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2. La “polizia prima della polizia”

2.4 La police générale

Insediatasi la Consulta straordinaria degli Stati romani240, nel periodo precedente all’annessione diretta all’Impero si pervenne ad una più stabile separazione tra funzioni militari, giudiziarie e di polizia, sancita definitivamente dai codici napoleonici. Un forte contributo in tal senso provenne dall’abolizione dei tribunali pontifici e dall’introduzione del sistema francese basato sulla distinzione tra crimini, delitti e contravvenzioni rispettivamente perseguiti dai tribunali dipartimentali, correzionali e di polizia241. Queste ultime attribuzioni giudiziarie, in merito all’applicazione di provvedimenti e misure di polizia, derivavano dalla suddivisione funzionale scaturita dai dibattiti rivoluzionari che avevano delineato l’esistenza di tre tipologie amministrative: la police municipale, con compiti di sorveglianza e regolamentazione della vita cittadina, la police correctionelle, deputata a giudicare infrazioni lievi non perseguibili penalmente, la police de sûreté, come supporto dell’attività investigativa e giudiziaria242. A partire da questa articolazione concettuale delle sue funzioni, la polizia si dotava poi di un suo apparato operativo che assunse una particolare configurazione negli Stati romani243.

Ancora una volta l’impianto della polizia napoleonica partì dalla capitale dichiarata «libera città imperiale», implicando con ciò il riconoscimento di uno statuto speciale da un punto di vista politico e di una particolare valenza nella simbologia politica del potere imperiale244. Anzitutto vennero ridisegnati per l’ennesima volta i confini interni della città, come presupposto indispensabile per l’insediamento della polizia sul territorio: le Sezioni repubblicane furono sostituite da sei Circondari, in seguito trasformati in nove giustizie di pace; a capo delle

240 Sull’attività della Consulta cfr. Nardi, Napoleone a Roma, cit., e Alvazzi Del Frate, Le istituzioni

giudiziarie, cit.

241 Sull'abolizione dei tribunali cfr., supra, nota 100 del I capitolo. 242 Napoli, Naissance de la police, cit. p. 250.

243 Cfr. L. Topi, La polizia napoleonica a Roma: organizzazione, controllo e repressione, in Cajani (a cura

di), Criminalità e polizia nello Stato Pontificio, cit., pp. 67-100. Si vedano inoltre i due contributi di M. Cattaneo, Il Dipartimento di Roma tra consenso e rifiuto, e L. Klinkhammer, Überlegungen zu Justiz und

Polizei, presentati al Convegno internazionale organizzato dagli Istituti Storici Germanici di Roma e

Parigi «Napoleonische Expansionspolitik. Okkupation oder Integration», Roma 28-30 marzo 2007.

244 Bollettino delle leggi e decreti, cit., vol I: «La ville de Rome si célèbre par les grands souvenirs dont

elle est remplie, et premiere Siège de la Chrétientè, est déclarée Ville Imperiale et libre. Le Gouvernement et l’administration de la dite Ville seront organisés par un Statut spécial».

prime otto era posto un Commissario di polizia, mentre per la nona Giustizia valeva una competenza cumulativa245. Al vertice di quest’organizzazione territoriale c’era invece un Direttore generale che esercitava le sue funzioni su Roma e su tutte le altre città degli Stati romani, esclusi i centri con meno di cinquemila abitanti in cui le responsabilità di polizia erano affidate al maire.

Il Direttore rappresentava quindi la figura chiave della centralizzazione dei poteri tipica dell’assetto istituzionale napoleonico246. Come nel resto dei paesi europei conquistati, anche negli Stati romani doveva penetrare il modello operativo di polizia che aveva trionfato nel cuore dell’Impero attraverso l’emblematica figura del ministro Fouché247: una police générale divisa al suo interno in Alta polizia, deputata ai compiti più delicati relativi alla sicurezza dello Stato, e una polizia ordinaria a cui spettava la vigilanza capillare e quotidiana sui beni e sulle persone. Soltanto attraverso la compenetrazione tra queste due attività complementari sarebbe stato possibile tenere sotto controllo i renseignements généraux o lo “spirito pubblico” come cominciava ad essere definito, combinando quindi le istanze preventive con quelle puramente repressive. Come argomentava Augles, Maitre de Requêtes del terzo arrondissement de police générale di Parigi, in una lettera dal tono quasi confidenziale inviata al Direttore generale degli Stati romani, con l’intento di esporre i principi ispiratori della nuova istituzione:

La police doit non seulement concourir à la répression des délits mais ancore s’efforcer de les prévenir. Vous devez donc vous attacher à connaitre touts les individus qui peuvent être dangereux pour l’ordre public et ne pas cesser d’avoir l’oil ouvert sur eux. Vous aurez beaucauop fait ancore pour atteindre ce but en réprimant touts les abus qui peuvent avoir quelque influence sur le repos des familles et la moralité des individus, tels que les maisons de jeux, le lieux de débauche et tout ce qui sera sujet de scandale public248.

245 Regolamenti e nomine di polizia sono conservati in ASR, Consulta straordinaria degli Stati romani,

decreti 825-828. Cfr. Topi, La polizia napoleonica a Roma, cit., in particolare pp. 84-85.

246 Sul rapporto tra sistema amministrativo periferico e potere centrale nell’Italia napoleonica cfr. L.

Antonielli, I prefetti dell’Italia napoleonica: Repubblica e Regno d’Italia, Il Mulino, Bologna, 1983.

247 Per un profilo biografico e una bibliografia essenziale su Joseph Fouché cfr. la voce compilata da

M. Le Clère in J. Tulard, Dictionnaire Napoléon, Fayard, Paris, 1989, pp. 746-751.

248 Istruzioni al Direttore della polizia, pubblicato in appendice a Topi, La polizia napoleonica, cit., pp.

Veniva in tal modo tematizzata e giustificata la necessità di costituire una vera e propria police des moeurs, come presupposto indispensabile per il fine ultimo della difesa dello Stato. Quest’azione preventiva di controllo morale sui comportamenti e sui costumi della popolazione finiva così per intervenire sulla stessa sfera fino ad allora oggetto quasi esclusivo di sorveglianza da parte dei sistemi ecclesiastici. L’intrusione in quella che oggi definiremmo privacy e la limitazione delle libertà individuali dei sudditi non erano però più subordinate al mantenimento di una morale religiosa. Se gli apparati di controllo ecclesiastici avevano tratto legittimazione dallo scopo di difendere la fede e l’unità cristiana, l’obiettivo della polizia napoleonica si spostava in direzione della difesa dello Stato e dell’integrità nazionale: si consumava il trapasso da una polizia morale, volta a vigilare sulle condotte e sulle opinioni dei fedeli, ad una vera e propria polizia politica deputata al controllo degli orientamenti ideologici ed etici dei cittadini249. Questo cambiamento di segno non escludeva però l’utilizzo di alcuni strumenti analoghi e, nello stesso senso, già in precedenza, si era auspicata un’integrazione tra parroci e polizia.

Con il definitivo deterioramento dei rapporti politici e religiosi, soprattutto successivamente all’arresto di Pio VII da parte di Napoleone, tramontava però qualsiasi ipotesi di collaborazione tra organismi statali ed ecclesiastici, anche nello specifico settore di polizia. L’ideale sinergia tra le polizie, in parte abbozzata dai giacobini, e teorizzata più compiutamente nella Post diuturnas, lasciava il passo ad una visione maggiormente pragmatica del problema che avrebbe guidato l’intervento del Segretario di Stato Ercole Consalvi una volta restaurato il potere pontificio.

249 Cfr. R. Cobb, Polizia e popolo, cit., e C. Emsley, La polizia politica e gli Stati nazionali in Europa nel