2.2 Chiarimento sulle origini della specializzazione dell’attività requirente.
2.2.1 Fase iniziale
I primi dati sulla presenza della specializzazione nelle attività requirenti si collocano nel frangente temporale compreso tra gli anni ’70 e ’80, durante gli anni del terrorismo e della legislazione d’emergenza. In questa fase, alla magistratura viene richiesto uno sforzo investigativo particolare per accertare i retroscena di quanto stava accadendo e una svolta importante si ebbe a
116 Torino, città simbolo della lotta al terrorismo ideologico. Presso la Procura torinese (192), Bruno Caccia sperimentò l’efficacia del “pool” (specializzato nell’) antiterrorismo (193).
Grazie a questa intuizione, a partire dagli anni immediatamente successivi ai fatti di Via Caetani, si registra l’autonoma iniziativa di p.m. e giudici istruttori per la formazione di gruppi di lavoro impegnati nella lotta contro il terrorismo. Vengono in rilievo, per citarne alcune, le iniziative di Piero Vigna nella Procura di Firenze. Tramite il supporto delle forze di polizia, i gruppi agiscono collettivamente come un’unica task force investigativa, replicando e mutuando l’organizzazione che le strutture criminali avevano nel frattempo allestito (194).
Il metodo di lavoro inaugurato dalla Procura torinese si basava essenzialmente sull’aggregazione delle competenze specialistiche e ha determinato un radicale cambiamento di prospettiva nell’organizzazione delle attività investigative degli inquirenti. Di fronte alla complessità dei fenomeni criminosi che richiedono una conoscenza settoriale, il principio cd. generalista, in forza del quale ciascuno si occupava di tutto nello stesso momento e per tutto il tempo necessario, non poteva più funzionare.
Al contempo, anche le forze di polizia stavano impostando l’attività sulla specializzazione dei propri organi. Puntavano al superamento di metodi di lavoro che fossero calibrati in funzione di emergenze periodiche, così da favorire invece la costruzione di strutture specializzate in grado di operare stabilmente a fianco della magistratura, ovverosia con la medesima efficacia anche in situazioni di “normalità”. Queste strutture hanno ottenuto un largo riconoscimento formale all’inizio
(192) Ne dà atto Armando Spataro, procuratore della Repubblica a Torino e già procuratore aggiunto a Milano:
«proprio in quegli anni, infatti, i magistrati italiani dimostrarono l’importanza di una elevata specializzazione professionale ed “inventarono” il lavoro di gruppo ed il coordinamento spontaneo tra gli uffici impegnati in indagini collegate». Così, A.SPATARO, La magistratura italiana di fronte al terrorismo interno ed internazionale dagli anni di
piombo alla war on terror, in Rivista trimestrale dell’ANM - la Magistratura, 2008, n. 2, 20-21, presso
http://www.associazionemagistrati.it/media/53282/2008_2.pdf [febbraio 2020].
(193) L’assunto è corroborato alla luce dell’audizione di Gian Carlo Caselli presso il Senato della Repubblica in
data 15 febbraio 2012: «A quanto mi risulta, il primo pool nasce nell’ufficio istruzione del tribunale di Torino (i giudici istruttori ormai non esistono neanche più) quando le Brigate Rosse uccidono a Genova il procuratore generale Coco e gli uomini della sua scorta Saponara e Deiana. La Cassazione assegna il processo a Torino. Il capo dell’ufficio istruzione mi chiama, perché avevo già fatto alcuni processi alle Brigate Rosse, e mi dice che questo processo lo avrei seguito io ma non da solo, perché se anziché essere soltanto io fossimo stati in tre (gli altri due saranno Luciano Violante, conosciuto al di là dell’ambito giudiziario, e Mario Griffey), anche là dove le Brigate Rosse avessero ammazzato uno o due di noi, il processo sarebbe andato avanti lo stesso. L’argomentazione del mio consigliere istruttore fu certo meno rozza, ma che l’obiettivo fosse quello di fare i processi, e di farli mettendo in campo tutto quello che è necessario, risultava evidente. La specializzazione è un valore fondamentale per quanto riguarda l’organizzazione e la speranza di ottenere risultati positivi». In questi termini, G.C.CASELLI, Audizione al Senato della Repubblica, Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche», 87° resoconto stenografico, 15 febbraio 2012, n. seduta 95, presso http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/289790.pdf
[febbraio 2020].
(194) Cfr. A. SPATARO, Ne valeva la pena. Storie di terrorismi e mafie, di segreti di stato e di giustizia offesa,
Roma-Bari, Laterza, 2010, spiega che prima del “caso Moro” la specializzazione della magistratura italiana, salvo che a Torino, era molto indietro rispetto all’esperienza della polizia.
117 degli anni ’90 (195), quando sono stati istituiti i Servizi centrali e interprovinciali di polizia giudiziaria (196). Si tratta di squadre investigative specializzate nell’attività di contrasto della criminalità che attuano rapidi scambi informativi tramite l’utilizzo di procedure semplificate per il coordinamento investigativo. Come noto, poiché nel nostro ordinamento operano diversi corpi di polizia, questa circostanza avrebbe potuto condurre a una nociva sovrapposizione delle investigazioni, da ricondurre all’eventualità di reciproche interferenze fra attività svolte per conto degli uffici del p.m. (artt. 371) (197). Non solo.
Ancora prima degli anni ’90 (e a partire, poi, da quel periodo), la complessità dei fenomeni criminosi ha richiesto la formazione di servizi specializzati in numerose materie. A proposito vengono in rilievo, ad esempio, i Nuclei antisofisticazioni e sanità dell'Arma (N.A.S.) del 1962, il Nucleo speciale antiterrorismo del 1974 comandato dal Gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa, il Gruppo Intervento Speciale (G.I.S.) del 1978 presso l’Arma dei Carabinieri, il Nucleo operativo centrale di sicurezza (N.O.C.S.) del 1978 presso la Polizia di Stato, i gruppi Anti Terrorismo – Pronto Impiego (AT/PI) del 1983 presso la Guardia di Finanza, il Raggruppamento operativo speciale (R.O.S.) del 1990 presso il corpo dei Carabinieri, i Gruppi d'investigazione sulla criminalità organizzata (G.I.C.O.) del 1991 presso la Guardia di Finanza, la Direzione investigativa antimafia (D.I.A.) del 1991 come autonoma struttura interforze, il Servizio Centrale di Investigazione sulla Criminalità Organizzata (S.C.I.C.O.) del 1993 presso la Guardia di Finanza, il Gruppo Operativo Mobile (G.O.M.) del 1997 presso la Polizia penitenziaria, il Gruppo anticrimine tecnologico (G.A.T.) del 2001, ora Nucleo speciale frodi telematiche, presso la Guardia di Finanza, e via discorrendo (198).
L’esistenza di molteplici settori specializzati all’interno delle forze di polizia costituiva naturalmente un fattore determinante per la riuscita delle indagini, avuto riguardo proprio al carattere specialistico delle relative competenze. Da un altro angolo di visuale, però, il rischio che la direzione delle operazioni fosse assunta dalla polizia, anziché dal pubblico ministero, poteva apparire tutt’altro
(195) In merito, V. BORRACCETTI, Le nuove strategie di contrasto nei confronti della criminalità mafiosa - direzione
nazionale e direzioni distrettuali antimafia. Un bilancio della esperienza del coordinamento, Intervento svolto al
seminario La mafia fra tradizione e innovazione. Globalizzazione, criminalità, istituzioni, di Magistratura democratica (Palermo, 23-24 novembre 2001), in Questione Giustizia, 2002, n. 3, 635 - 643.
(196) Con l’art. 12 del d.l. 13 maggio 1991 n. 52, conv. in l. 12 luglio 1991 n. 203.
(197) Al riguardo, si veda M. VIETTI -S. ERBANI - G.FIORENTINO - F.TRONCONE, Codice dell’ordinamento
giudiziario, Milano, EGEA, 2013, 2451; D.CARCANO, Ordinamento giudiziario: organizzazione e profili processuali, Milano, Giuffrè, 2009, 240;S.SAU, Le Indagini collegate: il coordinamento investigativo degli uffici del pubblico
ministero, Padova, Cedam, 2003, 142; D. MANZIONE, Le indagini collegate nel sistema processuale italiano, in G. MELILLO -A.SPATARO -P.L.VIGNA (a cura di), Il coordinamento delle indagini di criminalità organizzata e terrorismo, Milano, Giuffrè, 2004, 61; F.CARDELLA, Il collegamento tra indagini separate, in QCSM, 2002, n. 134, II, 225.
(198) In tempi più recenti sono stati istituiti: i reparti delle Aliquote di primo intervento (A.P.I.) del 2016 presso
l’Arma dei Carabinieri, le Squadre Operative di Supporto (S.O.S.) a far data dal 2016, presso l'Arma dei Carabinieri, le Unità Operative di Primo Intervento (U.O.P.I.) della Polizia di Stato.
118 che remoto. Se fosse realmente accaduto, questo fatto avrebbe determinato un evidente rovesciamento della dipendenza scolpita nell’art. 109 Cost., avrebbe dato luogo a una subordinazione di fatto della magistratura, che, non possedendo specifiche abilità d’inchiesta in relazione a certi fenomeni, era ex
necesse tenuta ad acconsentire alle richieste investigative della polizia e a lasciare, di conseguenza,
alla stessa la direzione delle operazioni.
In confronto, il timore che la specializzazione della magistratura requirente potesse attribuire poteri eccessivi rispetto a quelli di cui potevano disporre altri giudici e pubblici ministeri è stato superato anche grazie all’argomento appena illustrato (199).
L’esperienza dei “pool”, comunque, è andata incontro a una trasformazione all’interno delle procure della Repubblica, da strategia investigativa contingente e limitata a criterio organizzativo della generalità dei processi investigativi, sia in termini di outcome che di gestione dei flussi. Il che ovviamente avveniva previa individuazione di specifici settori di materie da affidare per la trattazione a un ristretto gruppo di magistrati.
Man mano che la specializzazione cominciava a radicarsi nell’attività requirente, il C.S.M., che già allora disponeva del potere di dettare i criteri organizzativi degli uffici giudiziari, si ritagliava spazio nelle questioni organizzative delle procure. Benché apparisse prematuro parlare di “tabelle”, si stava verificando un significativo trasferimento di competenze dal Ministro della giustizia,
(199) L’argomento è corroborato, anzitutto, da una parte della letteratura. Si veda, anche per i necessari riferimenti
dottrinali, D.CENCI, La competenza investigativa della D.I.A. e suoi rapporti con le procure distrettuali, in A.BARGI (a cura di), Il «doppio binario» nell'accertamento dei fatti di mafia, Torino, Giappichelli, 2013, 326 nota n. 7, 333. Inoltre, molte fonti giornalistiche e vari articoli in tema di “Superprocura” antimafia, pool e potere giudiziario, fra cui, per esempio, F.COPPOLA, 'Creare giudici specializzati' è questa la direttiva del CSM, in la Repubblica Archivio, 28 giugno 1988; S.MAZZOCCHI, E all' alba il CSM getta la spugna, in la Repubblica Archivio, 4 agosto 1988; G. NEPPI MODONA,
I giudici e l' FBI, in la Repubblica Archivio, 10 ottobre 1991; C. CHELO, I giudici contestano la Superprocura. Durissimo
Bertoni: «Sarebbe l'altra faccia della cupola», in L’Unità Archivio, 12 ottobre 1991; A. CIPRIANI, Si delinea la
superprocura Un giudice vicino ai ministri, in L’Unità Archivio, 24 ottobre 1991; C.CHELO, Ecco il supergiudice
antimafia Martelli: «Non indaga, coordina gli altri magistrati», in L’Unità Archivio, 16 novembre 1991; M.PIRANI,
Cent’anni di solitudine, in la Repubblica Archivio, 26 maggio 1992, il quale riporta: «Se ai tempi del pool di Palermo,
come mi ricordò in una intervista Falcone, venne inscenata contro di lui, contro Ayala, contro Borsellino e gli altri, pochi, giudici impegnati, "una controffensiva di proporzioni gigantesche e il pool venne definito un centro di potere, le difficoltà naturali dei maxi processi vennero enfatizzate, attacchi feroci vennero mossi al protagonismo dei giudici e, persino, all' uso delle scorte", se questo avvenne allora, in tempi più recenti, di fronte all' ipotesi della Superprocura [...]»; G.TUCCI,
«Assolvo il governo, non ha colpe» Andreotti accusa i magistrati: avversarono la Dna, in L’Unità Archivio, 26 maggio
1992; R.LEONE, Iene intorno a Falcone, in la Repubblica Archivio, 7 giugno 1992; E.BELFIORE, Un magistrato e la
guerra perduta, in Polizia e democrazia, 2010, dove afferma che «Il pool è la traduzione in cifra operativa del metodo di
lavoro basato su specializzazione e centralizzazione, metodo che Carabinieri e Polizia avevano adottato subito dopo il sequestro Sossi, creando due nuclei speciali antiterrorismo (per fortuna non troppo in concorrenza fra loro). Il modello di lavoro vincente. Perché la criminalità organizzata si può sconfiggere soltanto contrapponendo organizzazione ad
organizzazione», presso
http://www.poliziaedemocrazia.it/live/index.php?domain=archivio&action=query&idArticolo=2221 [febbraio 2020]; U. SANTINO, Così Rocco Chinnici svelò la "mafia spa", in la Repubblica Archivio, 29 luglio 2014.
119 originario titolare del potere di organizzare l’attività della magistratura (200), a beneficio del Consiglio superiore (e dei dirigenti degli uffici).
La prospettiva è mutata quando i dirigenti hanno sperimentato di propria iniziativa nuove metodologie investigative, riassettando le strutture tradizionali. Agendo in questo modo, essi erano diventati (sub)partecipi dell’amministrazione della giurisdizione nel proprio ambito territoriale di competenza. Tra queste metodologie vi è per l’appunto la specializzazione, che, superato il periodo dello stragismo, si presta a essere impiegata come prassi per far fronte alla ineludibile necessità di gestire informative complesse e numerose. Così intesa, essa preesiste alla tabellarizzazione degli uffici requirenti.
Il C.S.M. prendeva atto della diffusione del criterio specialistico, voleva conoscerne gli effetti per garantire continuità e unitarietà alla funzione requirente. La circolare del 19 maggio 1987, n. 6309, relativa alle tabelle di composizione degli uffici giudiziari per l’anno 1988, è sintomatica del bisogno di conoscenza. Con questo documento, il C.S.M. richiede che le procure forniscano il quadro della composizione personale dei loro uffici, inclusi i criteri organizzativi di ripartizione del lavoro, con la precisazione che, quantomeno riguardo agli uffici di maggiori dimensioni, bisognava indicare la presenza di «gruppi di magistrati specializzati nella trattazione di determinate materie», sul modello di analoghe specializzazioni degli uffici di istruzione. La circolare chiede ai dirigenti anche di descrivere i vantaggi e gli inconvenienti che sarebbero potuti scaturire dalla loro adozione.
Occorre soffermare l’attenzione sul dato testuale, nella parte in cui la circolare ripete per ben quattro volte, nel punto considerato, la congiunzione ipotetica «se» (201). Il tenore letterale suggerisce che il C.S.M. aveva tutta l’intenzione di verificare se il criterio specialistico applicato in relazione alle procure e agli uffici istruttori, in quanto archetipo organizzativo, potesse procurare benefici diffusi al sistema penale. Poiché l’estensione tabellare non sarebbe avvenuta prima di un decennio, il quesito era volto a scoprire, in definitiva, se gli assetti istituiti spontaneamente dai dirigenti degli uffici più grandi potessero valere per tutte le procure o soltanto per alcune di esse, in maniera da rendere omogenea e uniforme l’organizzazione del pubblico ministero a livello nazionale. L’iniziale presa di posizione da parte del Consiglio consiste, perciò, nel rifiuto dell’indifferenza
(200) La questione organizzativa era considerata infatti un’attività strumentale, benché distinta, all’esercizio della
giurisdizione, la cui gestione si presumeva essenzialmente di carattere amministrativo (v. cap. I, par. 1.1.3).
(201) I dirigenti devono indicare «se, soprattutto negli uffici di maggiori dimensioni, sono costituiti gruppi di
magistrati specializzati nella trattazione di determinate materie, se questi corrispondono ad analoghe specializzazioni degli uffici di istruzione, se sono istituiti turni per determinati servizi fra tutti o fra alcuni soltanto dei magistrati addetti all’ufficio, se e quali vantaggi o inconvenienti siano derivati dall’adozione di uno od altro schema [...]». CSM, Formazione
delle tabelle di composizione degli uffici giudiziari per l’anno 1988. Circolare n. 6309 del 19 maggio1987 – Notiziario n.8/87, in QCSM, 1990, n. 40, 170.
120 rispetto all’eventualità di una concreta affermazione del criterio specialistico (202), data anche l’imminente riforma della procedura penale.
Difatti, il periodo che ha preceduto il nuovo codice di procedura è stato caratterizzato da un clima di generale rinnovamento delle strutture giudiziarie, che si è protratto come minimo per il tempo compreso fra il primo e il secondo progetto di riforma (203). È dunque ragionevole sostenere che l’organizzazione della magistratura requirente fosse un punto cruciale nell’ottica di un nuovo ordinamento processuale, vista peraltro l’ipotesi di soppressione dell’ufficio del giudice istruttore (204). Il processo penale stava ormai assumendo caratteristiche adversary, ai maxi-processi stavano subentrando le maxi-indagini (205), e nelle grandi procure della Repubblica di Torino, Milano, Roma e Napoli si potevano già contare, senza obblighi formali ancora sanciti, “aree omogenee” di trattazione degli affari pressoché corrispondenti alle sezioni “specializzate” di Tribunali e Corti d’appello.