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Assetto ordinamentale del pubblico ministero: evoluzione e tratti caratteristici

1.1 Per una giustizia di qualità La cultura dell’organizzazione requirente nel

1.1.3 Assetto ordinamentale del pubblico ministero: evoluzione e tratti caratteristici

Chiarita la necessità di operare all’insegna di una svolta culturale della magistratura, giova premettere brevi cenni in ordine agli sviluppi essenziali dell’assetto ordinamentale degli uffici requirenti, perché si verte in un settore costituzionale alquanto imperfetto (32).

(30) Detta tendenza è strettamente collegata alla tenuta del principio di legalità processuale, la cui congenita

debolezza risulta amplificata, in effetti, da prassi applicative che trascurano la cogenza delle regole codicistiche. Al riguardo, si vedano le riflessioni di D.NEGRI, Splendori e miserie della legalità processuale. Genealogie culturali, "èthos"

delle fonti, dialettica tra le corti, Relazione al convegno Legalità penale e legalità processuale: dissociazioni tra modelli e realtà (Roma, 29 maggio 2017), in Archivio penale, 2017, n. 2, 421.

(31) R. ORLANDI, La riforma del processo penale fra correzioni strutturali e tutela “progressiva” dei diritti

fondamentali, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2014, n. 3, 1134.

(32) La materia si colloca nella parte II del Titolo IV della Costituzione, che, in diverse occasioni, fa riferimento

all’ordinamento giudiziario, ma non sempre in maniera precisa, coerente ed esaltante. È opinione comune e consolidata che in questo settore il testo costituzionale sia ambiguo e bisognoso di correzione. In questo senso, già M.CAPRUSO, I

giudici della Repubblica: giudici soggetti alla legge o giudici di fronte alla legge?, Milano, Edizioni di Comunità, 1977,

101 ss.; A.PIZZORUSSO, Introduzione, in AA.VV., in A.PIZZORUSSO (a cura di), L’ordinamento giudiziario, Bologna, Il Mulino, 1974, 24 ss.; per altri si tratta di formule non esaltanti, cfr. G.NEPPI MODONA, sub. art. 112 e 107 comma 4, La

magistratura, IV, Art. 111-113, in G.BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma, Zanichelli-Il Foro italiano,1987, 40 e 69,70; così S.BARTOLE, Corte costituzionale e magistratura, in N.OCCHIOCUPO (a cura di), La

35 Com’è noto, anteriormente all’entrata in vigore della Costituzione, l’ordinamento del potere giudiziario era stato dapprima modellato sul calco dell’ideologia napoleonica e, passando per le riforme Orlando del 1907 e 1908, di quella del periodo fascista (33). Se si guarda in prospettiva cronologica, ci si avvede della circostanza che i mutamenti dell’assetto ordinamentale siano stati da sempre l’esito di un braccio di ferro tra la magistratura e il potere politico (34).

Nello specifico, sotto la vigenza dell’ordinamento giudiziario “Cortese” del 1865 (r.d. 6 dicembre 1865, n. 2626) e dell’ordinamento giudiziario “Oviglio” del 1923 (r. d. 30 dicembre 1923, n. 2786), la funzione giudiziaria era caratterizzata, sul piano strutturale, da un rapporto di servizio col potere di governo. Gli organi di giustizia appartenevano a un corpo burocratico istituito nell’ambito dell’amministrazione centrale. In particolare, il pubblico ministero – per dirla con Calamandrei – era l’“occhio del governo” (35). L’articolo 77 del r. d. 30 dicembre 1923, n. 2786, stabiliva che il pubblico ministero era infatti «il rappresentante del potere esecutivo presso l’autorità giudiziaria […] posto sotto la direzione del Ministro della giustizia».

Se ne affermava la natura essenzialmente amministrativa, alla quale, dal punto di vista organizzativo, corrispondeva una struttura adattata al modello degli apparati burocratici dello Stato centrale.

Esistevano uffici requirenti presso le corti, i tribunali e le preture. All’interno degli uffici, i rapporti erano ordinati in base a una rigida gerarchia, con al vertice il procuratore capo. Questi aveva l’onere di garantire unità e indivisibilità nell’azione dei funzionari d’accusa, predisponendo una

Corte costituzionale tra norma giuridica e realtà sociale, Bologna, Il Mulino, 1978, 404; manca di precisione e coerenza

per G.SILVESTRI, Giudici onorari, giudici speciali e unità della giurisdizione nella Costituzione italiana, in Scritti in

onore di Massimo Severo Giannini, III, Milano, Giuffrè, 1988, 709. Per una conferma, tra gli autori recenti, anche per gli

altri riferimenti bibliografici, cfr. G.FERRI, Ordinamento Giudiziario e Costituzione, in G.FERRI -A.TEDOLDI (a cura di), L’ordinamento giudiziario a dieci anni dalla legge n. 150 del 2005, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2016, 2-3; M.DEVOTO, voce Ordinamento giudiziario, in Enc. giur., Treccani, XXI, Roma, 2000, 4.

(33) In epoca fascista, il potere di indirizzo politico-normativo è stato accentrato in capo al solo governo, secondo

la concezione totalitaria dello Stato, in cui si sarebbe dovuta identificare l’intera società nazionale. In questo senso, cfr. G.DE VERGOTTINI, Diritto costituzionale, Milano, Wolters Kluwer [Padova, Cedam], 2017, 128.; sull’assetto dei rapporti costituzionali fra l’esecutivo e la magistratura, si vedano A. GUSTAPANE, L’autonomia e l’indipendenza della

magistratura ordinaria nel sistema costituzionale italiano. Dagli albori dello Statuto Albertino al crepuscolo della Bicamerale, Milano, Giuffrè, 1999, 99 ss.; E. SPAGNA MUSSO, Problemi costituzionali del pubblico ministero, in Riv. it.

dir. e proc. pen., 1963, n. 2, 407.

(34) Il rapporto con il potere politico è il principale filo rosso che consente di interpretare nella maniera corretta il

passaggio tra le diverse leggi sull’ordinamento giudiziario della storia italiana. In questo senso, F.DAL CANTO, Le

trasformazioni della legge sull’ordinamento giudiziario e il modello italiano di magistrato, in Quaderni costituzionali,

2017, n. 3, 671.

(35) Il problema dello status del p.m. e dei rapporti con l’esecutivo creò diverse correnti già in sede costituente: da

Calamandrei, che sosteneva la necessità di svincolare il p.m. dall’esecutivo attribuendogli le garanzie già previste per i giudici, a Leone, che al contrario propendeva per la dipendenza dal Ministro di grazia e giustizia, a Patricolo e Castiglia, che, pur essendo a favore dell’indipendenza della magistratura, volevano comunque che fosse istituito un “Ministro non politico della giustizia” al vertice del potere giudiziario. Si veda, per tutti, cfr. A. BARBERA, Calamandrei e l’ordinamento

giudiziario: una battaglia su più fronti, Relazione a convegno Piero Calamandrei e la ricostruzione dello Stato democratico (Firenze, 18 febbraio 2006), presso www.forumcostituzionale.it, 31 luglio 2006, [febbraio 2020].

36 griglia di criteri ai quali costoro dovevano attenersi nell’assolvimento di specifici compiti o affari. In caso di inosservanza dei criteri investigativi fissati dal procuratore, si poteva revocare l’incarico ad

nutum. Nel complesso, anche in virtù dei poteri che erano riservati al Ministro della giustizia,

l’ascendente “politico” del sistema giudiziario era inequivocabile.

Il carattere gerarchico del rapporto interno fra organi d’accusa e il condizionamento esterno da parte del potere politico sono andati attenuandosi con la codificazione processuale del 1930. Al pubblico ministero furono riservati poteri istruttori autonomi, per garantire l’esercizio dei quali risultava necessario predisporre adeguamenti della normativa di riferimento, a livello processuale e organizzativo. Con il r. d. 30 gennaio 1941, n. 12 (cd. ordinamento “Grandi”, d’ora in avanti come ord. giud.), il sistema giudiziario italiano ha assunto una forma sostanzialmente definitiva; anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione non si rinviene alcun intervento normativo che rappresenti, in senso assoluto, un nuovo “ordinamento”. Ciò, nonostante che la VII disposizione transitoria e finale della Carta disponesse di emanare la nuova legge sull'ordinamento giudiziario (36). Le riforme successive si sono caratterizzate, piuttosto, per la necessità di revisionare la sistemazione previgente dei rapporti tra pubblici poteri, mirando a eliminare gli avanzi del periodo fascista e lasciando, invece, inalterato l’assetto strutturale. Infatti, nel 1946, con il cd. decreto Togliatti (r. d. lgs. 31 maggio 1946, n. 511) la magistratura ottenne importanti guarentigie a tutela di indipendenza, autonomia e terzietà della funzione. Profondi mutamenti si hanno tuttavia in seguito all’espresso riconoscimento dell’obbligo di esercitare l’azione penale (37). Per quanto la Costituzione non avesse apportato modifiche sul piano delle attribuzioni delineate dall’art. 73 ord. giud., la collocazione istituzionale del pubblico ministero era stata svincolata dal potere esecutivo, nei confronti del quale se ne affermava l’indipendenza (38). Gran parte delle prerogative che appartenevano al ministro furono attribuite al rigenerato Consiglio superiore della magistratura (operativo a partire dal 1958), che da organo consultivo e amministrativo divenne, quindi, organo di autogoverno.

Affianco al potere pressoché esclusivo di adire la giurisdizione penale, il principio di obbligatorietà aveva condotto ben presto, sul piano effettuale, all’aumento dei carichi di lavoro delle

(36) In proposito, si veda C.S.M., Relazione annuale sullo stato dell’amministrazione della giustizia (1991),

L’attuazione della VII disposizione transitoria della Costituzione. Orientamenti per la riforma dell’ordinamento giudiziario, in Quaderni del Consiglio superiore della magistratura, 1992, n. 55, 1.

(37) Malgrado l’attribuzione di importanti garanzie ai magistrati del pubblico ministero, il decreto però non ha

rivisitato l’impianto organizzativo messo a punto nella seconda metà del XIX secolo, cfr. A. PIZZORUSSO,

L’organizzazione della giustizia in Italia. La magistratura nel sistema politico e istituzionale, Torino, Einaudi, 1990, 37.

(38) «Il pubblico ministero nasce dall'alto - si è detto - come emanazione del potere sovrano e tale rimane anche

dopo la fine dell'Ancien Régime, quando le leggi di ordinamento giudiziario lo qualificheranno come `rappresentante dell'esecutivo presso l'autorità giudiziaria'», così in buona sostanza sino a che l’obbligatorietà dell’azione penale è stata inserita nella Costituzione. In questi termini, R.ORLANDI, voce Pubblico ministero (ufficio del), in Enciclopedia del

37 procure. La situazione peggiorò all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale e del rito accusatorio (39), tanto che, al fine di recuperare sufficienti livelli di efficienza, si decise di intervenire nuovamente sull’assetto ordinamentale della magistratura. La riforma del cd. giudice unico (d. lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, e L. 16 dicembre 1999, n. 479) portò, verso la fine del 2000, a quello che sarebbe stato, almeno in ipotesi, l’assetto definitivo della magistratura, con la soppressione degli uffici del pubblico ministero presso le preture. Così però non è stato, sia perché la riforma non contribuì affatto a migliorare la situazione del carico di lavoro degli uffici giudiziari e sia a causa dell’instabilità politica degli anni successivi.

L’assetto della funzione requirente di cui si tratterà nel prosieguo, quindi, è il risultato di un lungo percorso evolutivo che non accenna ad arrestarsi, neanche dopo le riforme “Castelli” (l. 25 luglio 2005, n. 150, e decreti attuativi (40)) e “Mastella” (l. 30 luglio 2007, n.111).

Anticipando alcune delle questioni che saranno oggetto di un più attento esame, entrambe queste due riforme hanno assunto grande rilevanza nel processo di consolidamento del fenomeno specialistico per gli uffici requirenti. Intervenendo sul piano organizzativo dell’azione penale, piuttosto che sulle strutture e sui modelli di esercizio della funzione, hanno determinato un cambiamento di prospettiva fondamentale: dall’organizzazione dell’ufficio all’organizzazione dell’attività. In tale prospettiva, il procuratore conserva, in quanto vertice, la direzione di un’organizzazione unitaria funzionale alla correttezza, puntualità e uniformità dell’azione penale, in attuazione del criterio di specializzazione delle competenze investigative.

Dunque, all’esito del percorso evolutivo tracciato in ordine al contesto ordinamentale del pubblico ministero, vengono in rilievo i tratti che hanno caratterizzato sino a ora le riforme della giustizia in questo particolare settore. Dapprima è stata affermata l’indipendenza degli organi requirenti, svicolando il pubblico ministero dal giogo del potere politico; dopodiché, è stata ridefinita la configurazione strutturale delle procure, riducendo il numero degli uffici e razionalizzando le funzioni; infine, sono stati ritoccati gli aspetti funzionali all’esercizio dell’azione penale, attribuendo considerevoli poteri direttivi al procuratore capo e prediligendo schemi organizzativi basati su criteri di specializzazione. La tendenza risulta chiara: nel corso del tempo, le modifiche all’ordinamento requirente hanno riguardato, in buona sostanza, una dopo l’altra, la posizione istituzionale degli organi d’accusa, la dislocazione del potere di attivare la giurisdizione penale e la gestione del potere di esercizio della relativa azione.

(39) F.RUGGIERI, Note introduttive, in F.RUGGERI -M.MILETTI -C.BOTTI -D.MANZIONE -E.MARZADURI, Il

principio di obbligatorietà dell’azione penale oggi: confini e prospettive, in Criminalia, 2010, 302.

(40) La delega è stata attuata con una serie di decreti delegati; si tratta dei decreti nn. 20, 24, 25, 26, 35, 62, 106,

38 Si è trattato di riforme strutturali, in coerenza con il quadro della politica penale europea. Tutti questi valori, infatti, sono stati al centro della riflessione sull’organizzazione degli uffici d’accusa anche oltre i confini nazionali, dove, nonostante le differenze dei singoli ordinamenti, sono stati fissati alcuni criteri comuni indispensabili.