• Non ci sono risultati.

III CAPITOLO

4. Sorvegliare i movimenti: l’“invenzione” dei passaport

4.3 Gli spostamenti dei resident

Sebbene permanessero le doppiezze messe in luce dal Pro-governatore, irrisolte da un punto di vista normativo, le numerose occasioni di incontro tra autorità ecclesiastiche e di polizia a livello territoriale avevano dato vita ad una sorta di tacito accordo in merito alle rispettive prerogative: ai parroci il primato del controllo sugli abitanti di Roma e alla polizia la vigilanza sui forestieri giunti nella città, oltre che sul sistema connesso ai passaporti. Se questi erano i patti, più o meno formalizzati e rispettati, il settore relativo al rilascio dei passaporti per i residenti rappresentava l’esatto punto di intersezione dei due organismi.

La polizia, oltre alle attribuzioni in merito ai forestieri, aveva il compito istituzionale non solo di verificare e convalidare, ma anche di rilasciare la documentazione necessaria per consentire ai sudditi di spostarsi all’interno e all’esterno dello Stato. L’imposizione dell’articolata regolamentazione emanata aveva altresì comportato una serie di resistenze da parte della popolazione, soprattutto quella che risiedeva ai confini dello Stato pontificio, abituata a varcarli di continuo per motivi lavorativi e commerciali. Nei primi anni in cui furono promulgate le leggi sopra citate, mentre la Segreteria di Stato era impegnata a diffonderle e verificare la loro attuazione in tutto il territorio statale, furono inoltrate numerose istanze da parte degli abitanti del viterbese, in stretto contatto con la Toscana, e dai regnicoli che erano soliti recarsi nell’Agro romano per i lavori agricoli stagionali. A seguito di svariate proteste fu ad essi accordato di poter usufruire di speciali permessi di transito tra i confini specificati, esentandoli perciò dalle procedure di richiesta di passaporti veri e propri359.

I problemi sorti nelle comunità di confine sollevavano la questione della rinnovata percezione delle frontiere statali che, come si è sottolineato, era rafforzata dalla contestuale generalizzazione dell’uso di documenti di identità, in cui erano contemplate informazioni dettagliate a partire proprio dal dato della provenienza. Soprattutto i passaporti avevano un rapporto intrinseco con il fattore dell’appartenenza territoriale, sebbene essa non fosse declinata in un senso

359 ASV, Segreteria di Stato, 1829, rubrica 150, fasc.1. Sono qui conservati i carteggi tra la Segreteria

di Stato e le varie Direzioni di polizia sul territorio in merito all’applicazione della legislazione sui passaporti.

proprio di nazionalità. La provenienza del possessore che determinava la distinzione di fondo tra “statisti” e “forestieri”, su cui poggiava la concezione stessa dei passaporti, era poi accompagnata da una varietà di notizie sulla sua identità: caratteristiche fisiche e morali finirono per costituire un apposito codice di riconoscimento individuale che rispondeva a precise regole formali, comuni a chi descriveva e a chi era descritto.

Oltre ai dati anagrafici (nome e data di nascita), le qualificazioni primarie (domicilio e professione) e le formule di rito che autorizzavano il passaggio del richiedente attraverso le specifiche del viaggio e le firme delle autorità preposte, i passaporti erano altresì ricchi di informazioni di varia natura. Anche da un punto di vista materiale i dati primari occupavano la parte centrale del documento, mentre sul lato sinistro venivano riportate “indicazioni personali”, ossia i connotati come cominciarono ad essere chiamati in seguito, comprensivi di: statura, corporatura, capelli, fronte, ciglia, occhi, naso, bocca, barba, mento, viso, carnagione, età, segni particolari360.

Si trattava di un’elencazione dettagliata di caratteristiche fisiche finalizzate all’identificazione del possessore che prefigurava l’uso della fotografia a scopi segnaletici e l’apposizione della stessa su tutti i documenti d’identità. A tali notazioni fisiche si sommava poi una nuova sensibilità fisiognomica, tesa a rintracciare nei segni del corpo indizi sulle attitudini morali dei soggetti, tendenza che avrebbe trovato una stabile sistemazione nelle correnti degenerazionite e nell’antropologia lombrosiana361.

360 La documentazione di polizia in merito ai passaporti è in larga parte dispersa. Soltanto in modo

episodico si rintracciano alcuni passaporti nei fondi della Direzione generale di polizia e della Segreteria di Stato, probabilmente riconducibili a qualche problema sopraggiunto nel corso della procedura che aveva impedito il rilascio del documento al destinatario. Cfr. ad esempio in ASV, Segreteria di Stato, 1816, rubrica 150, fasc.2, il passaporto di Daniele Tonetti originario di Milano e domiciliato in Roma che chiede l’autorizzazione di raggiungere Napoli. Le “indicazioni personali” segnalate erano le seguenti: statura: bassa, corporatura: giusta, capelli: castag. ricci, fronte: regolare, ciglia: brune, occhi: castani, naso: grosso, bocca: media, barba: cast., mento: un poco lungo, viso: regolare, carnagione: naturale, età: 19 anni, l’ultima voce relativa ai segni particolari è vuota. Cfr, inoltre il passaporto più tardo, risalente al 1853, riprodotto in Negri Arnoldi-Mammucari, Roma e la

campagna romana, cit., p. 155.

361 Cfr. D. Pick, Faces of degeneration: a European desorder. 1948-1918, Cambridge University Press,

Cambridge, 1989. Sulla figura di Lombroso cfr. M. Gibson, Nati per il crimine: Cesare Lombroso e le

Le qualità morali vere e proprie non erano chiaramente esplicitate nel passaporto, ma ne costituivano piuttosto il presupposto indispensabile e proprio su questo aspetto, in cui si mescolavano nuove tecniche burocratiche e più antiche strumenti di attestazione della moralità, riguadagnavano spazio i parroci, unici detentori della facoltà di certificare i costumi dei singoli.

Nell’iter di rilascio dei documenti per i residenti di Roma, i regolamenti stabilivano che ogni abitante che avesse avuto necessità di un passaporto, si dovesse presentare allo specifico ufficio di polizia:

munito di corrispondente attestato della Presidenza regionaria, sotto cui ha il suo domicilio, come si ricorda a quelli che debbono prorogare la carta di sicurezza di presentare la fede di garanzia sottoscritta da persona proba, e cognita alla Direzione generale medesima, o l’attestato di attuale applicazione362.

L’attestato della presidenza regionaria in questione era a sua volta rilasciato a seguito di una verifica in cui era contemplata una certificazione scritta del parroco, a testimoniare l’effettiva residenza del richiedente, la sua professione, lo stato di famiglia e, infine, la retta condotta. I Presidenti non erano perciò autonomi nello svolgimento di tale procedura ed erano costretti a ricorrere ai curati, come risulta evidente dalle abbondanti testimonianze in merito presenti nelle carte degli uffici regionari di polizia363. Non solo i parroci erano gli unici a poter accordare una fede di buona condotta, ma essi rivestivano anche una fonte indispensabile di dati anagrafici e dello stato civile. Di fronte alla lacunosità del sistema di anagrafe civile erano ancora i curati gli unici in grado di fornire la fondamentale certificazione di identità che però, posta nelle loro mani, assumeva inevitabilmente una connotazione di tipo morale.

Infatti la fede di buona condotta rappresentava al contempo uno strumento di attestazione anagrafica e un giudizio di comportamento morale, in un indissolubile connubio sancito a partire dalla concezione tridentina dei compiti

362 Notificazione 5 novembre 1832, Disposizioni concernenti il rilascio dei passaporti, e l’assegna dei

forestieri, in Collezione di pubbliche disposizioni, cit., pp. 623-624.

363 La tipologia dei certificati parrocchiali era sempre molto simile, cfr ad esempio tra le carte della

Presidenza Regola in ASR, Presidenze Regionarie di polizia, b. 40, il certificato del parroco di S. Caterina della Rota: «Si può rilasciare il passaporto a per Camerino a Silvio Trojani scapolo di Camerino di professione calzolaio dimorante in vicolo della Carità n. 77 non essendovi alcuna cosa in contrario alla sua condotta».

pastorali. La nuova polizia ricorreva a questo sistema di natura ecclesiastica per l’esigenza tutta pratica di supplire alle sue carenze organizzative interne, ma in qualche misura assorbiva la doppia valenza, materiale e morale, del controllo sociale, pur se declinato in un senso compiutamente secolare.