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3.5 Positività e negatività del criterio specialistico di organizzazione dell’attività

3.5.2 Aspetti negativi

(341) Il sistema dei gruppi di lavoro specializzati favorisce le relazioni all’interno e all’esterno della procura

nell’ottica di una resa investigativa completa ed efficiente. In argomento, G. VITARI, Distribuzione degli affari e

specializzazione, in QCSM, 1992, n. 56, 219-224. L’A. descrive il funzionamento dei gruppi a partire dalla ricezione della

notizia di reato: «la notizia di reato viene “filtrata” dal coordinatore che l’assegna ad un magistrato del gruppo, secondo turni cronologici; il fascicolo, [...], viene dal coordinatore immediatamente trasmesso al gruppo di lavoro degli ispettori- vigili urbani i quali inseriscono i dati significativi nel computer, prendono contatti con l’autorità di P.G. che ha inviato la notizia di reato per gli eventuali seguiti ed integrazioni, identificano le persone sottoposte ad indagini [...], acquisiscono la documentazione necessaria, operano le riunioni con altri procedimenti [...]; se necessario propongono al magistrato titolare del processo gli atti da compiere (consulenze, in primo luogo), predispongono direttamente il decreto di citazione, ovvero la richiesta di decreto penale o di archiviazione, comprese liste testi e nomine di difensore di ufficio e certificati di rito [...]». Ne risulta un’attività fortemente concertata.

193 Non è che la specializzazione, tuttavia, risolva da sola i problemi di una giustizia inefficiente. Vi sono degli aspetti negativi. Per esempio, i magistrati vengono esposti al duplice rischio di contaminazione della funzione e ingessatura delle competenze professionali. Questi inconvenienti non sarebbero del tutto eliminabili, neanche se si applicasse il meccanismo di rotazione periodica prima che, in ipotesi, scattasse l’obbligatorietà.

La questione parte da lontano e può essere efficacemente ascritta al di sotto del concetto di personalizzazione della funzione requirente (342). La personalizzazione è un fenomeno estremamente variegato. Per non fare confusione, quindi, bisogna dar conto di alcune premesse.

Nel dibattito culturale degli anni ’70, la personalizzazione veniva intesa come un segnale di reazione contro il carattere gerarchico delle procure (343). Sulla scorta del principio di indipendenza anche interna della magistratura, l’attività del singolo p.m. veniva “personalizzata”, vuol dire che veniva adattata al contesto individuale per garantirle incolumità rispetto a ingerenze verticali, dei “superiori” e della politica, e orizzontali, dei colleghi più esperti. Il valore del principio di esercizio diffuso dell’azione penale fu amplificato, contrapponendo all’accentramento del relativo potere, giustappunto, la personalizzazione. In questo senso, la personalizzazione racchiude aspetti che sono senz’altro meritevoli di essere condivisi. Ma non si sta parlando di questo.

Il concetto di personalizzazione venne ad assumere nel tempo significati diversi, ulteriori e non sempre positivi.

Si può fare riferimento alla possibilità che il magistrato, fuori dell’esercizio delle funzioni, venisse a conoscenza di un fatto di reato e lo segnalasse al procuratore capo ai sensi e per gli effetti dell’art. 70, comma 5, ord. giud.; oppure, che la personalizzazione fosse sintomatica di protagonismi e di accentramento del potere requirente (344). Infine, la personalizzazione può essere associata al principio di continuità tra magistrati dalla fase inquisitiva al momento requirente in senso stretto (art. 3 disp. att. c.p.p.).

Se nel primo caso la personalizzazione non opera per abbattere le gerarchie, giacché persegue lo scopo di tutelare, all’opposto, l’unità interna dell’azione dell’ufficio, come sinonimo di protagonismo, invece, il concetto assume rilevanza nel contesto del dibattito pubblico e dei rapporti con la stampa, e, quindi, nell’esposizione della linea comportamentale che i magistrati tengono di

(342) V. PACILEO, Op. cit., 85.

(343) V. nota n. 106.

(344) Soprattutto avuto riguardo ai rapporti con la polizia giudiziaria, cfr. S.PESCI, La capacità del pubblico

194 fronte a particolari indagini. Quanto all’ultimo dei significati proposti, la personalizzazione interseca il piano della specializzazione (345). D’appresso, per tanto, si tratterà di questo.

In virtù del principio di continuità, dev’esserci corrispondenza fra il p.m. titolare del fascicolo nella fase delle indagini preliminari e il magistrato che si occupa del corso successivo del procedimento. La fonte di tale principio era comunemente individuata nell’articolo 3 disp. att. c.p.p. (346), in materia di designazione del pubblico ministero. A seguito dell’abrogazione di tale norma (347), i titolari degli uffici requirenti sono stati affrancati dall’adoperarsi formalmente affinché la trattazione del procedimento venisse curata, per tutte le fasi del relativo grado, dal magistrato o dai magistrati designati al momento dell’iscrizione a registro della notizia di reato. È venuta meno l’unicità dell’assegnazione dalle indagini preliminari al dibattimento (348).

Ciò, nonostante che il sistema apparisse il più idoneo a garantire la conoscenza approfondita degli atti del procedimento: in pratica, garantiva una conoscenza specializzata del fatto e degli elementi a riscontro. Oltretutto, evitava inutili perdite di tempo nella definizione della vicenda giudiziaria. Il p.m. d’udienza non era costretto a studiare da capo un fascicolo che non aveva mai visto e di cui men che meno aveva curato le indagini. Una giustificazione alla normativa previgente consisteva nello scopo di assicurare al p.m. maggiore incisività nel coltivare l’azione penale in giudizio.

La continuità responsabilizza l’accusa e mette il magistrato di fronte alle carenze delle investigazioni (349). La tesi trova conferma in almeno un intervento del C.S.M.

La circolare sulle tabelle per il triennio 2009 - 2011 raccomanda che ad occuparsi della trattazione dei procedimenti sia «[lo] stesso Sostituto Procuratore della Repubblica sia nella fase del dibattimento che nella fase dell’udienza preliminare o della trattazione del rito abbreviato», in attuazione del principio di «continuità della designazione», in particolare a fronte di «procedimenti

(345) D’altronde, un significato di questo tipo può essere ricavato anche per altra via, badando alla

personalizzazione delle funzioni in seguito al processo di primo grado: l’obiettivo, anche in tal caso infatti, è di «non far disperdere la conoscenza e l’esperienza già acquisite dei fatti di quel processo», in linea con le intenzioni originarie del codice di rito, cfr. G.CONSO -V.GREVI -G.NEPPI MODONA, Il codice di procedura penale. Dalle leggi delega ai decreti

delegati, IV, Relazione al Progetto preliminare del 1988, Padova, Cedam, 1990, 1238.

(346) In argomento, si veda G.AMATO, I rapporti tra procuratore della Repubblica e sostituto procuratore:

opportunità di una rimeditazione?, in Cassazione penale, 1997, n. 6, 1956; sulla personalizzazione, F.DE LEO, La

circolare romana sulla personalizzazione delle funzioni del p.m., in Quest. giust., 1991, n. 2, 408; L.MARINI, La

«personalizzazione» delle attività del p.m.: un lusso o una necessità?, ivi, 1991, n. 2, 397.

(347) Disposta con l’art. 7, comma 1, lett b), del più volte citato d. lgs. 106/2006.

(348) Le (nuove) prerogative del procuratore della Repubblica dispiegano effetti anche in questo senso. Sul tema,

cfr. L.CARLI, La riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero nella nuova normativa ordinamentale, in Critica

Penale, 2007, n. 2, 113.

195 di maggiore complessità, rilevanza e durata» (350). Il riferimento a procedimenti complessi, sia per la durata che per la rilevanza della questione concreta, dev’essere interpretato nel senso che quando l’affare necessita di competenze particolari, a causa della materia trattata oppure della specificità del procedimento, deve occuparsene sin dapprincipio il medesimo sostituto. Se non fosse così, ossia se ad occuparsi della questione non fosse il magistrato che ha curato le indagini, l’accusa vedrebbe ridotte le proprie chances di successo nelle fasi successive, per la ragione che è andata perduta l’abilità specialistica iniziale.

Il criterio di specializzazione presenta allora un’evidente debolezza nell’impossibilità di assicurare che i tribunali tengano udienze dedicate per materia. Nel ruolo di udienza ci sono materie che appartengono a ben altra area di specialità rispetto a quella propria del p.m. Questa sfasatura è avvertita in prima persona dai rappresentanti dell’accusa, a parere dei quali sarebbe opportuno che già sul piano processuale si evitasse di far presenziare in aula un magistrato per tutti quanti sono i ruoli d’udienza.

A ciascuna specializzazione, ciascun ruolo, e viceversa. Si auspica un intervento di senso contrario a quello che ha abrogato l’art. 3 disp. att. del codice di rito. Da questo punto di vista, il principio di personalizzazione si contrappone idealmente con la vocazione impersonale delle procure, ma prevedere un sistema “personalizzato” di gestione delle udienze sarebbe opportuno nella prospettiva di garantire effettività alla specializzazione.

Altrimenti, succede che se negli anni il magistrato ha sviluppato un’esperienza investigativa diversificata, anche in udienza l’accusa viene sostenuta in maniera efficace; se questi non ha maturato le conoscenze richieste dal caso iscritto a ruolo, però, ad esempio perché si tratta di un magistrato agli esordi di carriera, non v’è altro riparo da cedimenti nella tenuta della tesi accusatoria.

In buona sostanza, si provoca anche un disservizio. La questione non è stata risolta neanche per via interpretativa. Le criticità di un sistema che alla specializzazione degli uffici inquirenti non ha fatto seguire una contemporanea specializzazione degli uffici giudicanti, dunque, permangono, specialmente a proposito degli uffici g.i.p./g.u.p.

In parziale risposta al problema, val la pena di segnalare che i progetti organizzativi di alcune procure contengono già disposizioni volte a garantire la continuità nella designazione dei magistrati, e, a tal fine, vengono approntati criteri ad hoc di assegnazione degli affari, eventualmente anche in collaborazione con gli uffici e le sezioni giudicanti.

(350) Cfr. Circolare P. 21241 del 1° agosto 2008, recante “Circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione

degli uffici giudiziari per il triennio 2009/2011” (Delibera del 17 luglio 2008 e succ. mod. al 21 gennaio 2010), p.ti 62.3 e 62.4, in https://www.csm.it/web/csm-internet/norme-e-documenti/atti-consiliari/circolari/settima-commissione

196 Altri inconvenienti del fenomeno specialistico riguardano la distribuzione degli affari (351). La competenza specializzata dei gruppi di lavoro non è esclusiva. L’assegnazione delle questioni ai magistrati può avvenire in deroga e a prescindere dalla collocazione in una sezione piuttosto che in un’altra. Qualche perplessità affiora nel caso in cui i fatti di reato coinvolgessero trasversalmente più specializzazioni. In simili circostanze, si rende quasi necessario procedere a co- designazioni e al coordinamento intergruppo, nell’ottica precisa di disincentivare comportamenti negativi, senz’altro involontari, di invasione delle competenze specialistiche altrui.

Si ritiene che l’assegnazione interna dei procedimenti debba avvenire secondo criteri trasparenti, non importa se automatici o discrezionali, purché si tratti di criteri che garantiscano equità nella distribuzione e funzionalità nella trattazione degli affari.

La difficoltà nell’assicurare questi obiettivi è data anche dall’incertezza del concetto di “specializzazione per materia”, che si riflette direttamente sull’organizzazione dell’ufficio requirente. Non è chiaro, infatti, se la creazione del gruppo di lavoro, per esempio, in materia economica implica che i magistrati si debbano confrontare con tutte le categorie di reato ascrivibili sotto l’espressione di “criminalità economica”, oppure se debbano trattare i soli reati che sanzionano la lesione di quel bene giuridico in senso stretto. Manca omogeneità nel raggruppamento delle figure di reato ricomprese sotto la voce “materia”. A maggior ragione, il problema inerisce l’assetto nazionale degli uffici, perché le procure attribuiscono al termine menzionato significati differenti. Alla “materia X” della Procura Alfa potrebbe corrispondere la “materia Y” della Procura Beta, e dentro a ognuna potrebbero essere elencate fattispecie difformi da contesto a contesto. La mancanza di interpretazioni uniformi della voce “materia” è causa di concreta disomogeneità nell’assegnazione dei procedimenti. Al riguardo, si potrebbero ricavare effetti positivi dalla realizzazione di un elenco di categorie delittuose estratte dalla selezione delle figure che i procuratori inseriscono e fanno inserire nel Sistema informativo della cognizione penale (S.I.C.P.), che ha sostituito il Registro generale (Re.Ge., o sistema informativo per la gestione dei registri penali) (352).

Avviandosi alla conclusione, i limiti della specializzazione si colgono ancora con riferimento alle dimensioni della procura e alla rotazione dei sostituti.

(351) Si veda T.IODICE -L.PONIZ -S.PESCI -L.SAVA, et al., Pubblico ministero, ordinamento e garanzie, in B.

GIANGIACOMO (a cura di), Documento elaborato dal gruppo di lavoro costituito all'esito del seminario "Modelli

organizzativi delle Procure della Repubblica e credibilità della giurisdizione" (Roma, 3 dicembre 2011), Magistratura

Democratica, presso http://www.magistraturademocratica.it/mdem/intervento_all.php?a=on&s=&id=1614 [febbraio 2020].

(352) Per approfondire, sul processo penale telematico, cfr. G.DE RUGERIIS, In viaggio verso il processo penale

telematico, in R.BRIGHI -M.PALMIRANI -M.E.SÁNCHEZ JORDÁN (a cura di), Informatica giuridica e informatica forense

197 Costituisce un presupposto indefettibile di buona organizzazione che il numero di magistrati da assegnare ai gruppi e il numero dei gruppi stessi siano proporzionati ai flussi delle notizie di reato specialistiche e alla loro gravosità. Il problema concerne le risorse necessarie per lo svolgimento dei procedimenti specializzati. In termini di risorse, la composizione di ciascun gruppo dovrebbe essere studiata in maniera che si rispecchino il più possibile le attitudini dei magistrati, avendo cura di affiancare ai più esperti anche magistrati alle prime armi (sia per carriera che in relazione all’area di interesse). Se entrambe queste due condizioni sono assicurate, l’efficienza dell’attività viene preservata anche se si attua il meccanismo della rotazione.

Oltre che essere rimedio contro l’ipo-specializzazione (v. par. 3.1), la collocazione di ciascun sostituto entro due o più gruppi specializzati sortisce effetti positivi in materia di rotazione. Quest’opzione assicura al magistrato la contemporanea formazione di professionalità multilivello, evitando la sclerosi delle competenze che consegue all’esposizione prolungata alla materia specialistica. In aggiunta, scaduto il termine di permanenza previsto dalla legge o dal progetto organizzativo, risulta agevolato anche il passaggio ad altro dipartimento specializzato. In termini pratici, è possibile prevenire la dispersione del patrimonio di esperienze specializzate.

I magistrati possono persino richiedere di essere trasferiti o assegnati ad altra posizione prima che sia trascorso il termine decennale di permanenza. Poiché, è stato osservato in precedenza, al di sotto di una certa soglia temporale la specializzazione non offre assicurazioni di risultati positivi, bisogna fare chiarezza intorno all’eventualità che il magistrato volesse cambiare posto, dentro o fuori dell’ufficio, ben prima del frangente considerato. L’obiettivo non è quello di scandagliare le problematiche sottese alla mobilità “orizzontale” dei magistrati. Il tema generale degli spostamenti verso altra procura o altro gruppo viene in rilievo nei limiti di quanto è necessario per risolvere il quesito proposto.

L’attuazione del meccanismo rotatorio comporta infatti la necessità di fare degli spostamenti materiali, logistici e burocratici all’interno della procura, con la conseguenza che, almeno nelle sedi più grandi, un trasferimento lato sensu anticipato avrebbe l’effetto di revisionare lo schema organizzativo.

A questo primo inconveniente pratico ne segue un altro di carattere formale.

La natura deflativa insita nel criterio specialistico sarebbe indebolita a causa del tempo che occorre ai nuovi magistrati per acquisire competenze o comunque per consolidare quelle che già posseggono. L’esperienza investigativa si matura sul campo. Il magistrato costruisce sempre alla stessa maniera la rete fiduciaria dei rapporti con la polizia e i rappresentanti della difesa. Vieppiù che essendo la rotazione un meccanismo poco flessibile, si rischia che il p.m. debba essere ricollocato

198 prima che abbia concluso lo studio delle questioni più intricate, lasciandole in sospeso. Il nuovo sostituto dovrà riprendere tutto da capo, anche se il procedimento continua il suo corso.

Il sistema è incoerente: se si vuole la specializzazione non si può volere anche la rotazione (353).

Si consideri che un magistrato particolarmente esperto nei reati in materia di tutela della salute e sanità sia costretto ad abbandonare la posizione all’interno del relativo gruppo per scadenza del termine decennale. Sono poche le probabilità di allacciare rapporti personali e istituzionali dello stesso valore di quelli che il magistrato uscente aveva intessuto per un tempo così lungo. Ciò si verifica non per ragioni che ineriscono alla persona del nuovo magistrato, quanto piuttosto a causa del savoir faire che è stato acquisito in precedenza dal punto di vista operativo. Un magistrato che entrasse in funzione con l’attuale sistema, se per dieci anni si occupasse, in ipotesi, di cybercrime, detenzione e spaccio di stupefacenti oppure di criminalità organizzata, è molto probabile che, giunto nel gruppo di reati societari e fallimentari a seguito di rotazione, per un certo periodo questi mancherebbe di inquadrare in senso pratico le peculiarità del falso in bilancio, della bancarotta fraudolenta, delle violazioni fiscali connesse all’attività imprenditoriale e quant’altro. Anche i magistrati con più anni di esperienza sarebbero attinti da questo inconveniente: se sono impreparati, devono, per ciò, ricominciare quel che è in effetti è una sorta di tirocinio. Senza considerare, inoltre, che il p.m. ricollocato in altro gruppo sarebbe in difficoltà nel contraddire all’udienza le tesi di una difesa ben più specializzata. Si pongono problemi anche sotto il profilo della parità delle parti.

Un documento di qualche anno fa della Procura di Torino conferma queste impressioni. Il 16 giugno 2011, infatti, i magistrati torinesi, incluso il Procuratore della Repubblica, indirizzavano all’attenzione delle autorità parlamentari e giudiziarie uno scritto, nel quale, in ossequio al principio di leale collaborazione istituzionale, formulavano l’invito a rivedere la disciplina della rotazione; si lasciava intendere che, altrimenti, le conseguenze sull’efficienza degli uffici requirenti sarebbero state di una certa gravità e avrebbe coinvolto più piani (354). A voler individuare dei correttivi al

(353) La questione era stata sollevata intorno agli inizi del 2000, in termini di contraddittorietà dell’impianto

normativo di specializzazione professionale e temporaneità delle funzioni, da Armando Spataro, per il quale la rotazione appare come un mezzo di «disintossicazione» dall’incarico ricoperto. Cfr., sul punto, D.NATALE, La giurisdizione tra

specializzazione e temporaneità delle funzioni, riflessi sulla professionalità: un dibattito ancora aperto, cit., 424. La

temporaneità degli incarichi «collide» con la specializzazione anche secondo l’opinione di Vladimiro Zagrebelsky, che individua le origini del meccanismo di rotazione nelle distorsioni venutesi a creare a partire dagli anni Ottanta nelle sezioni fallimentari dei Tribunali, cfr. V.ZAGREBELSKY, Perché servono i magistrati specializzati, ne La Stampa -

Archivio on line, 29 dicembre 2011.

(354) Si veda il documento della Procura di Torino prot. n. 2307/11 MAG, del quale conviene riportare un estratto:

«le conoscenze specialistiche, giuridiche ed extragiuridiche, verranno disperse, mentre la formazione delle nuove leve richiederà un congruo periodo di tempo; la PG specialistica perderà i suoi abituali punti di riferimento; la memoria storica dei fatti criminosi e le esperienze pluriennali nella elaborazione di prassi, di tecniche investigative, di strumenti di

199 meccanismo di rotazione, si presentano due alternative: con riguardo ai problemi legati alla personalizzazione delle funzioni, la valutazione quadriennale della professionalità appare lo strumento più idoneo per correggere il tiro, giacché, in caso di estremo condizionamento, resta pur sempre a disposizione l’azione disciplinare.

Resta l’impossibilità di avviare materialmente percorsi organizzativi specializzati per le procure di ridotte dimensioni. Questo appare davvero il limite funzionale più evidente del criterio specialistico. I risultati positivi ottenuti nelle grandi sedi possono essere conseguiti anche altrove. Per farlo, basterebbe unire alla proposta di inserire i sostituti in più d’un singolo gruppo specializzato dei percorsi di specializzazione anche per la polizia giudiziaria.

Nella ratio del nuovo codice di procedura penale, il pubblico ministero ha un ruolo centrale nella conduzione delle indagini, ma opera materialmente insieme con la polizia, cui d’altronde viene delegata la maggior parte delle attività investigative. Perciò, pur nella distinzione dei ruoli riconosciuta dalla Costituzione, nelle sedi minori dev’essere intrapresa una seria collaborazione funzionale, un circuito specializzato fatto di informazione-azione-comunicazione. Questo approccio sarebbe utile anche in un’ottica difensiva. La specializzazione omogenea e trasversale degli inquirenti serve per evitare lesioni ai diritti dell’indagato tramite azioni inesperte, preservando la futura utilizzabilità del materiale probatorio.

In effetti, i punti deboli si possono trasformare in punti di forza.

3.6 Il criterio di specializzazione nell’ambito della tutela dei diritti. Verso le Procure nazionali