzio- nale: sia dalla norma in esame, la quale salvaguarda il diritto del singolo a non essere vincolato da alcuna norma di carattere religioso, sia da quelle già ricordate degli art. 3, 17, 18 e 21, che assicurano a tutti, e in particolare a tutti i cittadini, di riunirsi, organizzarsi, manifestare le proprie idee, quali che esse siano. inoltre, se è vero che la nostra Costituzione, attraverso l’art. 2, nonché attraverso la stessa norma qui esaminata e quelle degli art. 7, 8, 17 e 18, abbandonando i modelli ottocenteschi, tutela la libertà religiosa anche come diritto dei gruppi sociali,

sa, specie nei tempi più recenti, operata dalla Corte costituzionale, è sembrato doveroso analizzarle per dimostrare come l’ambigua formulazione delle disposizioni costituzio- nali possa fornire il destro a interpretazioni totalmente ideologizzate, che finiscono per negare il principio che con quegli articoli si intendeva affermare.

il richiamo di taluni brani dell’ultimo autore da inserire in questo filone di pensiero, Pietro De Luca, tralasciando il fondamentalismo che come un fiume carsico emerge qua e là, all’improvviso, fra le pagine della sua opera16, ci consente di riassumere la

posizione comune di questi autori: per essi la Costituzione

parla sempre di libertà religiosa in senso attivo: in relazione alla posizione di atti di culto od alla scelta tra le varie Confessioni religiose od all’attività da parte delle singole persone o delle Confessioni stesse esercitabile in rapporto alla loro organizzazione interna ed al loro ministero;

il contenuto diretto e specifico proprio del diritto di libertà religiosa consiste dunque nella facoltà del soggetto di agire secondo la propria retta coscienza in materia religiosa; facoltà che lo Stato è tenuto a tutelare non solo negativamente, mediante la proibizione e la cessazione di qualunque intrusione, coazione, impedimento o turbamento, meno che per ragioni di buon costume o di ordine pubblico, ma anche positivamente, mediante la predisposizione e la messa in opera dei mezzi richiesti per il retto, tranquillo e proficuo esercizio del diritto stesso;

nel diritto di libertà religiosa è

inclusa anche la facoltà giuridica di omettere atti religiosi, ma non quella di compiere atti irreligiosi, perché ogni diritto soggettivo include sia la facoltà di esercitare il diritto stesso, sia quella di non eser- citarlo … ma non la facoltà di usare la propria cosa in modo antisociale, cioè contro il bene altrui, sia pubblico che privato17.

non v’è dubbio, però, che, ove sorga un conflitto tra l’adesione al gruppo e l’interesse del singolo alla propria libertà, la Costituzione dà la prevalenza a quest’ultimo, avendo posto “in primo piano i diritti fondamentali della persona”».

16 Cfr. p. de luCa, Il diritto di libertà religiosa nel pensiero costituzionalistico ed ecclesiastico contemporaneo,

milano, giuffrè, 1969, p. 156, dove si legge: «L’ordinamento giuridico tutela cioè, nel diritto di libertà religiosa, gli atti umani mediante i quali si può attingere la perfezione umana e sociale nei rapporti con Dio, e perciò gli atti liberi religiosi, non gli atti coi quali ci si allontana, individualmente o collettivamente, da Dio e si bestem- mia Dio, ossia irreligiosi od antireligiosi, e quindi non la mera libertà astratta da qualunque contenuto, come forma pura, ma in quanto ha un contenuto speciale, perfezionante la persona umana e la società, e precisamente religioso, perfezionante l’uomo in ordine a Dio». a p. 362 si legge invece: «i discepoli e le istituzioni autoritative della vera religione hanno in sé il potere di esercitare sempre e dovunque e di rivendicare verso tutti il loro di- ritto di libertà religiosa, in quanto diritto oggettivamente vero, fondato su di un titolo reale ed assoluto, e quindi possono, per sé, realizzarlo legittimamente e lecitamente anche contro l’ingiusto impero dello Stato, mentre il diritto di libertà religiosa dei seguaci dei falsi culti, in quanto oggettivamente infondato e per sé indebito, non può attuarsi contro il giusto comando dello Stato tutelante i buoni costumi ed il bene comune. inoltre questo di- ritto positivo di libertà degli erranti nella religione sussiste fin quando perdura l’esigenza del bene comune che giustifica la sua concessione, e cessa, per sé, quando cessa tale esigenza, mentre il diritto di libertà religiosa dei professanti la vera religione è per natura sua inestinguibile ed insopprimibile, come la stessa verità e l’esigenza umana e sociale della verità, della quale esigenza esso è conseguenza ed espressione personale e sociale».

in sintesi, dunque: il nostro ordinamento, per questi autori, sarebbe caratterizzato dal favor religionis, inteso sia in senso soggettivo – cioè privilegio per gli individui religiosi che accederebbero alla possibilità di una generalizzata obiezione di coscien- za – che in senso oggettivo – cioè privilegio per la fenomenologia religiosa –, nonché dall’illiceità dell’ateismo ‘attivo’.

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