2.2 Chiarimento sulle origini della specializzazione dell’attività requirente.
2.2.2 Fase di ufficializzazione
(202) Se si sofferma l’attenzione sul contenuto della circolare sulla composizione delle tabelle delle preture
circondariali la (circolare n. 3885 del 10 marzo 1989), è possibile notare più decisione nelle parole del Consiglio: «Al fine di assicurare una adeguata specializzazione del giudice ed una migliore distribuzione del lavoro nonché per altri rilevanti motivi, si dovranno, di regola, tenuto conto della struttura organizzativa e della dislocazione territoriale delle sezioni distaccate, assegnare alle sezioni non distaccate della sede circondariale o ad uno o più magistrati assegnati alla stessa […] specifici affari concernenti l’intero circondario […]». Chiaramente si tratta di ben altro rispetto alla funzione del p.m., ma il paragone è utile se si considera che alla base dell’intervento si colloca la possibilità di affinare le competenze specializzate in vista della migliore distribuzione del lavoro e, dunque, per l’efficienza dell’ufficio di pretura. Si ritiene probabile che il “se” della circolare volesse rappresentare il tentativo di sondare l’impatto della specializzazione sulla funzione requirente, auspicando i risultati di efficienza che potevano essere ottenuti, mutatis mutandis, dalle preture circondariali. Si è trattato di un’opportunità di studio sollecitata dalla quasi coeva emanazione del nuovo codice di procedura penale.
(203) Infatti, anche al tempo della prima legge delega per la riforma del codice di rito e ben prima che entrasse in
vigore quello «nuovo», la dottrina aveva sostenuto l’inagibilità del progetto complessivo di riforma della procedura penale, perché si sarebbe quasi certamente prodotto un aggravio dei carichi di lavoro per ciascuno dei soggetti processuali; inoltre, il nuovo codice avrebbe condotto a un ordinamento processuale «a compartimenti stagni», con tutte le conseguenze del caso a proposito delle sue strutture. Tale era lo scenario, che il progetto di riforma avrebbe dovuto essere sottoposto a un «aborto terapeutico». In questi termini, V.VICINI, Processo penale e giustizia penale. Alla ricerca di una
riforma, Bologna, Il Mulino, 1982, 60-61, 111.
(204) Definito «un inutile doppione» del pubblico ministero, ID., 120.
(205) Si veda L. MARAFIOTI -G.FIORELLI -M.PITTIRUTI, Maxiprocessi e processo “giusto”, in A.BARGI (a cura
di), Il “doppio binario” nell'accertamento dei fatti di mafia, Torino, Giappichelli, 2013, 653; E. AMODIO, Patologia del
maxiprocesso: diagnosi e terapeutica, in Anatomia del maxiprocesso (Atti del convegno) in Dif. Pen., 1987, 7, nonché
121 Varato il d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449, relativo al nuovo processo penale, il procuratore della Repubblica assume ufficialmente il compito di dirigere e organizzare l’ufficio requirente, ai sensi del neointrodotto art. 70, terzo comma, ord. giud. (206).
Le nuove disposizioni acquisiscono efficacia il successivo 25 ottobre 1989, e a un mese da questa data, per la prima volta dopo le modifiche ordinamentali, il C.S.M. interviene sull’organizzazione del pubblico ministero. Con la circolare C.S.M. del 28 novembre 1989, n. 16537, in materia di tabelle degli uffici giudiziari per il biennio 1990-1991, ha inizio il processo di ufficializzazione del criterio specialistico.
Per quanto, al punto 11, la specializzazione venga ancora considerata come una circostanza oggetto di studio, comincia a diffondersi l’idea che essa sia un valido esempio di prassi investigativa. Nell’arco di un decennio circa, i titolari degli uffici requirenti istituiscono molteplici articolazioni interne specializzate per la trattazione di specifiche tipologie di reato, mentre il legislatore, dal canto suo, ne fissa i presupposti normativi.
Insieme con la riforma dell’88-89, l’introduzione nell’ordinamento delle Direzioni distrettuali antimafia rappresenta un’altra tappa di grande importanza. Siccome l’esperienza dei gruppi specia- lizzati è maturata allorché si era registrato il fallimento delle tecniche di contrasto tradizionali della criminalità terroristica, bisognava porre mano al sistema di coordinamento delle indagini e allo scam- bio delle informazioni tra i vari uffici. Difatti, la circolazione delle notizie era ostacolata da precetti formali a tutela del segreto istruttorio e perciò, in buona sostanza, risultava esclusivamente dalla vo- lontà dei dirigenti. Giovanni Falcone fu tra i primi a mettere in evidenza le problematiche del coor- dinamento investigativo e del collegamento delle indagini svolte in contemporanea dalle procure (207).
In un contesto del genere, è chiaro che la buona riuscita delle operazioni investigative soggiace alla volontà di cooperare. Per questo motivo, l’efficacia delle indagini più complesse poteva dipendere dalla discrezionalità dei capi degli uffici. Un sistema di questo tipo non era affatto adeguato a contrastare i reati di mafia, né di terrorismo, che, come noto, sono entrambi fenomeni “liquidi” (208).
(206) Il testo della norma appena richiamata dispone infatti che i «titolari degli uffici del pubblico ministero dirigono
l'ufficio cui sono preposti, ne organizzano l'attività ed esercitano personalmente le funzioni attribuite al pubblico ministero [...]».
(207) Si veda G. FALCONE Le critiche ai maxiprocessi, in FONDAZIONE G.eF.FALCONE (a cura di), La posta in
gioco. Interventi e proposte (1982- 1992), Milano, Bur, 2010, nonché G. FALCONE, Professionalità e coordinamento per
sconfiggere Cosa Nostra, Id.
(208) Le connessioni fra terrorismo e mafia sono state evidenziate sin dalla Posizione Comune adottata dal Consiglio
122 Con queste premesse, è stato dunque costituito un sistema di contrasto del fenomeno mafioso basato su competenze investigative, sia di conduzione delle indagini sia di coordinamento, del tutto esclusivo. Detto sistema ha avuto origine dall’unione del modello organizzativo dei gruppi di lavoro specializzati con le competenze specialistiche delle squadre investigative: le cd. Direzioni (o Procure) distrettuali antimafia (D.D.A.), sono uffici requirenti specializzati nell’attività di indagine sui fenomeni mafiosi che vengono coordinati, a livello nazionale, dalla Direzione (o Procura) Nazionale Antimafia (D.N.A.), e, a tal fine, sono assistiti nello svolgimento delle operazioni dalla Direzione investigativa antimafia (D.I.A.), l’organismo specializzato delle forze di polizia.
Questo è un dato di estrema rilevanza, e si vorrebbe spiegarne in poche righe la ragione. Tramite l’accentramento del coordinamento relativo alle indagini sui reati di mafia, è stato istituito, ai sensi dell’art. 70-bis dell’ord. giud. (209), il primo circuito informativo requirente specializzato dello Stato (visibile nel rapporto DDA-DNA) (210). In questi termini, la specializzazione dei pubblici ministeri e delle forze di polizia sotto la sua dipendenza è stata ripulita dalla logica emergenziale della prima fase (211), per essere inclusa fra le metodologie ordinarie di persecuzione criminosa. Si è così compiuto il passaggio da uno spontaneo (auto-)coordinamento a un coordinamento programmato delle indagini (art. 371-bis c.p.p.), a vantaggio della cooperazione tra uffici giudiziari, del raccordo con gli organismi di polizia e con le autorità straniere (212).
La costituzione di magistrati specializzati nell’antimafia organizzati in gruppi di lavoro è ora ufficiale, non si è più di fronte a una prassi consuetudinaria, ma a gruppi e organismi di lavoro strutturati per espressa previsione di legge. Benintesi, i gruppi specialistici interni alla procura non sono la stessa cosa dei gruppi specializzati-D.D.A. Fermo restando quanto già detto in precedenza, a proposito della distribuzione dei carichi di lavoro e degli affari in entrata (v. cap. I, par. 1.5.2), a differenza degli altri, i magistrati della D.D.A. orientano la propria attività in base alle direttive sia del procuratore capo, per le questioni di sua competenza, sia del procuratore antimafia, per gli aspetti
durata temporale del sodalizio e alla continua necessità di raccogliere proventi economici. Si considerino, ad esempio, le rendite del traffico di armi, stupefacenti e migranti, del riciclaggio, del contrabbando di opere d’arte, ecc...; in merito, cfr. F. ROBERTI, Terrorismo internazionale. Contrasto giudiziario e prassi operative, in Questione Giustizia, Speciale
settembre 2016 - Terrorismo internazionale. Politiche della sicurezza. Diritti fondamentali, 55.
(209) Articolo introdotto d.l. 20 novembre 1991, n. 367, in materia di "Coordinamento delle indagini nei
procedimenti per reati di criminalità organizzata", conv. con modif. dalla l. 20 gennaio 1992, n. 8.
(210) Cfr. R.TERESI, Direzione nazionale e Direzioni distrettuali antimafia, Milano, Giuffrè, 1993, 119, 141.
(211) Al riguardo, diffusamente F.IANNIELLI -M.ROCCHEGIANI, La Direzione investigativa antimafia, Milano,
Giuffrè, 1995, passim. Secondo gli A., la specializzazione della polizia ha favorito il processo di apertura dell’attività giudiziaria a indagini e operazioni da coordinare fuori della dimensione singola dei propri uffici.
(212) Sia consentito il rinvio a G.SCHENA, La “debole” concentrazione distrettuale delle indagini in materia di
terrorismo. Il coordinamento investigativo tra passato e presente nell’esperienza italiana, in Dir. pen. cont. – Riv. trim.,
123 connessi agli incarichi investigativi. Sono al servizio di due centri di comando, che in condizioni fisiologiche possono anche avere diverse opinioni in merito al da farsi.
Il trait d’union consiste nella specializzazione ratione materiae del singolo magistrato inserito all’interno di sezioni o di gruppi altrettanto specializzati. Al riguardo, il C.S.M. nella circolare del 13 febbraio 1993, n. 2596, di organizzazione delle direzioni distrettuali antimafia, spiega che la selezione dei magistrati da assegnare alle Direzioni, infatti, si basa anche su criteri come le pregresse “esperienze professionali” e le “specifiche attitudini”, ciò nondimeno appare decisiva la circostanza che i magistrati abbiano lavorato in gruppo con altri colleghi. Quest’ultimo requisito si giustifica per la ragione che l’ufficio considerato dal comma secondo dell’art. 70-bis ord. giud. è connotato da notevole collegialità nella preparazione e nello svolgimento delle attività investigative.
Epperò, sembra che in questo frangente il C.S.M. abbia assunto un atteggiamento vago nei confronti del criterio specialistico. Se, da una parte, con riferimento alla specializzazione come schema organizzativo interno delle procure lascia ai dirigenti l’opportunità di costituire, o meno, gruppi specialistici per aree omogenee di materia, a proposito invece della specializzazione come criterio di lavoro sostanziale, dall’altra, fa del procuratore D.D.A. il tipo ideale di magistrato requirente, giacché questi possiede doti conoscitive e gestionali nient’affatto comuni. Forse è che ai vantaggi stavano cominciando a subentrare, nella logica dello “studio”, aspetti anche negativi del criterio, tali da comprometterne la serena applicazione. In particolare, si mettevano in evidenza principalmente due inconvenienti: il pericolo di paralisi professionale e la possibilità di venire facilmente esposti a condizionamenti o auto-condizionamenti di vario genere, a causa della copertura prolungata della funzione di magistrato specializzato (in certi reati).
Un tentativo di conferire stabilità è stato raggiunto grazie all’elaborazione del meccanismo, così chiamato, di “ragionata rotazione”, ad opera della delibera C.S.M. del 16 luglio 1997, di riorganizzazione delle procure distrettuali antimafia (213). In forza dell’accennato meccanismo rotatorio, decorso un certo periodo di permanenza nelle medesime funzioni (siano queste determinate in posizioni tabellari o in gruppi di lavoro), il magistrato dev’essere assegnato, di regola, ad altro incarico, posizione o gruppo dell’ufficio di appartenenza. Il meccanismo consente di evitare «drastici, quanto inopportuni, sconvolgimenti», nonché la «perdita di preziose conoscenze e competenze»
(213) Come accade per i magistrati che appartengono ai gruppi specialistici “ordinari” delle procure, anche per i
procuratori distrettuali infatti s’intravede il pericolo di paralisi professionali e di condizionamenti. Epperò, se sono queste le ragioni che hanno indotto il Consiglio a prendere le distanze nei confronti dell’aspetto strutturale della specializzazione, davvero non si comprende perché abbia allora incoraggiato i magistrati ad allinearsi, invece, al profilo investigativo del pubblico ministero specializzato. L’aspetto funzionale e l’aspetto strutturale non sono scindibili. L’uno non può esistere senza l’altro; l’altro senza il primo non otterrebbe gli stessi risultati in termini di efficacia investigativa.
124 (214), ma comporta anche diverse problematiche, di cui tratteremo più avanti (quando si analizzeranno gli aspetti positivi e negativi della specializzazione, v. Cap. III, par. 3.5).
Con la conquista della stabilità, si ha la dimostrazione che il modello organizzativo basato sulla specializzazione à la D.D.A. funziona anche per le procure ordinarie. Il Consiglio superiore acquisisce questa consapevolezza a distanza di qualche anno, a ridosso della riforma sul giudice unico di primo grado (215). La svolta che si attendeva, ovvero la seconda presa di posizione del Consiglio, giunge in effetti con la circolare del 21 maggio 1997, n. 8873, sulle tabelle per il biennio 1998-1999. La ripartizione degli uffici in gruppi di lavoro viene finalmente presentata come un’opportunità concreta, piuttosto che un’occasione astratta.
Prima di esaminare il contenuto, giova trattenersi sul periodo storico al quale il documento si riferisce. S’è detto fra le righe che gli anni della svolta sono quelli subito a ridosso della riforma che ha istituito il cd. giudice unico di primo grado, con la soppressione del pretore e del pubblico ministero presso le preture circondariali.
Non è un fatto che va trascurato, questo: entra in scena anche il legislatore nel processo di ufficializzazione del fenomeno specialistico. In primo luogo, viene attribuito al Consiglio superiore il potere di determinare i criteri generali relativi all’organizzazione degli uffici del pubblico ministero, e con l’introduzione dell’art. 7-ter, comma terzo, ord. giud. viene avviata la stagione tabellare delle procure. Da altra prospettiva, la ripartizione in gruppi di lavoro specializzati viene formalmente riconosciuta, approvata e consigliata per effetto della menzionata disposizione.
Interpretandole in maniera sistematica, le disposizioni della circolare n. 8873 e del d. lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, aprono a qualche considerazione (216).
(214) La delibera C.S.M. del 16 luglio 1997 conferma che oltre un certo limite temporale si rischia di incorrere in
eccessi di personalizzazione o di immedesimazione del singolo magistrato rispetto all’azione condotta dalla procura (oppure dalla D.D.A.); con il sacrificio conseguente, da parte dello stesso sostituto, di altri percorsi professionali all’interno degli uffici ordinari. D’altronde, dovrebbe essere altresì considerata la necessità di lasciar passare il tempo necessario affinché il magistrato affini competenze investigative di livello specializzato, stringa rapporti con la polizia giudiziaria e raccolga i dati che caratterizzano la criminalità locale. Cfr. CSM, Modifica della circolare n. 2596 del 13
febbraio 1993 (Delibera del 16 luglio 1997), in QCSM, 1997, n. 95, 521.
(215) Prima di tale momento, con la circolare del 25 luglio 1995, n. 11503, relativa alle tabelle degli uffici giudiziari
del biennio 1996-1997, il C.S.M. ancora invita i dirigenti delle procure a trasmettere i dati relativi alla costituzione dei gruppi specializzati per materia, al fine di valutare l’omogeneità dei modelli organizzativi degli uffici giudiziari e l’adeguatezza dei criteri di distribuzione degli affari ai magistrati. Cfr., CSM. Formazione delle tabelle di composizione
degli uffici giudiziari per il biennio 1996-1997. Circolare n. 11503 del 25 luglio 1995, in QCSM, 1997, n. 95, 481.
(216) Il riferimento è a: circolare n. 8873 del 21 maggio 1997, punto «F. – Organizzazione degli uffici del pubblico
ministero. Assegnazione alla D.D.A., 1f. (omissis); 2f. – Eventuali specializzazioni e gruppi di lavoro. Negli uffici di maggiori dimensioni il lavoro verrà opportunamente concentrato in modo da consentire per un verso la specializzazione per materia e, per altro verso, la periodica e ragionevole rotazione dei magistrati nei settori specialistici. Dovrà essere specificato se siano istituiti turni per determinati servizi fra tutti o fra alcuni soltanto dei magistrati addetti all’ufficio, se e quali vantaggi o inconvenienti siano derivati dall’adozione di uno od altro schema organizzativo»; d. lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, art. 6 comma 1, «L'articolo 7-ter del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 e' cosi' modificato: a) (omissis); b)
125 Non si tratta più di capire se la specializzazione è applicabile in via generale al pubblico ministero, bensì si raccomanda – giova ripeterlo: si raccomanda – ai procuratori della Repubblica di concentrare l’attività di modo che vengano mantenute la specializzazione per materia e la rotazione nei settori specialistici, attuando opportune turnazioni dei magistrati nel quadro generale dei canoni fissati dal Consiglio superiore della magistratura. Non è più una sperimentazione, ma è una cosa voluta e affinata tramite i meccanismi della magistratura antimafia. La promiscuità che aveva caratterizzato la posizione dell’organo di autogoverno scompare, infatti, a seguito della tabellarizzazione degli uffici di procura (217).
Di rimbalzo, però, l’eliminazione delle preture e dei relativi uffici requirenti ha recato con sé un grave calo di efficienza dell’azione delle procure (218), quel che era pendente colà ora è stato rovesciato negli uffici ordinari, dove è andato a sommarsi con tutte le altre questioni che qui erano ancora in stato di giacenza. Ma, allora, per comprendere la ratio delle modifiche relative all’organizzazione del pubblico ministero, conviene fare un passo indietro.
Nella legge delega 16 luglio 1997, n. 254, per l'istituzione del giudice unico, già a prima lettura si può individuare la mancanza di basi normative chiare (fra principi e criteri direttivi) che potessero giustificare il contenuto di quel che sarebbe poi stato il più volte citato comma terzo dell’art. 7-ter. Vieppiù che nel parere reso il 27 novembre 1997 sullo schema del decreto legislativo del 1998, a pochi mesi dalla circolare n. 8873, il C.S.M., facendosi interprete dei sentimenti di alcuna parte della magistratura e dell’avvocatura del tempo, afferma che non sarebbe stata efficace una riforma dell’organizzazione giudiziaria con misure del tipo “a costo 0”, come d’altronde auspicava l’ipotesi normativa delegata. Se, nonostante il parere, si fosse voluto comunque procedere per quella via, si sarebbero dovute evitare misure di verticalizzazione e di accentramento dei poteri, verificando le prassi messe a punto dai dirigenti per selezionare soltanto gli schemi organizzativi che comportassero meno sacrifici per i diritti dei sostituti. Fra più opzioni egualmente praticabili, il Consiglio ha scelto di avanzare la ripartizione dei sostituti in "gruppi di lavoro" per la trattazione di affari omogenei distinti per materia (219).
dopo il secondo comma è aggiunto il seguente: «Il Consiglio superiore della magistratura determina i criteri generali per l'organizzazione degli uffici del pubblico ministero e per l'eventuale ripartizione di essi in gruppi di lavoro».
(217) Le tabelle, avevano lo scopo di attenuare le gerarchie interne alle procure, per garantire più indipendenza ai
sostituti attraverso la predisposizione ad opera del Consiglio (anziché dei procuratori) dei criteri organizzativi degli uffici. (218) L’impatto della riforma sugli uffici giudicanti non è stato altrettanto negativo, anzi, la revisione della geografia
giudiziaria avrebbe appianato le relative problematiche strutturali e organizzative, cfr. S.PELLEGRINI, Il contenzioso
giudiziario in Italia tra mutamento e riforme, Giuffrè, Milano, 2008, 109-115.
(219) CSM, Parere del CSM sullo schema di decreto legislativo "Norme in materia di istituzione del giudice unico
di primo grado", 27 novembre 1997, p.to 74: «Occorre osservare, al riguardo, che i moduli organizzativi adottati con
126 Quel che ne è scaturito, allora, è il ritocco in corso d’opera da parte del legislatore delegato sulla formulazione del predetto articolo 7-ter, comma terzo, per come era conosciuto prima che fosse abrogato dalla riforma Castelli. Le procure potevano mettere in pratica la specializzazione per materia come soluzione per rimediare, in maniera efficace, al “gigantismo” dei carichi di lavoro (220).