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La stabilizzazione degli anni Trenta tra polizia morale e polizia politica

3. L’ordine restaurato

3.4 La stabilizzazione degli anni Trenta tra polizia morale e polizia politica

Una nuova fase di espansione dell’apparato di polizia si verificò a seguito dell’elezione al soglio pontificio di Gregorio XVI Cappellari. L’indirizzo impresso dal nuovo pontefice, seppur ispirato alle medesime istanze zelanti del suo predecessore, non poteva più basarsi su un’utopia reazionaria, ma doveva necessariamente fare i conti con le pressioni che, dall’esterno e dall’interno, mettevano per l’ennesima volta in luce le debolezze dello Stato pontificio287. Oltre alle pressioni esercitate dal Memorandum stilato dalle altre nazioni della Santa Alleanza, in direzione di una profonda riforma dello Stato, di fronte all’esplosione dei moti insurrezionali degli anni Trenta in Romagna la polizia rappresentò l’unico organismo in grado di fornire strumenti in grado di fronteggiare e reprimere i tumulti, guadagnando così una nuova preminenza.

Fu in questa temperie che, nel 1834, venne emanato un nuovo regolamento di polizia introdotto con argomentazioni vaghe e fumose:

Le vicende formidabili de’ tempi, il cambiamento de’ sistemi, la diversità delle circostanze, il movimento transitorio degl’impiegati e tante altre ragioni intrinseche sopravvenute ed indispensabili facevano pur troppo desiderare il richiamo alla piena osservanza di quelle discipline che preesistevano, di quelle ripartizioni che si osservavano e di quella sistemazione, infine, mediante la quale è da sperarsi un servizio assai più utile e regolare ed un risultato assai più spedito e confacente alle provide mire del governo288. In realtà le motivazioni che avevano condotto a questa nuova regolamentazione risiedevano da una parte nei problemi legati ad un dissenso politico ormai maturo e strutturato, dall’altra alla ripresa di alcune riforme istituzionali mirate a portare a compimento il processo di accentramento e ammodernamento dello Stato interrotto dopo il periodo consalviano.

La nuova normativa di polizia nasceva infatti in stretta connessione con i regolamenti penali appena promulgati che, tentando un riordino della materia giudiziaria, investivano direttamente anche le funzioni di polizia. Un’altra spinta significativa veniva poi dalla separazione della Segreteria di Stato in Esteri e

287 Sul clima politico negli anni Trenta dell’Ottocento cfr. Monsagrati, Roma nel crepuscolo, cit., oltre

che Caravale-Caracciolo, Lo Stato pontificio, p. 615 e sgg.

288 Regolamento organico ed interno per la Direzione generale di Polizia, pubblicato in Calzolari-

Interni, avvenuta il 20 febbraio 1833, in virtù di una maggiore efficienza nella divisione dei settori politico-amministrativi a cui erano preposti i dicasteri. Come riflesso immediato la polizia subì uno sdoppiamento, in base al quale l’Alta polizia, deputata al controllo generale dello “spirito pubblico”, venne posta alle dipendenze degli Affari di Stato Esteri, soprattutto per ciò che riguardava la circolazione degli straneri e il rilascio dei passaporti che dovevano necessariamente passare per la Segreteria di Stato, mentre l’attività ordinariarestò legata agli Interni289.

Questa separazione comportò un riassetto più generale delle attività degli uffici su cui intervenne il nuovo regolamento. A livello di organigramma interno i Dipartimenti furono trasformati in Sezioni e, sulle orme della precedente ripartizione, la prima di queste comprendeva il Segretariato addetto alla direzione interna degli uffici e l’Assessorato, con compiti di Alta polizia relativi al controllo dei movimenti della popolazione e più in generale al mantenimento dello “spirito pubblico”, con particolare riferimento alle sette e alle cospirazioni politiche. La seconda Sezione includeva invece al suo interno la Polizia legislativa e disciplinale impegnata nella regolamentazione della normativa interna ed esterna all’istituzione la quale, acquistando maggiore stabilità ed autorevolezza, si trovava frequentemente impegnata a dirimere le controversie che potevano sorgere con altre autorità dello Stato. Infine la quarta Sezione unificava la Polizia morale, correzionale e giudiziaria, prima distinte, accomunando lo svolgimento di attività ordinarie (trasporto dei condannati, rinvenimento di oggetti) alla sorveglianza sui costumi privati, familiari e pubblici, fino alle questioni relative alla prostituzione, all’ozio e all’accattonaggio.

Tenuti da parte i compiti volti al funzionamento e alla disciplina interna di un’istituzione dotata di una certa complessità burocratica e organizzativa, si enucleavano due precise sfere d’intervento: una strettamente rivolta ai fenomeni di dissenso ideologico, quindi chiaramente connotata nel senso di una vera e propria polizia politica, ed un’altra legata ad una concezione di controllo diffuso,

289 «Il Governatore di Roma come Direttore Generale di Polizia dipenderà dal Cardinal Segretario

di Stato nell’esercizio dell’Alta Polizia; ed i Passaporti continueranno ad essere spediti dalla Segreteria di Stato». Il Chirografo è pubblicato in Raccolta, cit., vol. 415, n. 12.

di tipo morale e materiale, sugli oggetti, sulle attività e sui comportamenti dei sudditi.

Usando la concettualizzazione funzionale introdotta ai tempi della polizia francese, questi due rami si sarebbero potuti ricondurre ad un’attività più palesemente repressiva la prima e maggiormente preventiva la seconda, implicando con ciò una stretta correlazione tra i due tipi di intervento: soltanto un controllo capillare della popolazione e del territorio avrebbe potuto garantire il mantenimento della sicurezza dello Stato, poiché risultava impossibile prescindere dagli orientamenti morali per perseguire quelli politici290. Era così definitivamente applicata la lezione napoleonica, inglobando in essa anche le peculiare attenzione per il “buon costume”, che nello Stato pontificio continuava ad avere un peso determinante, anche in virtù dell’integrità dei sistemi di polizia ecclesiastici.

In conclusione, è lecito chiedersi se la ricostruzione di queste caratteristiche della polizia pontificia possa essere ricondotta ai parametri che si sono utilizzati nel definire lo scarto rappresentato dalla creazione di una polizia moderna. Prendendo come riferimento la definizione di Giorgia Alessi, segnalata nell’introduzione a questo lavoro, possono essere considerati come elementi di modernità: l’esistenza di una volontà politica e di un preciso «progetto di governo», l’affrancamento dai precedenti corpi subalterni di esecutori di giustizia di antico regime in favore di una completa centralizzazione e infine la sottrazione dell’istituzione di polizia «agli apparati e alle garanzie proprie della giurisdizione», anche se quest’ultimo punto presenta qualche criticità, poiché si è visto come lo sganciamento dalla giustizia fosse incompleto, a partire dal rapporto strutturale tra la Direzione generale di polizia e il Tribunale del Governatore291. Tanto quanto la coincidenza rilevata tra promulgazione dei regolamenti di polizia e riforme penali presenta dei tratti di ordinarietà, considerata l’intima e ineliminabile interrelazione tra giustizia e polizia, la specifica sovrapposizione tra le cariche di Governatore di Roma e Direttore generale è invece il segno di un distacco incompiuto. Ugualmente la mancanza di un’organica codificazione per

290 Cfr. i due saggi di E. Grantaliano, Spirito pubblico e difesa dello Stato, e M. Calzolari, Il nuovo

sistema informativo di polizia per la repressione dei delitti politici (1815-1820), in Bonella-Pompeo-Venzo, Roma fra la Restaurazione, cit., rispettivamente alle pp. 63-78 e 79-98

tutta la prima metà dell’Ottocento si è voluta leggere in questo stesso senso di indeterminatezza.

Tali “mancanze” appaiono però più di forma che di sostanza. L’incapacità di sancire ufficialmente, anche attraverso l’utilizzo di un linguaggio giuridico e politico appropriato, cambiamenti avvenuti a livello istituzionale, più che costituire l’indizio di un’assenza di trasformazioni svela maggiormente un atteggiamento di ambiguità delle classi dirigenti pontificie, alle prese con il dilemma di una riforma sostanziale della natura stessa dello Stato e dunque di una effettiva secolarizzazione delle funzioni, comprese quelle di polizia.

Per evitare però il rischio di appiattire ogni interpretazione in base a questo nodo irrisolto in partenza, si ritiene opportuno spostare la disputa concettuale su un piano maggiormente concreto di indagine sulla costruzione di pratiche e saperi di polizia, per poi valutarne la portata di innovazione o la sostanziale permanenza. E’ in questa prospettiva che anche le resistenze di fronte alla penetrazione di un nuovo modello di polizia, diventano invece punti di osservazione sulla specificità e la varietà dei fattori in gioco alle origini della polizia moderna.