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2. La “polizia prima della polizia”

2.3 La polizia "alla francese" e la Prima Restaurazione

Se è perciò possibile individuare una linea di continuità nella genesi del nuovo sistema di polizia, avvenuta attraverso i violenti cambi di regime, bisogna altresì rilevare la netta discontinuità con il passato rappresentata dall’introduzione del modello di polizia francese, anche nella Repubblica Romana. La notevole capacità dei patrioti fu proprio quella, in materia di ordine pubblico come in altri rami dell’amministrazione, di offrire soluzioni a questioni già sollevate, ma irrisolte dai governi pontifici. Questo tratto caratterizzante della presenza giacobina è stato in più occasioni sottolineato negli studi di Marina Formica, anche rispetto allo specifico campo della vigilanza urbana, in cui:

le autorità rivoluzionarie si posero quindi in linea con esigenze preesistenti all’interno della società romana, riuscendo ad imprimere una svolta significativa a un processo rimasto fino ad allora mutilo, privo di interventi realmente innovatori tali da giungere all’attuazione di un nuovo apparato repressivo e a una riconsiderazione globale di tutto il problema del controllo sociale231.

Questa dialettica tra adesione e imposizione finì per potenziare e prolungare l’efficacia delle proposte messe in campo ben oltre la breve durata della Repubblica, rendendo durature molte delle innovazioni inizialmente importate in modo forzoso. In questo senso, pur tenendo conto della radicale differenza delle culture politiche che sostenevano progetti di governo in parte assimilabili, è possibile proporre una lettura unitaria di questo periodo costellato di rivolgimenti politico-istituzionali.

Le riforme dell’ordine pubblico attuate nel Settecento costituiscono un chiaro esempio della combinazione tra consapevolezza dei problemi e contraddittorietà delle soluzioni messe in campo dai vertici pontifici. La creazione di un organo centrale di governo come la Congregazione di Stato aveva rappresentato infatti il riconoscimento della necessità di rafforzare il sistema poliziesco e di sottoporlo a un controllo dall’alto, ma la mancanza di un progetto organico riproponeva, ad un livello più basso, le sovrapposizioni tra i diversi corpi armati. Esattamente questi

231 M. Formica, Vigilanza urbana e ordine pubblico a Roma (1798–1799), in «Roma moderna e

due aspetti, di centralizzazione e definizione dei poteri locali, rappresentarono il fulcro attorno al quale prese corpo l’organizzazione di una nuova polizia ad opera dei francesi.

A livello centrale venne istituito un Ministero apposito che accorpò i settori di giustizia e polizia, sebbene quest’ultima fosse stata già sganciata dal rapporto coi tribunali. A livello locale furono invece i Grandi edili ad avere il compito di dare attuazione alle direttive centrali, seguendo anche qua una precisa distinzione tra funzioni amministrative e giudiziarie, seppur esercitate all’interno degli stessi confini circoscrizionali di Dipartimenti, cantoni e comuni232.

Un discorso a parte riguardava la città di Roma, per cui vennero ideate misure

ad hoc, finendo per dar vita ad una sorta di organizzazione parallela della polizia

nella capitale rispetto al resto dello Stato. Veniva così introdotto un tratto caratterizzante dell’organizzazione di polizia che sarebbe rimasto anche nelle successive evoluzioni. La vigilanza urbana fu affidata essenzialmente alla Guardia civica, ribattezzata Guardia nazionale, e divenuta un serbatoio di elementi giacobini e filo-francesi, almeno finché non venne imposta la leva obbligatoria agli abitanti della città233. Essa fu poi divisa in Guardia nazionale “in attività” e Guardia nazionale “sedentaria”, a cui spettava la gestione vera e propria dell’ordine pubblico all’interno delle Sezioni, le ripartizioni che avevano sostituito gli antichi rioni. L’allestimento della polizia rappresentava infatti soltanto un versante di un più complessivo intervento nell’assetto della città che, attraverso la ridefinizione della geografia urbana, l’assegnazione dei numeri civici, la diffusione dell’illuminazione e altre misure innovative, intendeva modificare profondamente il volto di Roma, imprimendole una forte spinta in direzione di una modernizzazione e di una secolarizzazione.

La polizia rappresentava un essenziale strumento di applicazione di questa nuova concezione della città, anche se in questa prima fase di costituzione non poteva considerarsi completamente autosufficiente nell’adempimento dei suoi vasti compiti. Proprio per questa ragione la nuova polizia cercò di sfruttare al

232 Sulle modificazioni delle ripartizioni territoriali in questo periodo cfr., supra, nota 38 del I

capitolo.

massimo le preesistenti reti di controllo del territorio e della popolazione e, in particolare, fece ricorso alle figure dei parroci, quali referenti privilegiati nell’instaurare un rapporto con le comunità. Come si è già ricordato ad essi fu richiesto di censire gli abitanti e di compilare continue relazioni sullo stato della «pubblica tranquillità»234. L’accentramento di funzioni poliziesche precedentemente disperse e la necessità di integrare gli strumenti del controllo, compresi quelli di natura ecclesiastica teoricamente deputati ad altri fini, costituirono quindi i pilastri attorno ai quali si delineò un nuovo modello di polizia.

Anche al termine della parentesi repubblicana, con la prima Restaurazione, furono questi due principi ad orientare l’intervento in materia di ordine pubblico235. In questo specifico settore, come più in generale nell’amministrazione, nella ripartizione territoriale e nella giustizia civile e criminale, la Post Diuturnas, emanata il 30 ottobre del 1800, rappresentò il vero e proprio manifesto del programma di governo concertato da Pio VII e Consalvi236. All’interno dell’architettura generale dello Stato delineata da questa legge-quadro, era prevista anche l’istituzione di una polizia nella capitale. Doveva essere la Segreteria di Stato, ormai avviata a divenire il vero e proprio vertice politico, ad eleggere tre deputati per ogni rione col titolo di Presidenti, scelti rispettivamente dal ceto degli ecclesiastici, dei cavalieri e dei cittadini. Si sarebbe così costituito un triumvirato di autorità chiamate ad effettuare, a livello locale:

particolare ispezione su tutto ciò, che riguarda il costume, l’educazione delle Famiglie, (e) la concordia fra i Privati: invigileranno sopra quelli, che sono dediti all’ozio, ed ai vizj, o che danno segno di poca credenza in materia di religione. Comporranno le private dissensioni, spiranno le risse, e faranno tutt’altro può condurre all’osservanza delle Leggi, ed al pubblico, e privato bene237.

Alcune delle funzioni menzionate sarebbero poi spettate ai Presidenti regionari nella futura organizzazione della Direzione generale di polizia nella Seconda

234 Cfr., supra, nota 138 del I capitolo.

235 Sugli indirizzi legislativi della I Restaurazione cfr. D. Cecchi, L’amministrazione pontificia nella 1°

Restaurazione (1800-1809), Tipografia maceratese, Macerata, 1975, e Calzolari-Grantaliano, Lo Stato pontificio, cit., pp. 33-43.

236 Una copia è conservata in ASR, Collezione Bandi, vol. 142. 237 Ivi, art. 8

Restaurazione, come osservato nella vicenda relativa alle controversie familiari presentata all’inizio di questo capitolo. Nei compiti delineati dalla normativa si sommavano perciò funzioni di sorveglianza urbana, svolte in precedenza dalle milizie cittadine dei Caporioni e dei Capotori, e di vera e propria polizia morale volta a sanzionare i comportamenti etico-lavorativi, religiosi, familiari e sessuali. Questo tipo di autorità ad intervenire sui costumi della popolazione era fondamentalmente spettata, nel corso dell’antico regime, ai parroci e proprio rispetto a questi ultimi la Post Diuturnas prevedeva una collaborazione formalizzata, in forza della quale i Presidenti erano invitati a procedere:

secondo le materie, di piena intelligenza con i Parrochi, ed opereranno tutto per mezzo di insinuazione, consiglio ed ammonizione, volendo solo, che nel caso di istantaneo bisogno la forza pubblica si presti ai loro ordini, sino all’atto inclusivamente di un arresto personale238.

Prima di ricorrere alle forze armate per far rispettare l’ordine e procedere all’incarcerazione, i Presidenti dovevano perciò collaborare e servirsi dei metodi e degli strumenti propri dei curati, ossia l’insinuazione, il consiglio, l’ammonizione. Attraverso questa formula in un pò ambigua e vaga si tentava in sostanza di ottimizzare le forze in campo per la difesa dell’ordine e della moralità pubblica, integrando i tradizionali sistemi di sorveglianza con i dispositivi di polizia conosciuti nel periodo francese, rispetto ai quali però si eludeva qualsiasi esplicito riferimento. L’auspicata sinergia tra i Presidenti dei rioni e i parroci avrebbe infine avuto il suo riflesso istituzionale nell’attività delle magistrature preposte al mantenimento del buon ordine e del buon costume della città: il Tribunale del vicario e quello del Governatore239.

La Post Diuturnas restò largamente inattuata, ma i progetti di riforma rimasero impressi nella normativa e nella mente di Consalvi che esattamente da questi presupposti rimodulò il programma di governo nel corso della seconda Restaurazione, volgendolo però ad un maggiore pragmatismo. L’impalcatura

238 Ibid.

239 Ibid. In merito alle facoltà dei Presidenti il testo di legge prevedeva «in caso poi, che conoscano il niun

profitto, e la inutilità né particolari casi delle loro insinuazioni, ne faranno rappresentanza giusta l’indole degli affari o al Cardinal Vicario, o a Monsignor Governatore, ai quali inoltre daranno conto dello stato dei rispettivi Rioni una volta il mese dopo essersi uniti, ed aver conferito frà loro su bisogni dei medesimi».

ideale formulata da questa costituzione influenzò profondamente anche l’impianto della Direzione generale di polizia che avrebbe visto la luce nel 1816, assorbendo però anche parte degli elementi introdotti, nell’intervallo tra le due Restaurazioni, dalla polizia napoleonica.