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L’incostituzionalità delle due disposizioni costituzionali per contrasto con i principî fondanti l’ordinamento

la libertà religiosa nel sistema costituzionale

6. L’incostituzionalità delle due disposizioni costituzionali per contrasto con i principî fondanti l’ordinamento

Benché radicale e probabilmente irrealizzabile, non pare potersi trascurare, non foss’altro che per completezza dell’analisi teorica svolta, la composizione dell’antino- mia ottenuta attraverso la neutralizzazione totale degli artt. 7 e 8 Cost.

in questo senso, si è proposto di arrivare alla completa privatizzazione e riconduzio- ne al diritto comune della materia religiosa sulla base della constatazione che lo Stato non può, pena la violazione del principio di laicità, avere un interesse al fatto che un cittadino preferisca una fede piuttosto che un’altra, o una fede piuttosto che nessuna, in virtù della constatazione che esso ha il dovere di rispettare la libertà di pensiero, coscienza e religione di ciascun singolo individuo: gli artt. 7 e 8 della Costituzione sarebbero dunque in contrasto insanabile con i principî di struttura dell’ordinamento. Si è quindi teorizzato che, se non vi è

un interesse pubblico a che i cittadini professino una fede religiosa, non vi è alcun motivo di preve- dere per la materia religiosa un regime giuridico diverso da quello riservato alle altre manifestazioni culturali, ad esempio ricreative, sportive, artistiche, umanitario-assistenziali. È necessario e sufficiente il diritto comune relativo alla libertà di coscienza e di manifestazione del pensiero e alla libertà di riunione e di associazione; è sufficiente la tutela comune dei diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali nella quali si svolge la sua personalità. il tutto, alla luce del valore supremo dell’ordinamento, che è il pieno sviluppo – il più possibile liberamente autodefinito – di ciascuna persona umana. Lo Stato è per la persona e non viceversa. in tale quadro, il Concordato con la Chiesa cattolica e le intese di diritto pubblico con le confessioni religiose diverse da quella cattolica appaiono come anomalie o «dinosauri giuridici». gli articoli 7 e 8 della Costituzione dovrebbero esse- re abrogati, facendo rifluire il regime pubblico speciale previsto per le confessioni religiose nel diritto comune. tuttavia, si potrebbe sostenere che non occorre abrogare tali norme attraverso una revisione costituzionale, in quanto basterebbe una interpretazione costituzionale, trattandosi a ben guardare di verfassungs-widrigen, verfassungs-normen, cioè di norme presenti negli enunciati costituzionali che sono incostituzionali per contrasto con ben più rilevanti e irriformabili principi supremi54.

53 in buona sostanza, almeno in linea teorica, si è dunque realizzato ciò che Paolo Barile aveva con preveg-

genza teorizzato nel 1950.

54 Così l. lomBardi Vallauri, in Indagine conoscitiva sulla libertà religiosa, Resoconto stenografico della

seduta di giovedì 11 gennaio 2007 presso la Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati, dispo- nibile, assieme a tutti i materiali inerenti alla discussione sui progetti di legge, in http://leg15.camera.it/_dati/ leg15/lavori/bollet/frsmcdin.asp?AD=1&percboll=/_dati/leg15/lavori/bollet/200701/0111/html/01/|pagpro=3n2| all=off|commis=01, p. 27 e ss. Di notevole interesse anche le argomentazioni filosofiche portate a sostegno di quelle giuridiche: «gli argomenti filosofici-religiosi sono tutti quelli riassumibili nel concetto di apofatismo; l’esercizio strenuo della ragione sui problemi ultimi approda all’irrapresentabile, e quindi nessuna religione,

tale ricostruzione difficilmente potrà trovare accoglimento nella dottrina costitu- zionalistica e, di riflesso, nella giurisprudenza costituzionale, dal momento che sembra essere dominante l’idea che la ‘gerarchia fra norme costituzionali’ ipotizzata dalla Corte con il ricorso alla categoria dei Principî supremi possa farsi valere solo nei confronti del potere di revisione costituzionale, non anche del prodotto stesso del potere costituente. ma, effettivamente, volendo ragionare sul punto, non si può non evidenziare che la Costituzione, come ogni altro testo normativo, è frutto di un legislatore, come tale fallibile, anche se costituente: la completezza, la coerenza e la razionalità del legislato- re non sono criteri che attengono alla posizione degli atti di potere, ma, semmai, alle convenzioni che vigono nella comunità degli interpreti, a regole deontologiche che costringono l’interprete a trarre una soluzione univoca di un problema anche a partire da un materiale incoerente55.

e quando nei testi normativi si trovano comandi incompatibili, ci troviamo dinanzi a uno di quei casi «in cui si verifica un’antinomia tra due norme: 1) contemporanee; 2) sullo stesso livello; 3) entrambe generali» e in cui, dunque, non possono soccorrere né il criterio cronologico, né quello gerarchico, né quello di specialità56. e in casi di

conflitto di questo tipo, «l’interprete ha dinnanzi a sé tre possibilità: 1. eliminarne una; 2. eliminarle tutte e due; 3. conservarle tutte e due»57. Per cui, come si vede, la c.d.

interpretazione abrogante è un metodo contemplato nella teoria generale del diritto. e nemmeno è infondata l’idea di gerarchia assiologica all’interno di un determinato testo normativo58, soprattutto quando si ha a che fare da una parte con disposizioni

nel suo sforzo di tradurre in termini ontologici, intelligibili dalla ragione, i dati rivelati, può andare al di là, nella più favorevole delle ipotesi, di balbettamenti sull’ineffabile, come sanno bene San giovanni della Croce, Shankara e gli apofatici di tutte le religioni del mondo. inoltre, è dimostrabile logicamente e storicamente l’inat- tendibilità di molte dottrine religiose dal punto di vista etico, giuridico e politico; in particolare, le chiese sono state l’avversario da battere per affermare la religione civile dei diritti umani. Diciamo, quindi, che dal punto di vista filosofico non vi è un interesse della materia religiosa, piuttosto che di altre materie». in senso diverso, an- che se poi l’esito della riflessione pare essere il medesimo S. lariCCia, Coscienza e libertà, cit., p. 59, secondo cui

lo Stato «ha un interesse pubblico al soddisfacimento delle esigenze religiose della popolazione ma, nel vigente ordinamento, non ci si può valere delle strutture civili per provvedere direttamente alla soddisfazione delle esigenze religiose dei cittadini: la cura del sentimento religioso non può ritenersi tra i fini per sé spettanti allo stato, sia perché lo stato moderno, assumendo un atteggiamento di imparzialità nei confronti del sentimento religioso dei suoi cittadini, non può certo sostituirsi alle confessioni nel perseguimento delle finalità proprie di queste ultime, sia perché, essendo le formazioni sociali con finalità religiosa organismi spontanei della società, il sentimento religioso presuppone la totale libertà delle attività individuali e collettive dirette ad ottenere il soddisfacimento. Lo stato deve dunque disinteressarsi di tutto quanto riguarda il compimento di atti di culto, la diffusione di un dato credo religioso, le attività di propaganda e di proselitismo di una data confessione reli- giosa, attribuendo in tale ambito piena libertà ai singoli e alle confessioni religiose».

55 Cfr. r. Bin, L’ultima fortezza. Teoria della Costituzione e conflitti di attribuzione, milano, giuffrè, 1996,

p. 51 e ss.

56 n. BoBBio, Teoria generale del diritto, torino, giappichelli, 1993, p. 222. 57 Ibidem, p. 224.

58 Cfr. g. pino, Diritti e interpretazione. Il ragionamento giuridico nello Stato costituzionale, Bologna,

che garantiscono diritti fondamentali agli individui e, dall’altra, con disposizioni che riguardano i rapporti fra Stato e gruppi sociali.

Peraltro, questa possibilità teorica è stata prospettata dalla dottrina tedesca e dallo stesso Bundesverfassungsgericht addirittura nella forma della possibile dichiarazione di incostituzionalità delle stesse disposizioni costituzionali: la teoria delle ‘norme costitu- zionali anticostituzionali’ si basa proprio sulla distinzione di ‘peso’ fra principî fondanti e altre norme costituzionali, e ha portato il tribunale costituzionale tedesco ad afferma- re in una decisione del 1950 che «i principi costituzionali fondamentali sono a tal punto espressione di un diritto pre-esistente alla Costituzione stessa che le altre disposizioni costituzionali, alle quali non può essere assegnato lo stesso valore, possono essere, se li offendono, viziate di nullità»; e in un’altra decisione del 1953 che «La Costituzione può essere concepita solo come unità. ne consegue che, a livello della Costituzione stessa, ci sono norme di rango inferiore e norme di rango superiore, le quali possono essere commisurate le une alle altre»59.

L’ipotesi, dunque, ha una sua consistenza teorica tutt’altro che peregrina, ma bisogna riconoscere che l’eventualità che la Corte possa attuare una politica giurispru- denziale di tal genere, che comporta pure delle difficoltà tecniche (non si vede come potrebbe arrivare a giudicare gli artt. 7 e 8 Cost. se non attraverso un’autorimessione della questione), occorrerebbe una ‘spavalderia’ che non è rintracciabile nella giuri- sprudenza sulle questioni riguardanti il fattore religioso, nonché un inimmaginabile consenso politico capace di sostenere un atto di tale rottura rispetto agli schemi consolidati in materia, in assenza del quale il giudice costituzionale con certezza non arriverebbe mai a una soluzione di tal genere.

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