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3. L’ordine restaurato

3.1 L’istituzione della Direzione generale di polizia

Il primo passo operativo fu compiuto nel luglio del 1816 istituendo il corpo dei carabinieri pontifici, regolamentati definitivamente nell’ottobre contestualmente alla soppressione dei birri. Questi ultimi furono licenziati e di nuovo assunti principalmente come guardie campestri256, mentre i carabinieri avrebbero suddiviso il loro operato tra città e campagna, separati in due reggimenti rispettivamente impiegati nei domini settentrionali e in quelli meridionali257. La compagnia scelta del primo reggimento sarebbe stata impegnata a Roma in parte a servizio dei tribunali, in luogo della vecchia sbirraglia, e in parte a costituire le brigate rionali per coadiuvare i compiti dei Presidenti regionari di polizia. Il corpo dei carabinieri, altamente professionalizzato e qualificato, era infatti posto alle dipendenze della Congregazione militare da un punto di vista organico, ma funzionalmente era collegato alla appena istituita Direzione generale di polizia e quindi alla Segreteria di Stato, vero e proprio centro propulsivo del nuovo sistema dell’ordine pubblico.

La trama istituzionale intessuta dalla normativa si basava quindi sui principi di centralizzazione e complementarità dei corpi messi in campo: se infatti la Guardia civica veniva relegata in una posizione sempre più subalterna – a cui sarebbe stato dato nuovo vigore soltanto in occasione della Repubblica romana del 1849258 - carabinieri e polizia, intrecciati a livello di funzioni, erano nettamente differenziati negli scopi sin dagli atti istitutivi. E’ già stato rilevato da altri studi quanto i due provvedimenti, emanati ad un solo giorno di distanza l’uno dall’altro, rispondessero allo stesso tipo di logica, ma divergessero anzitutto nella forma: estremamente dettagliato e articolato quello dei carabinieri e molto più sintetico e

256 Sulla soppressione del corpo dei birri si veda ASV, Segreteria di Stato, rubrica 64, 1816, f.1,

Circolare 21 febbraio 1816, e L. Londei, Organizzazione della polizia e giustizia penale a Roma tra Antico Regime e Restaurazione (1750-1820), Tesi di Dottorato in Storia urbana, Università degli Studi di

Perugia, 1987, p. 140 e sgg.

257 Sull’istituzione dei carabinieri cfr. Raccolta delle leggi, cit., vol. VII, Notificazione del 31 luglio 1816:

Regolamento del corpo dei Carabinieri, pp. 263-273. In proposito cfr. Calzolari, Il cardinale Ercole Consalvi, cit., in particolare pp. 141-149.

258 Cfr. M. Pieretti, La Guardia Civica, in Roma, Repubblica: venite! Percorsi attraverso la documentazione

della Repubblica Romana del 1849, «Rivista storica del Lazio», a. VII, n. 10, 1999, (numero

approssimativo quello della polizia259. La suggestiva immagine del «Giano bifronte» proposta da Steven Hughes, descrive efficacemente l’idea di un corpo di carabinieri come «occhio ufficiale di rappresentanza» contrapposto alle forze di polizia quale «occhio segreto del principe»260.

In comune avevano però la matrice francese da cui mutuavano anzitutto la suddivisione tra police e gendarmerie che sottendeva la distinzione tra funzioni fondamentalmente urbane e extra-urbane. Infatti anche se, come si è già avuto modo di osservare, i carabinieri operavano sia in città che in campagna, la polizia avrebbe dovuto detenere un primato assoluto nella gestione dell’ordine pubblico urbano e, in particolar modo, della capitale. Lo stesso atto istitutivo della polizia, pur essendo un provvedimento generale valido per tutto lo Stato, si concentrava quasi esclusivamente sull’assetto organizzativo di Roma e dedicava soltanto due paragrafi al funzionamento della polizia nelle Province261. Questo tipo di squilibrio tra centro e periferia e la mancanza di direttive relative alla polizia locale delle altre città, fu all’origine di un malcontento e di una disfunzione sintomo della fragilità del disegno consalviano, privo di una visione globale del problema262.

La stessa incertezza si registrava nel linguaggio utilizzato nella notificazione in cui, anziché enfatizzare gli elementi di novità apportati dall’istituzione della Direzione generale di polizia, si tentava di legittimare questo organismo ricollegandolo alle istituzioni cittadine più antiche, previste dagli statuti medievali e dalle loro successive revisioni. Il documento si apriva proprio con questo tipo di ambiguità, riconducendo la necessità di efficaci regolamenti di polizia, fonte d’ispirazione del provvedimento, ad una consuetudine già esistente:

Ogni colta nazione riconosce i regolamenti di polizia come basi primordiali dell’ordine pubblico. Eran essi in vigore in Roma fin dai tempi più remoti e con energico zelo ne facevano rispettare le sanzioni i più distinti magistrati263.

259 Cfr. Calzolari, Il cardinale Ercole Consalvi, cit.; Hughes, Crime, Disorder and the Risorgimento, cit.;

Id., Poliziotti, Carabinieri e “Policemens”: il bobby inglese nella polizia italiana, in «Le carte e la storia», n. 2, 1996, pp. 22 – 31.

260 Hughes, Crime, Disorder, cit., pp. 60-61.

261 Raccolta delle leggi, cit., vol. V, Notificazione 23 ottobre 1816: Organizzazione della polizia, pp. 665-

671.

262 In particolare per la situazione di Bologna cfr. Hughes, Crime, Disorder, cit. 263 Raccolta delle leggi, cit., vol. V, p. 666.

I regolamenti di polizia posti in vigore nel 1816 rappresentavano dunque misure innovative o recuperavano antiche usanze? Prima di entrare nel dettaglio dell’assetto organizzativo il documento proseguiva, utilizzando la formula tipica dei protocolli pontifici, ad elencare gli interventi in materia dei precedenti pontefici, soffermandosi in particolar modo sull’istituzione da parte di Gregorio XVI dei rioni di Roma e dei rispettivi Caporioni a cui «fu attribuita l’autorità di invigilare sopra i costumi dei cittadini, di resistere alle violenze, comporre le dissenzioni e richiamare ad un’utile industria la perniciosa classe degli oziosi»264. Questi compiti di controllo sociale a base territoriale, svolti dai Caporioni, si erano già andati progressivamente attenuando nel corso del tempo, ma erano gli stessi scopi con cui nasceva la polizia a sottrarre definitivamente tale ruolo alle autorità locali evocate invece come prototipi. Appariva più che altro come uno stratagemma retorico il tentativo di richiamarsi al passato, eludendo il termine di paragone più ovvio e immediato del provvedimento, rappresentato dalle riforme di polizia di stampo francese.

Quest’impressione è rafforzata dall’uso del medesimo paradigma da parte di un erudito come Moroni che, nel suo Dizionario storico-ecclesiastico, ripercorreva la genesi della nuova polizia seguendo lo stesso schema indicato nelle notificazione: la nuova polizia come frutto degli antichi provvedimenti municipali ed evoluzione delle riforme prefigurate nella Post Diuturnas265. Oltretutto il lemma “polizia” non veniva trattato a sé, ma inserito all’interno della voce relativa al “Governatore di Roma”, considerando così l’organismo di polizia come un’appendice della magistratura cittadina, frutto di una sua evoluzione istituzionale. La stessa logica guidava la decisione di non trattare in modo autonomo il lemma “Presidenti regionari”, ma associarlo a quello relativo ai “Caporioni”, seppur facendo cenno in questa sede alle occupazioni francesi come premessa dei cambiamenti istituzionali266.

264 Ibid.

265 G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro fino ai nostri giorni, Tipografia

emiliana, Venezia, 1845, vol. XXXII, pp. 12-17-

Anche l’enumerazione delle funzioni appariva rievocava una concezione di polizia più antica che si sarebbe dovuta occupare indistintamente della:

sorveglianza in genere per tutto ciò che si riferisce allo spirito pubblico; al regolamento disciplinale de’ luoghi di reclusione e di condanna per titolo politico; alle misure di prevenzione pel mantenimento del buon ordine, per garantire la pubblica e privata sicurezza, per impedire ogni specie di delitti; alle misure correzionali e di punizione sulle contravvenzioni alle leggi e regolamenti di polizia, ed altro riferibile a materie pretoriali267.

La genericità di tali attribuzioni richiamava le prerogative di “buon governo” delle polizie di antico regime e infatti l’autore proseguiva elencando i compiti in merito al rilascio delle patenti per gli esercizi commerciali, dei permessi di ogni genere, dal porto d’armi alle autorizzazioni per gli artisti di strada, fino ai provvedimenti relativi alla sanità pubblica, «per impedire lo sviluppo dell’idrofobia, l’ammasso di sostanze fetide, la vendita di commestibili nocivi ec.; gl’incendi, gli annegamenti ed altri infortunii».

Ancora una volta però un linguaggio tradizionale tradiva alcuni significativi elementi di cambiamento. Ad esempio l’intero settore relativo alla registrazione della popolazione e dei suoi movimenti, in cui era compresa l’effettuazione dei censimenti e il rilascio dei passaporti e documenti di varia natura – su cui si tornerà nel dettaglio in seguito –, fino ad allora privo di una regolamentazione organica e unificata e in gran parte delegato alle scritture parrocchiali, passava saldamente in mano alla polizia..

La novità sostanziale stava poi proprio nel fatto di coordinare e sottoporre tutte queste materie al controllo di una polizia generale sul modello francese, emanazione diretta del principale organo di governo dello Stato. L’assenza di un’enfatizzazione degli elementi di cambiamento e il continuo riferimento agli usi passati, oltre ad essere strumentale politicamente al fine di rimuovere i lasciti francesi, era indice della mancanza di una riflessione teorica in grado di supportare le riforme introdotte a livello di prassi istituzionale, su un piano discorsivo, politico e propriamente del Diritto. Un vero e proprio dibattito si sarebbe sviluppato soltanto più avanti, negli anni Cinquanta dell’Ottocento, in occasione della redazione di un primo vero codice di polizia che doveva dare una

forma giuridica stabile agli svariati regolamenti promulgati lungo tutto il periodo che stiamo considerando.