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Metodologie d’indagine specializzate: l’elaborazione dei protocoll

Il protocollo è una convenzione, un complesso di regole e procedure da osservare in occasione del compimento di determinate attività. Si tratta di uno strumento flessibile che si adatta a vari contesti, difficilmente classificabile in maniera rigida.

I protocolli si distinguono in tre principali categorie: protocolli organizzativi, d’indagine e investigativi.

3.4.1 Tipologie

Sul versante organizzativo, il protocollo è uno strumento d’intesa, di cooperazione, e ha come destinatari molteplici soggetti. Regola la gestione dei rapporti tra la procura e le altre parti che lo sottoscrivono, per consentire: a magistrati e servizi di polizia, di individuare istantaneamente chi sono i responsabili ai quali richiedere informazioni, oppure chi dev’essere interpellato quando accadono situazioni che coinvolgono certi enti e organizzazioni; a questi ultimi soggetti, la possibilità di conoscere in anticipo i comportamenti da adottare a fronte di episodi che mostrano possibili risvolti giuridico-penali; infine, alla procura stessa, di attuare partnership con gli enti del territorio per utilizzare risorse esterne e rendere più efficienti i processi di lavoro. Esempi del primo tipo sono i protocolli organizzativi sottoscritti con le amministrazioni locali, la magistratura contabile, gli ordini professionali o particolari autorità (come il garante per la privacy, gli istituti assicurativi e previdenziali). La seconda tipologia riguarda invece i protocolli firmati con ospedali, centri di accoglienza, consultori, strutture deputate alla gestione di fenomeni sociali diffusi come le tossicodipendenze e le psicopatie. L’ultima ipotesi concerne i protocolli sottoscritti con università, scuole di specializzazione e centri di ricerca. I protocolli d’intesa favoriscono la razionalizzazione dell’attività investigativa allestendo percorsi specifici e azioni comuni per lo scambio delle informazioni (329).

(329) I protocolli stipulati fra le procure ordinarie e le procure distrettuali costituiscono una categoria sui generis, a

metà strada fra i protocolli d’intesa e i protocolli investigativi in senso stretto. La prassi di stipulare “protocolli d’intesa” che coinvolgono, su più livelli, il Procuratore nazionale antimafia, i procuratori generali delle Corti d’appello, i procuratori della Repubblica distrettuali e territoriali ha lo scopo di impegnare gli uffici firmatari a eseguire una serie di attività nel momento in cui dovessero emergere collegamenti tra le indagini curate dalla procura distrettuale e dalle procure ordinarie.

185 I protocolli d’indagine sono strumenti chiarificatori che disciplinano aspetti lato sensu processuali dell’attività requirente. Rientrano in questa categoria, ad esempio, i protocolli inerenti all’utilizzo del decreto penale di condanna o all’impiego del provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto, le direttive per la prestazione del consenso al rito del patteggiamento e le griglie di commisurazione della pena patteggiata, le indicazioni sul giudizio direttissimo e gli arresti in flagranza (330), i protocolli sottoscritti con le camere penali e i tribunali per la gestione delle udienze, nonché i protocolli sottoscritti ai sensi dell’art. 21 della circolare del C.S.M. del novembre 2017 in tema di avocazione (protocolli disposti dal procuratore generale con i procuratori capo del distretto).

Sul piano investigativo, infine, il protocollo è strumento prescrittivo che indica l’osservanza di tecniche operative, metodologie e criteri d’indagine di comprovata efficacia. Sono investigativi i protocolli che disciplinano le modalità di accertamento dei fatti in relazione a specifiche tipologie criminose, ad esempio in materia ambientale e finanziaria. A differenza delle altre due tipologie, protocolli di questo genere sono diffusi anche sotto forma di direttive, circolari e linee guida che vengono confezionate dal procuratore della Repubblica per poi essere trasmesse a magistrati e agli organi di polizia giudiziaria.

Rispetto al criterio di specializzazione, meritano attenzione i protocolli investigativi.

3.4.2 Principali caratteristiche dei protocolli sul piano investigativo

In quanto modelli di best practice, i protocolli investigativi si adattano al caso concreto, sono sempre modificabili e hanno la finalità di portare gli inquirenti all’acquisizione o alla scoperta di prove e indizi utili per la prosecuzione dell’iter procedimentale. Si distinguono protocolli investigativi di tipo “urgente” o “pianificato”, a seconda che la componente programmatico-investigativa sia rispettivamente di contenuto minore o maggiore rispetto alla componente pratico-operativa di breve termine. In questo senso, dunque, sono il risultato della sperimentazione di tecniche investigative in relazione a specifiche tipologie criminose (cd. learning by doing).

Si veda, in argomento, I. MATERIA, Il coordinamento delle indagini collegate in ambito infra-distrettuale, inG.MELILLO

-A.SPATARO -P.L.VIGNA (a cura di), Il coordinamento delle indagini di criminalità organizzata e terrorismo, Milano, Giuffrè, 2004, 127-142.

(330) Le esemplificazioni in materia di patteggiamento e direttissimo sono state estrapolate da V. PACILEO, Op. cit.,

186 Inoltre, in materia di metodologie investigative, era già stata sottolineata l’assenza di studi sui protocolli utilizzati nell’attività requirente (331). Pensando a un altro settore in cui assumono considerevole importanza i protocolli operativi, viene in rilievo il settore medico-sanitario, dove l’interesse scientifico sul tema della validità e della violazione dei protocolli adottati è ben maggiore rispetto al settore giuridico in cui si muove l’autorità giudiziaria. È vero anche che si potrebbero ottenere “protocolli standard” di indagine per tipi di reato, come i protocolli sanitari, se si ragionasse in maniera induttiva (332), ossia esaminando le concrete esperienze investigative utilizzate dai singoli per elaborare, in via generale, una serie ordinata di operazioni applicabili a un numero n di contesti investigativi più o meno somiglianti tra loro.

Ma si tratterebbe di strumenti che non trovano comunque un’espressa giustificazione in alcuna fonte normativa. Non sono tipici, né tassativi.

Questa mancanza non deve essere trascurata dallo studioso del processo penale. Che cosa succederebbe se gli inquirenti, durante le indagini, si discostassero dalle modalità operative prescritte dal protocollo? Allor che è incerta la validità degli elementi raccolti, e, per conseguenza, la loro utilizzabilità nel corso del procedimento. Accade che se ne faccia uso, comunque.

Va osservato, nel merito, che i protocolli investigativi vengono ormai elaborati con riferimento a qualunque fattispecie penale, in particolare per accertare quei reati che esigono il compimento di precise operazioni da effettuare in sequenza, a cadenza temporale prestabilita. È il caso dei reati di omicidio, violenza sessuale, abusi sui minori, maltrattamenti familiari, ma anche di reati in materia di circolazione stradale, tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro e criminalità informatica.

È per questo motivo che l’elaborazione di un protocollo coinvolge più soggetti. Per esempio, le forze di polizia giudiziaria, gli enti ospedalieri e i servizi sociali operano di concerto per la raccolta e la conservazione di materiali biologici, assumono informazioni e prove dichiarative, tutelano, altresì, la salute psico-fisica della vittima del reato. Ogni incertezza in merito al da farsi aumenta le probabilità di disperdere tracce e rilievi utili, come accade nel caso di ritrovamento di un cadavere.

Per avere risultati effettivi, i protocolli devono contenere criteri operativi chiari, precisi, realizzabili e sintetici. Se così non fosse, si giocherebbe una mossa a dir poco sconveniente. E infatti, il Consiglio superiore incoraggia l’elaborazione di protocolli investigativi da parte dei dirigenti con la collaborazione dei magistrati, soprattutto dei procuratori aggiunti, cui essi sono destinati. Nell’esercizio dei poteri di coordinamento, i procuratori aggiunti in effetti possono anche stabilire

(331) G. N: RODIGHIERO, Capitolato di indagine per singoli tipi di reato, in Rivista italiana di medicina legale,

1994, n. 3, 621. (332) Ibidem

187 linee generali d’intervento, come lo scambio di informazioni all’interno dei gruppi di lavoro e l’impiego di certi mezzi investigativi (cfr. Risoluzione CSM del 21 luglio 2009, punto 2.2). Da questa prospettiva, un riferimento implicito ai protocolli sembra essere contenuto anche nella legge di riforma dell’ordinamento giudiziario, nella parte in cui il legislatore incoraggia la previsione di criteri generali per l’«impostazione delle indagini» (333).

Se l’uso dei protocolli trovasse una copertura legislativa ad hoc, mancherebbe in ogni caso una presa di posizione altrettanto qualificata a proposito della loro violazione e delle conseguenti incombenze processuali. Dovrebbe essere reso esplicito il carattere cogente o facoltativo delle regole inserite nei protocolli. La questione si è posta anche in sede di redazione della circolare consiliare del novembre 2017. Mancando una copertura normativa, siano essi investigativi od organizzativi, i protocolli vanno inseriti tra i contenuti eventuali, non essenziali del progetto organizzativo. La collocazione tra le fila delle disposizioni accessorie potrebbe indurre comportamenti opposti fra i sostituti: sul piano formale, non essendo essenziali ben potrebbero essere avvertiti come non vincolanti; per la stessa ragione, ma in senso contrario, l’avvenuta formalizzazione potrebbe nondimeno giustificare la conformazione a livello operativo da parte dei sostituti, che sarebbero indotti a credere come vincolanti le disposizioni protocollari.

In caso di violazione, dunque, quid iuris?

3.4.3 De iure condendo: inosservanza dei protocolli e responsabilità del magistrato

Se la linea d’intervento adottata dagli inquirenti non coincide con quella stabilita dal protocollo, allo stato, la divergenza non rileva sul piano processuale, perché prevalgono le esigenze sottese al caso concreto. Tuttavia, se il mancato rispetto del modello operativo è intenzionale, oppure non risulta giustificato in virtù del caso concreto, il procuratore della Repubblica ben può esercitare il potere di revoca dell’assegnazione (334).

La revoca è un rimedio generale che il dirigente può azionare al fine di preservare l’unità dell’ufficio (v. Cap. I, par. 1.5.3). L’unità dell’ufficio, per ragioni intuitive, viene compromessa da comportamenti che eccedono senza giustificato motivo le direttive comuni. Cosicché, il mancato rispetto dei protocolli si ripercuote nell’ambito dei rapporti interni fra procuratore capo e p.m. titolare del procedimento.

(333) Art. 4, comma 2, d. lgs. 106/2006, cit.

(334) È di questa opinione anche F. MENDITTO, L'organizzazione delle procure nella stagione della controriforma,

188 Infatti, se si reputa che la predisposizione dei protocolli investigativi sia espressione di un potere a contenuto gestionale che la legge attribuisce al dirigente per assicurare il corretto, puntuale e uniforme esercizio dell’azione penale (335), allora la ricostruzione offerta risulterà convincente. Per evitare la revoca dell’assegnazione, il p.m. titolare del procedimento che non volesse comunque attenersi al modello operativo previsto per la materia oggetto di trattazione, potrebbe senz’altro astenersi e restituire sua sponte il procedimento al titolare della procura.

Per l’interprete si propone in ogni caso la necessità di riflettere più approfonditamente, nel prossimo futuro, sul tema della metodologia investigativa, perché questo è un settore dal quale si possono ricavare nuovi interrogativi (ma anche nuove risposte) sul tema della responsabilità dei magistrati. Responsabilità che in questo caso scaturisce dalla mancata osservanza delle disposizioni contenute nei protocolli.