• Non ci sono risultati.

4. Il ruolo dei parroci: vegliare e sorvegliare

4.2 La restaurazione dei parroc

Prima dell’arrivo dei francesi, nel corso del Settecento, le attività dei parroci romani si erano precisate e stabilizzate venendo a coincidere con la «messa, un po’ di predicazione, la direzione delle anime, l’amministrazione dei sacramenti, il controllo della moralità pubblica e privata, le visite ai parrocchiani per la compilazione degli stati delle anime, l’impresa della comunione pasquale»162. Sottese a tali mansioni pastorali vi erano poi le suddette funzioni civili che non furono del tutto rimosse neppure dai giacobini, i quali tentarono per il possibile di integrare i parroci all’interno del nuovo regime, affidandogli compiti rilevanti sotto il profilo della registrazione della popolazione e del mantenimento dell’ordine pubblico163. Si cercava di sfruttare al massimo il sistema burocratico connesso alle parrocchie per il governo del territorio e, al contempo, si confidava nel ruolo di mediazione e persuasione che i parroci avrebbero potuto svolgere nella ricerca del consenso popolare. La politica religiosa napoleonica, pur mantenendo quest’impronta, finì per rappresentare maggiormente una rottura, in particolar modo con la richiesta avanzata nel 1810 di prestare un formale giuramento all’Impero. Parallelamente si procedeva all’introduzione dello “stato civile” francese164. Il clero fu così esautorato da una delle sue tradizionali funzioni pubbliche e posto di fronte ad un’opzione politica che implicava un’infedeltà nei confronti del sovrano-pontefice.

Ricucire la lacerazione creatasi, soprattutto nel basso clero, rappresentò la prima preoccupazione delle autorità pontificie una volta ricostituito il suo potere. Già dai mesi iniziali della seconda Restaurazione, ancor prima che il papa di insediasse nuovamente a Roma, venne richiesta una pubblica ritrattazione da parte di coloro che avevano prestato il giuramento, sotto la pena di una

162 L. Fiorani, Identità e crisi del prete romano tra Sei e Settecento, in «Ricerche per la storia religiosa di

Roma», 7, 1988, pp. 183-184.

163 Ai parroci fu richiesto di stilare frequenti relazioni sullo stato di “pubblica tranquillità” nella

loro parrocchia. In merito si veda Formica, La città e la rivoluzione, cit., in particolare pp. 222-226; cfr. inoltre D. Armando, La Chiesa, in Armando-Cattaneo-Donato, Una rivoluzione difficile, cit., pp. 27- 110.

164 Cfr. E. Sonnino–A. Brasiello, La mortalità infantile a Roma durante la seconda dominazione francese in

base alle registrazioni dello «stato civile», in Boutry-Pitocco-Travaglini, Roma negli anni di influenza e dominio francese, cit., pp. 327-337.

sospensione a divinis165. Da una prospettiva opposta a quella dei francesi, l’inquadramento dei parroci risultava ugualmente funzionale al rafforzamento della capacità di governo pontificia.

Il clero cittadino doveva ricostituirsi in nome di una ripresa dei modelli di stampo tridentino, in particolar modo inseguendo quel prototipo di “prete romano”, exemplum per gli altri sacerdoti e incarnazione dell’ideale di romanitas, che aveva reso la capitale sede privilegiata per la formazione dell’intero clero cattolico, soprattutto grazie al forte impulso impresso in questa direzione da Gregorio XIII Buoncompagni166.

Seppur intrisa di questi ideali di ispirazione tridentina, la politica ecclesiastica promossa dal Vicario Della Genga fu però improntata al pragmatismo e alla necessità anzitutto pratica di ristabile e organizzare tempi, modi e rituali che scandivano la vita cittadina. A tal fine furono promulgati bandi, notificazioni, “inviti sacri” e editti, mirati a impartire ai fedeli regole e istruzioni sullo svolgimento degli eventi religiosi (processioni, quaresima, catechismi, esercizi spirituali) e della vita associata più in generale (prescrizioni alimentari, orari di apertura e chiusura delle osterie, obbligo di riposo nei giorni festivi)167. Si cercava così di ricomporre il tessuto sociale e rituale della città e, in una logica di coincidenza tra aspetto civile e religioso, si avviava un tentativo di “risacralizzare” lo spazio e la vita urbana, che avrebbe avuto il suo culmine con il Giubileo del 1825168.

In questo senso i parroci rappresentavano un fondamentale anello di congiunzione con i fedeli, a patto che gli fossero restituite le facoltà civili, da cui discendeva la capacità di incidere sulla vita quotidiana e privata delle persone. Il “tariffario degli emolumenti” del 31 marzo 1819 confermava la duplice valenza

165 ASR, Bandi Vicario, vol. 331, Notificazione 3 giugno 1814.

166 Cfr. G. Battelli, La tipologia del prete romano fra tradizione e ‘romanitas’ nell’Otto-Novecento, in

«Ricerche per la storia religiosa di Roma», 7, 1988, pp. 213-250.

167 Fonti privilegiate per ricostruire i contenuti della comunicazione tra le istituzioni e i sudditi

sono le collezioni dei bandi che venivano affissi nella città. Nel caso specifico si è effettuato un sondaggio sistematico in ASR, Bandi Vicario, voll. 331 (1807-1817) – 332 (1818-1824) – 333 (1825- 1828), da cui sono tratte le informazioni che seguono.

168 Cfr. i due saggi di Ph. Boutry, Espace du pèlegrinage, espace de romanitè. L’année sainte de la

Restauration, e P. Di Cori, Sacre misure. Spazio e tempo a Roma durante l’Anno Santo 1825, in S. Boesch

Gajano–L. Scaraffia (a cura di), Luoghi sacri e spazi della santità, Rosenberg & Sellier, Torino, 1990, rispettivamente pp. 419-444 e 445-464.

delle attestazioni dei parroci, stabilendo i compensi previsti per le diverse tipologie di documentazione rilasciata, in base alle fasce sociali di appartenenza169. Si trattava a tutti gli effetti di certificazioni civili rilasciate da un’autorità pubblica, finalizzate ad una molteplicità di scopi per cui era necessario il ricorso alle registrazioni parrocchiali. Ad esempio le “fedi di buona condotta” erano necessarie al fine di ottenere licenze per il porto d’armi, per il rilascio di passaporti, per la vendita del vino e la gestione nelle locande, oltre che per l’esercizio di alcuni particolari mestieri, come ad esempio quello delle levatrici170; invece le attestazioni anagrafiche sullo stato civile erano richieste per dimostrare lo stato libero ai fini matrimoniali, oppure per dirimere controversie testamentarie o per usufruire di un sussidio per la povertà.

Questa pluralità di provvedimenti confluì infine nella stesura della Costituzione Super Universam, promulgata nel novembre 1824, poco dopo l’elezione al soglio pontificio di Leone XII Della Genga171. Era stato quest’ultimo, in qualità di Vicario, a seguire la lunga gestazione dei lavori preparatori del testo di legge nel corso degli ultimi anni del pontificato di Pio VII Chiaramonti. La riforma delle parrocchie cittadine mirava al contempo a riformulare il profilo istituzionale e gli aspetti di vita ordinaria della chiesa locale172. Sin dall’enunciazione della «ratio et finis constitutionibus» risultava evidente la centralità dell’elemento territoriale: la ridefinizione dei confini parrocchiali era la condizione necessaria per precisare, con rinnovato vigore, i compiti pastorali e ristabilire un saldo governo sulla città173.

169 ASR, Bandi Vicario, vol. 332, in cui viene specificato il compenso che ogni categoria di sudditi è

tenuta a versare relativamente alle diverse tipologie di certificazione richieste. Ad esempio «per l’attestato delle pubblicazioni: principi 2 sc., prelati e nobili 1 sc., persone di ceto medio 60 sc., tutti gli altri 10 sc.», oppure «per le fedi che si estraggono dai libri parrocchiali e di cresima»: principi 1 sc., prelati e nobili 50 sc., persone di ceto medio 30 sc., tutti gli altri 10 sc.».

170 Cfr. G. Fiocca, Parrocchie, parroci e mammane nella prima metà dell’Ottocento a Roma, in La parrocchia

in Italia, cit., pp. 523-532.

171 Super Universam, cit., pp. 255-265.

172 Cfr. D. Rocciolo, La riforma delle parrocchie tra Pio VII e Leone XII, in A. L. Bonella–M. I. Venzo–A.

Pompeo, Roma fra la Restaurazione e l’elezione di Pio IX. Amministrazione, economia, società, cultura, Roma-Freiburg-Wien, 1997.

173 «Nobis proposuimus, ut urbis paroeciae certis limitibus circumscribantur, atque ita inter se

sejunctae, ac divisae sint, ut nulla in posterum quaestio oriri possit; ut qualibet paroecia plebem, nec plus aequo amplam, nec nimis contractam recenseat, ut parochiales titulis in iis ecclesiis vel conserventur, vel instituantur, in quibus divinus cultus debita majestate atque splendore per agi, ac

Il primo risultato fu l’abolizione di 37 parrocchie, ridotte a 54, di cui 46 dentro le mura della città174. I territori vennero poi divisi in isole, in modo da evitare l’eventualità che si verificasse un’incertezza sull’appartenenza di ogni abitazione ad una sola circoscrizione parrocchiale. Nella situazione di forte mobilità interna della popolazione romana, che spesso migrava da una residenza all’altra seguendo traiettorie lavorative e familiari o sotto la pressione della precarietà e temporaneità delle soluzioni abitative, risultava di primaria importanza stabilire confini certi e precise responsabilità dei parroci175. In tal senso la diminuzione delle sedi mirava ad una maggiore efficienza del funzionamento dell’intero sistema parrocchiale. Se la chiave di volta del nuovo assetto parrocchiale risiedeva nella nuova configurazione della geografia urbana, la Costituzione scendeva poi nei dettagli dello svolgimento delle singole mansioni attribuite alle parrocchie, disciplinandone l’organizzazione interna, il sistema delle nomine, dei titoli e delle retribuzioni spettanti ai sacerdoti. Si entrava infine nel merito dello svolgimento delle funzioni liturgiche e dell’amministrazione dei sacramenti, sottolineando con forza l’importanza cruciale insita nelle registrazione parrocchiali. Nell’incentivazione alla buona tenuta e alla conservazione di tali scritture si faceva esplicita menzione dei Libri di censimento delle anime, delle nascite, dei matrimoni e dei defunti176, lasciando però in ombra un’altra tipologia di scritture che rispondevano all’azione più schiettamente repressiva svolta dai parroci in relazione all’attività giudiziaria, oggetto di una normativa separata. Le funzioni di populus commode convenire possit; ut nova reddituum, ac honoris accessione parrochorum dignitati et feliciori conditioni consulatur.» (Super Universam, cit., pp. 255-256, § 5.)

174 Ivi, § 6-11-12. Le chiese con funzione parrocchiale entro le mura rimasero: S. Adrano in Campo

Vaccino, S. Agostino, S. Andrea delle Fratte, S. Angelo in Pescheria, SS. XII Apostoli, S. Bartolomeo all’Isola, S. Bernardo alle Terme, S. Carlo ai Catinari, S. Caterina della Rota, SS. Celso e Giuliano ai Banchi, S. Crisogono, S. Dorotea, S. Eustachio, S. Giacomo in Augusta, S. Giovanni dei Fiorentini, S. Lorenzo in damaso, S. Lorenzo in Lucina, S. Lucia del Gonfalone, S. Luigi dei Francesi, S. Marcello, S. Marco, S. Maria in Aquiro, S. Maria in Campitelli, S. Maria in Cosmedin, S. Maria di Loreto dei marchigiani, S. Maria sopra Minerva, S. Maria ai Monti, S. Maria in Monticelli, S. Maria del Popolo, S. Maria della Transpontina, S. Maria in Trastevere, S. Maria in Via, S. Maria in via Lata, S. Martino ai Monti, S. Nicola in Carcere, SS. Quirico e Giuditta ai Monti, S. Rocco, S. Salvatore della Corte (o S. Maria della Luce), S. Spirito in Sassia, S. Tommaso in Parione, SS. Vincenzo e Anastasio a Trevi, oltre che le basiliche di S. Giovanni in Laterano, S. Maria Maggiore, i Palazzi Apostolici e S. Pietro in Vaticano. Cfr. legenda della mappa in appendice.

175 Sugli spostamenti della popolazione all’interno delle mura della città, soprattutto in base alle

appartenenze parrocchiali, cfr. i due saggi di S. Passigli, Il territorio delle parrocchie romane durante i

secoli XIV, XV, XVI, pp. 63 – 93, e E. Sonnino, Popolazione e territori parrocchiali a Roma dalla fine del ‘500 all’unificazione, pp. 93-111 in E. Sonnino (a cura di), Popolazione e società a Roma, cit.

polizia dei parroci costituirono infatti un aspetto non trascurabile nel processo di ridefinizione dei loro compiti avvenuto nel corso della Restaurazione romana177; non si trattava esclusivamente del ripristino di antiche attribuzioni, ma di fronte alle rinnovate esigenze di controllo sociale imposte da un contesto urbano sostanzialmente mutato, si delineava un strategia di intervento per larga parte inedita.

177 Cfr. G. Martina, Il clero italiano dell'Ottocento, in «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 7,

1988, p. 68: «A Roma, durante la Restaurazione, i parroci non solo si sentono i custodi della pubblica moralità, ma hanno a loro disposizione la polizia, cercano di facilitare il suo compito suggerendo perfino l'ora in cui i complici di adulterio o altro possono essere sorpresi insieme, sembrano mirare più alla punizione che alla conversione». Cfr. inoltre i numerosi esempi di intervento dei parroci riportati, in tono aspramente polemico, dal coevo L. De Sanctis, Roma papale, cit., e nello studio di T. Sardelli, I processi sul buon costume, cit.