2.2 Chiarimento sulle origini della specializzazione dell’attività requirente.
2.2.4 Fase moderna
Con la circolare da ultimo indicata si esaurisce la potestà che aveva il C.S.M. nel determinare i criteri organizzativi degli uffici di procura. Il d. lgs. n. 106 del 2006 abroga il comma 3 dell'art. 7-ter ord. giud. segnando, almeno inizialmente, un ritorno al passato. Il dirigente diventa vertice organizzativo dell’ufficio. Un esame più accorto mostra tuttavia che in realtà è accaduto l’esatto contrario: proprio il citato decreto ha finito col proiettare la specializzazione verso la fase successiva. Ciò in quanto ai commi 4 e 6 dell’articolo 1 del decreto viene stabilito che il procuratore della Repubblica debba individuare «specifici settori di affari» in relazione ad aree omogenee di reati, procedimenti ovvero ambiti che necessitano di indirizzo uniforme; dopo averli identificati, il procuratore determina le tipologie di affari da assegnare a un gruppo di magistrati specializzati. L’articolo 4, comma secondo, gli attribuisce, inoltre, la facoltà di definire i criteri generali cui i magistrati devono attenersi «per l’impostazione delle indagini in relazione a settori omogenei di procedimenti». Dunque, è come se il legislatore avesse attribuito forza di legge alle disposizioni che erano previste già dalla normativa secondaria.
In effetti, quelle appena richiamate possono essere considerate le principali fonti normative interne del fenomeno specialistico, fermo restando, tuttavia, che l’interprete, onde ricavarne lo statuto, deve volgersi altrove.
Lo statuto della specializzazione si ricava a partire da due provvedimenti del C.S.M., che giungono a breve distanza dalla riforma. Il novum legislativo avrebbe potuto rendere vani gli sforzi profusi dall’organo di autogoverno nella diffusione di modelli organizzativi omogenei e uniformi, per
(228) CSM, Circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il biennio
2006/2007, Circolare n. P- 27060 del 19 dicembre 2005 – Deliberazione del 15 dicembre 2005 e succ. modif., in QCSM,
131 cui le risoluzioni datate 12 luglio 2007 e 21 luglio 2009, in materia di organizzazione del pubblico ministero, contengono una serie di principi e di linee guida da cui le procure possono attingere per gestire l’ufficio sul modello delle già collaudate disposizioni tabellari (229).
Nella risoluzione del 12 luglio 2007, il Consiglio esorta anzitutto a costituire gruppi di lavoro specializzati per assicurare il perfezionamento delle tecniche investigative in determinate materie (v. par. 3.2. b), e, in seconda battuta, incoraggia la specializzazione delle competenze. La materia viene affrontata con maggiore rigore argomentativo nella risoluzione del 21 luglio 2009, dove si piantano i capisaldi della specializzazione requirente. Nell’ottica della risoluzione, l’applicazione del criterio specialistico deve costituire lo strumento pratico per conseguire i tre obiettivi fondamentali, che sono la ragionevole durata del processo, il corretto, puntuale e uniforme esercizio dell’azione penale nel rispetto delle norme sul giusto processo, l’efficienza nell’impiego della polizia giudiziaria e nell’uso delle risorse tecnologiche e finanziarie. Per garantire il corretto, puntuale e uniforme esercizio dell’azione, i dirigenti, compatibilmente con le dimensioni dell’ufficio, devono predisporre criteri di distribuzione degli affari equi e funzionali, nonché curare la costituzione di gruppi di lavoro in settori particolari come il diritto penale dell’economia, i reati commessi a danno di soggetti deboli, i reati in materia ambientale e di tutela dei lavoratori nei luoghi di lavoro.
Anche in questa occasione, il dato testuale svela la presa di posizione del Consiglio. Per prima cosa, viene chiesto, infatti, di «assicurare» una distribuzione equa e funzionale delle questioni penali tra i vari procuratori: equità e funzionalità non implicano l’adozione di criteri rigidamente predefiniti, ma consigliano una distribuzione razionale adattabile alle esigenze del caso concreto e alle specifiche competenze possedute o acquisite dai sostituti. In aggiunta, la risoluzione raccomanda al procuratore di «curare» la formazione dei gruppi, vale a dire che è richiesto un impegno attivo nell’individuazione delle aree omogenee da affidare alla trattazione dei magistrati specializzati.
A un’analisi più approfondita, non sfugge che dal punto di vista espressivo il “tono” dei documenti consiliari sia nuovamente mutato, certamente in senso di maggiore mitezza, rispetto a quello che aveva caratterizzato le circolari sulle tabelle già esaminate. È altamente probabile che le ragioni del cambiamento siano l’intervenuta abrogazione dell’art. 7-ter, comma 3, ord. giud. e la perdita della “direzione dei lavori” sull’organizzazione delle procure. I risultati che la ricerca ha ottenuto su questo punto, in definitiva, confutano l’esistenza di altre ragioni pur egualmente plausibili che possano giustificare un sostanziale ritorno al passato della posizione del Consiglio superiore,
(229) Entrambe sono disponibili in https://www.csm.it/web/csm-internet/norme-e-documenti/atti-
132 soprattutto perché ora è fatto obbligo (per legge) di non invadere le prerogative di autonomia e indipendenza dei dirigenti.
Negli anni successivi alle due risoluzioni, il tempo è trascorso normalmente, senza che fosse rimesso in discussione lo stato delle cose venutosi a creare a dieci anni dalla riforma Castelli (e dalla contro-riforma Mastella). L’avvicendamento sulle poltrone della politica, comunque, non è stato affatto privo di rilievo. Anzi, sul finire del 2015, l’allora Ministro della giustizia Orlando incaricò una commissione di studio per la riforma dell’ordinamento giudiziario presieduta da Michele Vietti. Conviene anticipare che con il deposito della relazione finale dell’omonima Commissione, si chiude anche la fase moderna della specializzazione (230).
I lavori della Commissione vengono svolti nella prospettiva dell’aggiornamento e della razio- nalizzazione di alcuni profili ordinamentali, per adeguarsi e rispondere in modo più veloce ai bisogni della società. A tal uopo, è onere della magistratura sforzarsi per adottare metodologie di qualità specialistica, ugualmente valide a seconda della realtà distrettuale o di prossimità degli uffici giudiziari. Le proposte della Commissione si inseriscono all’interno e a chiusura del processo evo- lutivo tracciato sin qui perché la specializzazione e le prassi costituite in funzione del relativo criterio vengono classificate nel progetto di riforma come vero e proprio stratagemma istituzionale; pensare al fenomeno specialistico come se si fosse ancora dinanzi a una prassi facoltativa non sarebbe granché utile – a parere della Commissione – per garantire l’efficienza e la semplificazione del sistema.
Bisogna invece promuovere come valore connaturato all’intera funzione giudiziaria la specializzazione e la ripartizione delle competenze, adoperando a tal fine varie misure organizzative. Per esempio, per gli uffici giudicanti si propone la realizzazione, da parte del Consiglio su proposta del Presidente della Corte d’appello e del Consiglio giudiziario locale, di sezioni distrettuali specializzate in una o più materie, in ragione dei flussi e delle reali esigenze che scaturiscono dalla realtà criminale di riferimento (231). In altri termini, la Commissione Vietti propone di riformare l’ordinamento all’insegna della specializzazione avanzata della magistratura (v. supra par. 2.1), perché questo è l’unico modo – seriamente praticabile n.d.r. – per avere «la botte piena della tempestività e la moglie ubriaca della prevedibilità» (232).
(230) V. retro nota n. 94.
(231) Cfr. relazione finale della Commissione Vietti, presso
https://www.giustizia.it/resources/cms/documents/Vietti_relazione_12ago2015.pdf [febbraio 2020], 8-10.
(232) Così, letteralmente, M. VIETTI, Mettiamo giudizio, cit., 20, che riferisce soprattutto alla magistratura
133 Forse che i tempi non sono ancora maturi per una riforma di così grande portata innovativa, ma l’eco delle proposte formulate e dei caposaldi fissati in questa fase risuona anche nel periodo a noi più contemporaneo.