3. Il Tribunale criminale del Vicario dal Concilio di Trento al XIX secolo
3.3 L'attività giudiziaria
Allargando lo sguardo dalla micro-analisi interna al carcere femminile al resto degli uomini e delle donne giudicati in città nel periodo in questione, si può ricorrere ad alcuni studi compiuti sulle carte processuali conservate nell'Archivio storico del Vicariato di Roma. Tali indagini sono state circoscritte al XIX secolo, poiché i fondi giudiziari precedenti risultano quasi completamente dispersi, rendendo dunque impossibile una valutazione comparativa con le procedure in vigore antico regime136.
In particolare un saggio di Teresa Sardelli, pubblicato nel 1977, riportava un sondaggio da lei effettuato sul totale dei processi celebrati dal tribunale in alcuni anni campione: 1824, 1834, 1844, 1854, 1864, 1870137. Perciò uno spettro
sufficientemente ampio per riuscire a fornire una casistica abbastanza affidabile dei delitti perseguiti, consentendo di valutare la portata degli affari giudiziari svolti da questa magistratura. Schematizzando i risultati della ricerca, le condanne emanate riguardavano i seguenti reati:
a) inadempienza al precetto pasquale (3 casi nel 1824, più 1 nel 1828) b) inosservanza del riposo festivo (74 casi)
c) violazione delle immunità ecclesiastiche (45 casi) d) contravvenzione al precetto di esilio (40 casi) e) ingiurie (19 casi)
f) bestemmie (20 casi)
g) percosse e furti (25 casi, di cui 19 per percosse, tutti risalenti al 1824) h) condotta disonesta (438 casi)
i) vita scandalosa con gravidanza (46 casi) j) stupro (106 casi)
136 Per le vicende relative allo scarto, che avvenne nel 1839 a cura di una commissione presieduta
dal Segretario di Stato, si rinvia a E. Casanova, Archivistica, Stabilimento arti grafiche Lazzeri, Siena, 1828, pp. 161–162, in cui viene riportata la relazione redatta in quell'occasione; al punto 5 si affermava «che le carte criminali del Vicariato, esistenti in due camere dell’archivio rotale concernenti cause di costumi, siano interamente distrutte: e che alle stesse camere sieno portate le carte civili del medesimo tribunale, che attualmente esistono nell’archivio Salviati, dopo che saranno segregate le inutili».
k) sodomia (9 casi)
l) lenocinio e prostituzione (94 casi) m) adulterio (174 casi)
n) sorpresa ad cubandum (132 casi)
o) vagazione notturna e vagabondaggio in genere (16 casi) p) delitti vari (49 casi)138
Confrontando questo elenco con l'analisi precedentemente effettuata sulle detenute del S. Michele, emerge con evidenza la corrispondenza tra i dati relativi ai reati morali rilevati in carcere e quelli classificati nel saggio in questione come «condotta disonesta», «adulterio», «sorpresa ad cubandum», «stupro» e «lenocinio e prostituzione». Queste fattispecie di reato erano le più numerose tra quelle giudicate dal tribunale, a differenza dei crimini violenti, come i furti e le percosse, perseguiti in modo del tutto episodico.
Si può perciò concludere che l'attività ordinaria del Tribunale fosse incentrata su procedimenti, per la maggior parte brevi e di lieve entità, volti a reprimere comportamenti lesivi della morale o della religione, dunque riconducibili alla categoria giuridica dei "reati misti".
E' altrettanto intuibile, anche soltanto da questo elenco, la connotazione di genere di molti di questi delitti. Ad esempio la «vita scandalosa», con o senza gravidanza, era ovviamente ascrivibile a condotte femminili, tanto quanto lo «stupro» e la «sodomia» rappresentavano delicta carnis tipici degli uomini139. Ugualmente le «bestemmie» erano più strettamente legate a comportamenti maschili, a differenza delle «ingiurie», che coinvolgevano più spesso le donne. Perciò, malgrado si verificasse una maggiore incidenza di capi d'imputazione riconducibili a infrazioni femminili, non mancava un'attenzione considerevole rivolta anche ai comportamenti degli uomini.
138 Si tratta di reati «che, se esulano dal numero dei veri e propri delitti, non sono meno importanti
degli altri, rivestendo caratteristiche particolari», come osservato da Sardelli, I processi, cit., p. 151. In seguito la studiosa porta ad esempio alcuni casi di violazione della notificazione relativa ai bagni nel Tevere, canto di canzoni oscene, insubordinazione ai genitori e alle autorità. Infine cita un caso particolarmente interessante di «ritenzione di libri proibiti», riportato alle pp. 154-155.
139 Sul reato di «vizio nefando» cfr. M. Baldassari, Bande giovanili e «vizio nefando». Violenza e
La stessa distinzione di genere era evidente anche nella scelta della punizione. A fronte della medesima variabilità delle pene, già verificata tra le detenute del S. Michele, l'autrice del saggio constatava che, in questi procedimenti, la pena al carcere andava dai due mesi ad un massimo di cinque anni e ad esso poteva sostituirsi l'opera pubblica per gli uomini140.
Quasi venti anni dopo, Gabriella Bonacchi, nel suo studio sulla storia di questa istituzione sul lungo periodo, contestava alcuni dei dati rilevati da Teresa Sardelli141. A tal fine utilizzava una tipologia di fonte diversa dai fascicoli processuali, costituita dal Liber congregationum criminalium, cioè il registro all'interno del quale venivano annotate, in ordine cronologico, le cause discusse dalla congregazione criminale del tribunale. Calcolava così che, tra il 1821 e il 1824, furono emanate 360 sentenze, a fronte dei soli 322 fascicoli reperiti per questo arco cronologico dalla Sardelli142. Ciò la portava a considerare quanto, evidentemente, permanessero alcune consuetudini tipiche dell'antico regime, in virtù delle quali molte cause venivano risolte per vie extra-dibattimentali, non dando vita a fascicoli processuali veri e propri. La studiosa concludeva il suo ragionamento considerando quanto fosse importante, in uno studio basato su fonti giudiziarie, tenere sempre conto dell'esistenza di un «gap tra denunce pervenute, procedure effettivamente avviate e sentenze pronunciate»143. Sottolineava così anche la forte componente di intenzionalità nella conservazione archivistica, soprattutto nel caso di un'istituzione di questo tipo, chiamata a svolgere compiti tanto delicati.
Tralasciando la questione della quantificazione della mole di affari svolti dal Tribunale, che esula dai fini precipui di questo lavoro, e rivolgendo l'attenzione alle tipologia e alle dinamiche di intervento di questo apparato giudiziario, i risultati della ricerca di Teresa Sardelli tendono a dimostrare, attraverso l'analisi di
140 Ivi, p. 121, in cui si aggiunge che «una sola volta si è trovata la sentenza a 10 anni di carcere ma
trascorsi 5 anni il detenuto è graziato».
141 Bonacchi, Legge e peccato, cit. Una contestualizzazione di questo libro in una produzione
storiografica più ampia in merito al cosiddetto disciplinamento sociale, cfr. M. Caffiero, Religione,
politica e disciplinamento, cit.
142 Ivi, pp. 198-208. 143 Ibid.
un campione così esteso di anni, gli elementi di continuità presenti nella tipologia di procedimenti intentati e in quella dei reati perseguiti nel tempo dal Tribunale. Tale lettura, incentrata sugli aspetti di permanenza, è stata in seguito corroborata da altri sondaggi, effettuati attraverso alcune tesi di laurea svolte sotto la direzione di Guido Verucci144. La novità di questi lavori era costituita dall'introdurre il problema delle discontinuità e del cambiamento, nel corso del XIX secolo: l'obiettivo che si ponevano questi lavori era quello di sondare se, in periodi di particolari crisi politiche, come la dominazione napoleonica o la Repubblica Romana del 1849, fossero avvenute ripercussioni significative nell'attività giudiziaria del Tribunale. Anche questi risultati tendevano però a rilevare una sostanziale linearità nel numero e nella tipologia dei procedimenti avviati, avallando l'idea di una tenuta di questa magistratura, malgrado i rivolgimenti istituzionali e culturali, lungo il XIX secolo.
Queste ricerche, tanto quanto l'indagine della Sardelli, si sono però concentrate esclusivamente sulle serie processuali, assumendo in tal modo una prospettiva dalla quale risultava, quanto meno difficile, cogliere gli aspetti del cambiamento. Grazie all'apporto di questi studi si può affermare che la tipologia di processi intentati da questo Tribunale continuò ad essere la stessa nel corso dell'Ottocento, ma l'ordinarietà dei procedimenti non presuppone necessariamente un'assenza di variazioni significative nell'assetto e negli scopi della magistratura.
Proprio la constatazione della stabilità dell'attività giudiziaria, dopo la traumatica interruzione del periodo francese, sembra smentire l'idea di una mera sopravvivenza di questo organo giudiziario, apparentemente così obsoleto. Se si sposta l'attenzione dalle fonti processuali a quelle istituzionali, è possibile cogliere una volontà politica precisa di ricostituire, ma soprattutto di attualizzare e rinvigorire la funzione di questo Tribunale nel mutato contesto. L'efficienza con cui tale intento fu portato avanti, confermata dal pieno regime degli affari
144 Ringrazio il prof. Verucci per avermi segnalato le seguenti tesi di Laurea da lui coordinate e
discusse presso l'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata": P. Scardetta, Roma fra prima e
seconda occupazione dei francesi (1801-1809) attraverso i processi per criminalità comune istruiti dal Tribunale del Vicariato, a.a. 1989-90; A. Vommaro, Roma dopo la Repubblica romana (1849-1851) attraverso i processi per criminalità comune istruiti dal Tribunale del Vicariato (s.d.); A. M. Cerroni, La criminalità comune a Roma fra il 1849 ed il 1859 attraverso le fonti del Tribunale criminale, a. a. 1994-95.
registrata dagli studi citati, costituisce una spia del fatto che avvenne qualcosa in più di un semplice "restauro".
Come si approfondirà meglio nel corso di questo lavoro, mentre nel resto dei Paesi cattolici si procedeva ad abolire i tribunali ecclesiastici, sostituiti da nuovi sistemi di controllo di eredità francese145, nello Stato pontificio si verificò una condizione del tutto particolare, in cui vennero ripristinati gli organi giudiziari della Chiesa e, al contempo, furono mantenute alcune delle recenti acquisizioni. Il Tribunale criminale del vicariato fu utilizzato come uno strumento, dalle origini antiche ma perfettamente in grado di riadattarsi e rispondere alle rinnovate esigenze di controllo urbano e sociale, da cui era impossibile prescindere. A tale concezione si contrapposero opzioni politiche diverse, che si ricollegavano esplicitamente ai modelli di governo importati dai francesi. Tra queste anzitutto la volontà di creare un inedito corpo di polizia, portata avanti dal Segretario di Stato Consalvi, che si trovò a convivere con i precedenti apparati polizieschi.
Cogliere questi elementi di conflitto e contraddizione nelle strategie politiche adottate nel corso della Restaurazione, abbandonando la categoria interpretativa dell'immobilismo tout-court dello Stato pontificio a lungo sostenuta dalla storiografia, permette di scorgere le tensioni latenti che caratterizzarono questo momento storico di transizione146. Anche uno Stato in profonda crisi, come quello pontificio, non poteva sottrarsi alle scelte imposte da quei processi di modernizzazione, ormai irreversibilmente avviati tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo. In questo senso proprio gli elementi di lentezza, contraddittorietà e sovrapposizione tra antico e nuovo, rendono lo Stato pontificio un osservatorio significativo dal quale valutare alcuni problemi storici collegati al più generale processo che caratterizzò la stagione delle Restaurazioni europee.
Il fallimento delle soluzioni messe in atto, incapaci anzitutto di riformulare la contraddizione di fondo tra potere temporale e spirituale, è storia nota, ma qui si intende soffermare l’attenzione sulla fase iniziale del cammino ottocentesco, che precedette il crollo dello Stato e in cui si giocò una partita il cui esito non era
145 Cfr. Brambilla, La giustizia intollerante, cit., p. 219 e sgg. 146 Cfr. nota 12 dell’Introduzione.
ancora scontato e nella quale si gettarono le basi per una penetrazione della chiesa cattolica nella società che non si sarebbe arrestata con la fatidica data del 1870.