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Passato e presente dell’organizzazione delle procure della Repubblica nella circolare del

1.2 Dalla legge delega n 150 del 2005 al complesso quadro normativo d

1.2.3 Passato e presente dell’organizzazione delle procure della Repubblica nella circolare del

Le pagine che precedono propongono uno studio, in senso diacronico, dei principali sviluppi normativi e para-normativi che hanno fatto seguito alla riforma dell’ordinamento giudiziario del 2006, soffermandosi sul tema della riorganizzazione delle strutture requirenti, così da fornire validi strumenti interpretativi in vista dell’indagine sulla specializzazione del pubblico ministero. È stato detto che, malgrado la successione delle fonti primarie e secondarie prese in esame, le questioni che scaturiscono dalla riorganizzazione non erano state risolte in via definitiva. La dimostrazione più efficace di questo assunto è la nuova circolare del C.S.M. sull’organizzazione delle procure, del 16 novembre 2017.

Le citate risoluzioni del 2007 e 2009 costituiscono interventi di fondamentale importanza per la magistratura requirente. Il loro obiettivo era però più che altro di ridurre la sensazione di disorientamento avvertita dai titolari degli uffici, sia per la nuova configurazione gerarchica delle procure che a causa dei poteri direttivi ad essi assegnati dalla legge. Le conseguenze della riforma si sono prodotte, innanzi tutto, sul versante della trasmissione al Consiglio di dati e informazioni riguardanti i criteri di assegnazione degli affari, la creazione di gruppi di lavoro specializzati e le eventuali priorità adottate nella trattazione delle notitiae criminis. Inoltre, con la concentrazione verso l’alto di potere e responsabilità è stata messa da parte l’attività degli altri magistrati, relegandola, per ciò, nella concezione burocratica e deresponsabilizzata del lavoro requirente; basti pensare alla quantità di fascicoli con cui ciascuno di essi si confronta ogni giorno.

L’intervento consiliare di fine 2017, invece, è l’esito di una lunga fase di preparazione, che, nell’arco di un biennio, ha coinvolto tutti (o quasi) i maggiori esponenti delle procure della Repubblica, al fine di porre le fondamenta per un esercizio più responsabile e partecipato dell’azione penale.

D’altronde, sul piano delle fonti, la circolare non è un atto che ha valore meramente esortativo. Mentre la risoluzione ha lo scopo di orientare, quello della circolare è di conformare; l’una fornisce indicazioni, quell’altra regole precettive (92). Tale cambiamento in ordine alla tipologia dello strumento normativo utilizzo dal Consiglio è significativo dell’avvenuto recupero, in capo allo stesso

(92) La circolare rientra nell’attività para-normativa del Consiglio, ma, secondo alcuni interpreti, essa rappresenta

un “caso limite”, nel senso che si colloca verso la creazione piuttosto che l’interpretazione o l’esecuzione del diritto. Si veda, M. D’AMICO, Amministrazione creatrice ed esecutrice del diritto, in Rivista AIC, 2018, n. 4, 113, presso

https://www.rivistaaic.it/images/rivista/pdf/4_2018_D_Amico.pdf [febbraio 2020]. D’altronde, l’ordinamento giudiziario è materia riservata alla legge, ai sensi dell’art. 108 cost.

63 organo, del potere di stabilire certi requisiti minimi di organizzazione delle procure. La circolare è questo statuto minimo di organizzazione. Occorre riflettere sui principali contenuti che si riferiscono agli aspetti strutturali delle procure, invece che alla posizione del procuratore, e che aggiungono elementi d’interesse interpretativo, rinviando al prosieguo della trattazione le novità che concernono i rapporti interni.

Un primo aspetto interessante è la creazione del «fascicolo dell’organizzazione della Procura», di cui all’art. 8 co. 8 della circolare. Il fascicolo è istituito presso la Settima commissione referente e ha lo scopo di raccogliere, in maniera stabile e duratura, dati e informazioni dalle varie procure: in tal senso, è fonte inesauribile di conoscenza, anche statistica, del C.S.M. Tra le informazioni da inserire al suo interno, figurano provvedimenti di assegnazione dei procedimenti ai magistrati, di creazione dei gruppi di lavoro specializzati e ogni altro documento dalla cui applicazione derivino condizioni operative particolari all’interno dell’ufficio. Il fascicolo funziona come un’unica banca dati, è uno strumento dal grande potenziale, che può servire per uniformare i criteri organizzativi delle procure, oppure per escludere l’operatività di prassi del tutto originali, perché fondate su criteri scarsamente praticabili.

La circolare, inoltre, riconsidera in positivo il ruolo degli organi di vigilanza circa l’attività posta in essere dalle procure e dai singoli sostituti; nel senso che fissa regole di necessario coinvolgimento dei Consigli giudiziari e criteri di necessario coordinamento per quanto concerne i procuratori generali presso le Corti d’appello.

Ai Consigli giudiziari vengono attribuiti poteri istruttori sulla formazione del progetto organizzativo dell’ufficio, in attuazione del principio di democrazia partecipativa. Il Consiglio giudiziario diventa così portavoce delle proposte e delle osservazioni dei sostituti. Ai procuratori generali presso le Corti d’appello, invece, si riconoscono poteri di coordinamento consistenti nella convocazione periodica di riunioni, nella possibilità di acquisire dati e notizie sugli assetti organizzativi degli uffici requirenti del distretto, nonché di proporre soluzioni organizzative condivise. Ma non è tutto.

La circolare dice chiaramente che i poteri del procuratore generale non sono classificabili come poteri di coordinamento investigativo. Tranne che nelle eccezionali ipotesi stabilite dalla legge, il coordinamento investigativo spetta (solo) al procuratore della Repubblica; mentre ai procuratori generali, quindi, residuano poteri di coordinamento – per così dire – organizzativo e gestionale. Difatti, questi ultimi, anche facendo ricorso al fascicolo per l’organizzazione depositato presso il C.S.M., hanno la facoltà di individuare, divulgare e promuovere buone prassi fra gli uffici requirenti del distretto. Benché dispongano anche del potere di avocare le indagini (sul presupposto del mancato

64 esercizio dell’azione penale da parte della procura della Repubblica), si verte in tutt’altra questione rispetto alle prerogative di tipo organizzativo. L’avocazione non è un fatto organizzativo (93), ma è un provvedimento destinato a produrre effetti sul piano investigativo.

Insieme con i Consigli giudiziari, i procuratori generali hanno, altresì, il diritto di ricevere il decreto del procuratore capo che contiene il progetto organizzativo della procura e possono formulare le osservazioni che ritengono più opportune. Non si tratta affatto di un dato privo di rilevanza. Anzi, tramite l’accesso alla banca dati del C.S.M. per le buone prassi e la possibilità di esaminare i progetti organizzativi di tutte le procure del distretto di competenza, i procuratori generali possono dare un contributo decisivo per garantire l’esercizio corretto, puntuale e uniforme dell’azione penale.

Anche il ruolo del procuratore aggiunto viene nettamente rivalutato. L’articolo 5 ne definisce lo statuto, delineando specifiche competenze che rispecchiano le funzioni di magistrato requirente e di organo che partecipa alla funzione direttiva dell’ufficio. La previsione di uno statuto assicura lo svolgimento effettivo dei compiti semidirettivi, perché non discende dai criteri organizzativi della procura, ossia preesiste rispetto ad essi.

Nell’ottica della circolare, il ruolo del procuratore aggiunto s’inserisce fra i principi di leale collaborazione e di buon andamento, ma ha anche l’obiettivo di favorire correttezza ed equità sul piano pratico della distribuzione delle risorse e degli affari. Tuttavia, il documento consiliare non tratta affatto il piano delle responsabilità del procuratore aggiunto, nonostante egli sia un magistrato che assolve funzioni semidirettive in maniera indipendente. A questo proposito, dunque, si deve ritenere che per l’aggiunto valgano le medesime considerazioni già svolte per quanto concerne la responsabilità del procuratore capo, nel senso che, assolvendo entrambi funzioni di spicco, la responsabilità è una responsabilità “politica”. Sia l’aggiunto che il capo ne rispondono innanzi al C.S.M., mettendo in gioco la propria carica direttiva al tempo della valutazione di professionalità (94). In particolare, si ritiene che la conferma dell’incarico direttivo debba poter essere giustificata anche sulla base di informazioni che vengano raccolte direttamente fra gli altri magistrati, in maniera

(93) L’esercizio del potere di avocazione può scaturire da errori di programmazione delle attività requirenti, ma non per questo può essere considerato di per sé un fatto organizzativo. A conferma di ciò basti osservare che sussiste una connessione tra i progetti organizzativi delle procure e l’avocazione, ma riguarda più che altro questioni relative alle tempistiche delle indagini (cfr., art. 407 comma 3-bis c.p.p.). Cfr., anche dopo le modifiche apportate dalla l. 103/2017, orientamenti della Procura generale della Corte di cassazione, presso http://www.procuracassazione.it/procuragenerale- resources/resources/cms/documents/AvocazioneCriteriorientativi-PG1.pdf [febbraio 2020].

(94) D’altronde sembra indirizzare in questo senso la Relazione finale della Commissione di studio Vietti, costituita

con d.m. 12 agosto 2015, per la riforma dell’ordinamento giudiziario. Al riguardo, nella Relazione del 17 marzo 2016 si legge che le valutazioni di professionalità «debbono ampliare le fonti di cognizione ma anche accelerare i tempi di definizione» e che in sede di conferimento degli incarichi direttivi «l’aspirazione del singolo a una carriera “senza demerito” va sostituita con la garanzia per i cittadini di mettere il magistrato giusto al posto giusto e di revocarlo se la scelta si rivela errata», 2-3, in https://www.giustizia.it/resources/cms/documents/Vietti_relazione_12ago2015.pdf

65 da creare un effettivo parallelismo nei meccanismi di valutazione: infatti, la professionalità del magistrato dell’ufficio è valutata sulla base di schede di giudizio elaborate dal procuratore capo, mentre quella del procuratore non è valutata tenendo in conto le opinioni dei magistrati della procura. Si può anche percorrere una via di mezzo, attribuendo questo mutuo scambio di giudizi per lo meno ai procuratori aggiunti.

Nel complesso, comunque, gli effetti della circolare non saranno concretamente visibili prima dello spirare del triennio di validità dei progetti organizzativi che sono stati emessi, approvati e attuati o dopo il novembre 2017, oppure entro il termine diverso da essa stabilito (95). L’idea del Consiglio era di realizzare un intervento sistematico che potesse non solo far vedere quali prassi sono adottate all’interno degli uffici requirenti, ma che fosse anche selettivo delle migliori prassi da adottare, fornendo una disciplina omogenea minima dell’organizzazione delle procure a livello nazionale. Al di là delle idee, sul piano concreto l’obiettivo del Consiglio è di prevenire o almeno superare situazioni patologiche di incertezza e conflittualità (96).