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2. La “polizia prima della polizia”

2.1 Gli esecutori di giustizia in Antico Regime

L’assenza di un organo unico e centralizzato di polizia, in antico regime, rispecchiava la pluralità di livelli e di centri di potere tipico dell’assetto istituzionale degli Stati moderni. In tal senso il processo di accorpamento di funzioni, precedentemente disciolte in una molteplicità di organismi, in un unico apparato di polizia rientrò nel contrastato tentativo operato dai sovrani di ottenere, secondo la definizione weberiana, il “monopolio della forza”. A questo vuoto “dall’alto”, caratteristico dei primi secoli dell’età moderna, corrispondeva però una varietà di magistrature e corpi chiamati a svolgere compiti di controllo, amministrazione e prevenzione che sarebbero poi divenuti appannaggio delle polizie sette-ottocentesche.

Restringendo il vasto campo di tali attività poliziesche alle funzioni più strettamente riconducibili al mantenimento dell’ordine pubblico, un ruolo di primo piano veniva svolto dalle singole autorità investite di facoltà giurisdizionali. Ciascuna di esse, nell’esercizio congiunto dei suoi poteri, aveva necessità di disporre di una forza armata che consentisse di rendere esecutivi i provvedimenti emanati. Tale compito era affidato a diversi corpi di esecutori di giustizia alle strette dipendenze dei tribunali, facendo coincidere la frammentazione delle attività di polizia con il pluralismo giurisdizionale caratteristico dell’ancien

régime217.

Lo scenario era poi ulteriormente complicato dalla presenza delle giurisdizioni ecclesiastiche, a loro volta dotate di personale di polizia operante al pari delle altre forze esecutive che dipendevano dalle magistrature secolari, in virtù di quell’efficacia coestensiva di cui si è parlato ampiamente in precedenza218. Un altro dualismo imprescindibile era quella che separava i corpi armati impegnati nelle campagne, da quelli impiegati nelle città219.

217 Cfr. Fosi, La giustizia del papa, cit.

218 Cfr. Brambilla, La polizia dei tribunali ecclesiastici, cit.

219 Le ricerche sulle polizie si sono prevalentemente concentrate sulle capitali, in proposito cfr.,

infra, nota 74. Studi recenti, soprattutto in Francia, hanno invece cominciato ad occuparsi delle

diverse realtà urbane sparse nella provincia, cfr. C. Denys, Police et sécurité, cit., e V. Milliot, Les

Mémoires policier, 1750-1850: Écritures et pratiques policières du Siècle des Lumières au Second Empire,

Tenendo fermo l’angolo visuale sulla dimensione cittadina, nel caso di Roma le funzioni di polizia urbana erano regolate da norme statutarie e appannaggio delle diverse Presidenze e Prefetture della Reverenda camera apostolica. A disporre invece di un vero e proprio reparto di polizia giudiziaria erano una pluralità di tribunali criminali: il Governo, il Vicariato, la Camera Apostolica, il Senatore e l’Auditor Camerae220. Se tale situazione rifletteva il “groviglio” delle giurisdizioni romane, spesso in conflitto tra loro, un ruolo preminente era però rivestito dal Tribunale del governo che godeva di speciali prerogative in materia di ordine pubblico sin dalla sua istituzione, avvenuta nel clima particolarmente turbolento della prima metà del XV secolo.

Indipendentemente dal tribunale per il quale prestavano servizio, tutti questi esecutori di giustizia erano appellati con il termine di “birri”, in un’accezione spregiativa legata al loro essere comunemente associati agli stessi ambienti della malavita in cui operavano221. La loro organizzazione prevedeva una divisione in compagnie, il cui organico poteva variare a seconda delle magistrature a cui sottostavano, a capo delle quali era posto un Bargello.

I loro compiti erano essenzialmente quelli di sorvegliare l’ordine pubblico e coadiuvare le diverse attività dei tribunali, in particolare effettuando la segnalazione di reati e gli arresti veri propri, in flagranza o per mandato. Dalla quantità di operazioni portate a termine dipendevano poi anche i loro introiti e, di conseguenza, la cattiva fama di cui godevano nella percezione comune. Oltre al ruolo meramente esecutivo, svolgevano perciò anche una fondamentale funzione nell’avvio della procedura, rispetto alla quale “le relazioni dei birri”, redatte in genere di notte contestualmente al fermo del reo, rappresentano testimonianze preziose222.

tiene conto del problema città-campagna, è quello di P. Sanna, Le origini delle compagnie barracellari e

gli ordinamenti di polizia rurale nella Sardegna moderna, in I. Birocchi–A. Mattone (a cura di), La Carta de Logu d’Arborea nella storia del diritto medievale e moderno, Laterza, Roma-Bari, 2004, pp. 300-346.

220Cfr. L. Londei, Apparati di polizia e ordine pubblico a Roma nella seconda metà del Settecento: una crisi

e una svolta, in L. Cajani (a cura di), Criminalità e polizia nello Stato Pontificio (1770-1820), in «Archivi

e culture», 1998. p. 7–66, e Id. Gli apparati di polizia e la loro trasformazione nella seconda metà del

Settecento, in Calzolari-Di Sivo–Grantaliano (a cura di), Giustizia e criminalità, cit., pp. 123-144.

221 Cfr. ivi, e M. Di Sivo, «Rinnoviamo l’ordine già dato»: il controllo sui birri a Roma in antico regime, in

Antonielli (a cura di), La polizia in Italia e in Europa, cit., pp. 13-24.

Questi compiti di supporto all’attività giudiziaria arricchivano perciò di un’ulteriore sfumatura la gamma delle funzioni che, a posteriori, attribuiremmo alla polizia, rientrando nella categoria dello spionaggio e della fase istruttoria delle indagini. La differenza fondamentale stava però nel fatto che queste competenze non erano coordinate e centralizzate, ma piuttosto venivano lasciate all’iniziativa, se non all’arbitrio, personale e soprattutto non costituivano una prerogativa unica delle squadre dei birri. Come si è osservato attraverso il particolare funzionamento del Tribunale del vicario, gli stessi parroci svolgevano un importante ruolo nella segnalazione dei rei e nell’avvio della procedura, ricoprendo anch’essi un segmento significativo di quell’insieme di funzioni che sarebbero poi divenute esclusive della polizia.