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Nel dicembre del 1824 la Direzione Generale di Polizia, istituita da meno di un decennio, apriva un fascicolo in cima al quale era annotato, laconicamente, che «il tribunale non sa più cosa fare».

Nel rescritto veniva poi esposto l'oggetto dell'indagine:

Torna l'avvocato Tinelli a reclamare una providenza contro il genero Sisco il quale si è di nuovo portato alla di lui abitazione a commettere delle insolenze. Trattandosi di pretesa di alimenti tra padre e figlia sembra che debba occuparsene il Vicariato da cui potrà sentire gli ordini anche il Presidente incaricato della sorveglianza su questi coniugi196.

195 Belli, Sonetti, p. 102.

196 Questa e le seguenti citazioni sono tratte dal fascicolo conservato in ASR, Direzione generale di

Già da queste poche parole, sintesi del contenuto dell'incartamento, emergono alcuni elementi di interesse ai fini della nostra analisi.

Innanzitutto, pur trattandosi di un'indagine di polizia, il primo riferimento del fascicolo era ad un tribunale non meglio specificato, dando quindi per scontato il legame esistente tra la Direzione generale e la magistratura del Governatore di Roma. Nonostante che la creazione di un corpo di polizia unico, statale e centralizzato avesse rappresentato una significativa novità rispetto alle consuetudini di antico regime, in cui le funzioni di polizia erano svolte dalle singole magistrature, veniva in tal modo ribadito un rapporto di dipendenza della Direzione generale da un organo giudiziario. Non si trattava esclusivamente di un'integrazione reciproca in merito alle indagini, ma il nesso tra queste istituzioni era strutturale e incarnato dalla stessa autorità ad esse preposta: il Governatore di Roma e vice-camerlengo, al contempo a capo del tribunale e Direttore di polizia197. La relazione preferenziale tra Tribunale del governo e polizia era poi ulteriormente rafforzata dal riferimento al Vicariato con il quale, al contrario, non trapelava nessuna forma di consuetudine e anzi si adombrava un conflitto di competenze riguardo alle controversie familiari.

Un altro elemento di novità era costituito dal riferimento alla figura del «Presidente, incaricato della sorveglianza sui due coniugi»: si trattava del Presidente regionario di polizia, deputato a vigilare sul territorio del rione, a cui si era ispirato anche Belli nel sonetto riportato in apertura del capitolo198. Nella descrizione del poeta questo appariva come un personaggio immerso nella dimensione popolare del rione, chiamato a risolvere una lite tra due donne le quali, reciprocamente, si ricoprivano di accuse a sfondo sessuale. Malgrado l’uso dell’appellativo «illustrissimo» che mostrava, seppur sarcasticamente, il riconoscimento della sua autorità, il tono della conversazione e il tentativo da parte delle due donne di coinvolgerlo in prima persona nella vicenda, evocavano più una tradizionale funzione di mediazione e pacificazione che un vero e proprio intervento di polizia199.

197 Cfr. Del Re, Monsignor governatore, cit. Tra il 1824 e il 1825, periodo in cui si svolse la vicenda in

questione, la carica fu ricoperta da Monsignor Bernetti.

198 In merito alla produzione di Belli cfr., supra, nota 7 del I capitolo. 199 Cfr., supra, nota 14 del I capitolo.

Si tornerà più avanti a precisare il profilo istituzionale dei Presidenti di polizia, per ora basti valutare la combinazione di fattori di novità e di permanenza presenti in questo affare che segnalano un momento di particolare transizione in cui la definizione dei compiti e delle autorità appare quanto mai fluida e instabile. Alla luce di ciò si può meglio interpretare l’iniziale dichiarazione di «non saper più che fare» rilasciata dal Tribunale del governo alla Direzione di polizia, come sintomo della mancanza di una solida consuetudine procedurale a cui fare riferimento: come mai la Direzione generale, in connessione con il Tribunale del governo, si trovò ad affrontare un caso, classificato tra le materie di "buon costume"200, che aveva come oggetto lo scambio di alimenti tra un padre e una figlia, materia di tradizionale competenza del Vicariato?

Si è già osservato il modo in cui il sistema ecclesiastico, basato sulla comunicazione tra parrocchie e Tribunale del vicario, intervenisse nel merito delle violenze e delle controversie familiari201. Ai curati era infatti affidato il compito di rilevare i casi di questo genere e scegliere le modalità dell’intervento, di tipo propriamente giudiziario oppure di natura extra-dibattimentale: potevano utilizzare lo strumento delle ammonizioni canoniche, come per le «prattiche scandalose», oppure effettuare un ricorso al tribunale, o infine pervenire ad una risoluzione privata. Erano comunque i parroci ad avere l’autorità e la facoltà di avviare la procedura in questa tipologia di dissensi familiari. Tuttavia, nel caso considerato, il disbrigo dell’affare era stato interamente preso in carico dalla Polizia.

Una prima motivazione stava nel fatto che il contenzioso chiamava in causa direttamente il Presidente del rione Campitelli, Tommaso Nicolai, e perciò la Direzione generale era tenuta a rispondere del comportamento di un suo funzionario. Era stato infatti il genero di Tinelli, Giovanni Sisco, ad inoltrare per primo un’istanza chiedendo giustizia del suo arresto eseguito dal Presidente regionario il 17 novembre del 1824. Il giovane spiegava che, la sera in cui era stato

200 Il fascicolo in questione era stato classificato sotto il titolo 4 corrispondente alla “polizia morale”. 201 Era il Vicario l’autorità incaricata di vigilare sull’amministrazione dei sacramenti e, in qualità di

giudice ordinario, a lui spettava «il riconoscere e terminare le cause de’ matrimoni e sponsali» (Rocciolo, Della giurisdittione e prerogative del Vicario, cit., p. 48). Cfr. inoltre il già citato Avviso alli

fermato, si trovava in procinto di raggiungere la moglie la quale, per l'ennesima volta, si era recata «a chiedere pietà al di lei padre, affinché si degnasse a «sborzargli il residuo di dote», considerate le ristrettezze in cui versava la coppia. Il genitore si era però ostinato a tenere chiusa la porta e a scacciarla finché, dopo un'ora e mezza, «sopraggiunta da tosse convulsiva, che facilmente poteva condurla a sgorghi di sangue, che di tanto in tanto per le grandi passioni d'animo va' vomitando», si era dissuasa ed era tornata dal marito che la aspettava nel palazzo di fronte per farle compagnia nel «lungo, e faticoso ritorno» verso casa. Giovanni Sisco la attendeva al di là della strada poiché non poteva avvicinarsi all’abitazione del suocero a causa di un precetto ricevuto in precedenza dalla polizia, indizio di rapporti già molto tesi tra i due. Nel momento in cui la coppia era in procinto di ricongiungersi era scattato l'arresto effettuato da due carabinieri che avevano poi condotto i coniugi alla Presidenza, per ordine dello stesso Nicolai. Anche l’intervento del corpo dei carabinieri, istituito da pochi anni, con funzioni esecutive rappresentava un’innovazione su cui si tornerà più avanti.

Il racconto di Giovanni proseguiva, con toni melodrammatici, nella descrizione delle traversie vissute nella notte dell'arresto, passata tra « convulsioni e stringimenti di petto» e richieste di essere trasportato nelle prigioni del Tribunale del governo, «conoscendo ancora che la carcere di Presidenza è angusta in modo, che neppure spetterebbe ai rei di morte, massima nella notte». Oltre alla denuncia delle condizioni inumane della prigione, le parole di Giovanni Sisco miravano ad imputare a Nicolai un supposto abuso di potere relativamente alla sua detenzione nella prigione della Presidenza, facendo leva sulla poca chiarezza in merito alle facoltà di arresto e di trattenimento dei rei attribuite ad una carica di così recente istituzione.

Di fronte alla durezza e alla determinazione del cavalier Nicolai, la moglie era poi corsa a chiamare aiuto presso i vicini che avevano mostrato tutta la loro solidarietà con i due malcapitati, soccorrendoli «chi con sedie, chi con acqua, e il caro Brigattiere offerì di buon cuore una porzione di vino, che si ritrovava, e tutti si meravigliavano di tanta crudeltà».La comunità locale veniva chiamata in causa da Sisco per legittimare e dare forza alla sua denuncia contro il Presidente, ma

anche quest’ultimo usava il vicinato come testimone della sua versione dei fatti202. Nicolai controbatteva infatti dichiarando che la durata la carcerazione era stata di sole due ore, senza che si fossero verificati nè gli episodi di convulsione dell’arrestato, né l'«attruppamento» di popolo descritto, ed erano anzi i due coniugi in questione ad essere «usi a far piazzate più di altra gente plebea», malgrado potessero vantare origini un po’ più elevate. L’elemento della provenienza sociale, qui solo accennato, aveva in realtà un peso determinante in tutta la vicenda.

La difesa di Nicolai si basava essenzialmente sul suo adempimento all’incarico, affidatogli tempo prima dal Tribunale civile dell’Auditor Camerae, di tutore dell’«economia, e direzione della famiglia Sisco», e proprio nella causa che aveva riguardato le transazioni relative agli oneri dotali stava il nocciolo dell’intera questione. Nel contratto rogato da un notaio capitolino qualche giorno prima del matrimonio, era stato stabilito l'ammontare di 550 scudi per la dote, 50 da darsi nell'atto della stipulazione, 200 da erogare in vari negozi come da contratto e residui 300 da consegnarsi al padre dello sposo Nicola Sisco, il quale si era fatto carico di provvedere al mantenimento della moglie e della prole. Tolte le dovute ipoteche e cauzioni, la somma residua si era ridotta così a 225 scudi, ma sopraggiunta la morte di Nicola e rifiutandosi i fratelli di Giovanni di firmare la quietanza di pagamento, il Tribunale aveva stabilito che la quota fosse versata al Banco di S. Spirito. A garanzia degli accordi stabiliti era necessario nominare una figura autorevole e la scelta era ricaduta su Tommaso Nicolai, in virtù delle recenti attribuzioni dei Presidenti anche in merito alla funzione di tutori delle famiglie. Però il fatto che la nomina fosse ricaduta su Nicolai aveva destato i sospetti di Giovanni Sisco, poiché tra il Presidente e il suocero «vi passa molta amicizia […] e sono fra di loro in piena unione». Si può in effetti intuire con quale facilità, nell’ambito del rione, si creassero occasioni di contatto e scambio tra un avvocato come Tinelli, impiegato come aiutante di studio presso il Tribunale della Sacra Rota, e un funzionario dello Stato come Nicolai. Quest’ultimo infatti, a differenza degli altri Presidenti di Roma, non apparteneva alla piccola nobiltà cittadina che

202 Sull’intervento del vicinato come soggetto unitario nei conflitti e nelle alleanze di tipo

aveva rappresentato il principale bacino di reclutamento degli alti funzionari della Polizia203. Dal punto di vista della composizione sociale la nuova istituzione era stata concepita con l’intento di rimanere saldamente legata alla curia al suo vertice, nominando un ecclesiastico come Direttore generale, ma al tempo stesso di integrare la nobiltà cittadina a livello di cariche locali, lasciando infine spazio, all’interno della sua articolata organizzazione burocratica, a personale proveniente dagli strati sociali medi di impiegati e professionisti204.

Nicolai e Tinelli erano insomma due tipici esponenti di quell’apparato amministrativo, statale e militare, che rappresentava l’unico settore in grado di esprimere in nuce un ceto borghese emergente all’interno della netta divisione sociale caratteristica dello Stato pontificio, polarizzata tra il blocco compatto di nobiltà e clero e la plebe nullatenente. In assenza dei presupposti di uno sviluppo economico/capitalistico capace di attivare la crescita di un nuovo ceto produttivo – tranne i casi marginali dei mercanti di campagna e di alcuni piccoli imprenditori – la piccola e media borghesia legata alle professioni e all’amministrazione pubblica, in parte cresciuta anche grazie ai sistemi burocratici importati dai francesi, costituiva l’unico larvato elemento di dinamismo sociale205

La comune estrazione di Tinelli e Nicolai faceva anche convergere la loro percezione sociale nei confronti di «un proletario, come il Sisco, sprovisto di beni di fortuna, baldanzoso, ozioso e continuo giocatore». Su questo tenore di accuse vertevano le denunce inviate da Tinelli alla polizia in risposta all'istanza di Sisco, con qualità di vere e proprie querele di parte. L’avvocato, supportato dal Presidente, richiedeva alla polizia un intervento contro il genero affinché fosse «costretto energicamente ad occuparsi onestamente, onde la infelice sua famiglia non si riduca ben presto alla mendicità». Il giovane, con la sua condotta scellerata, aveva infatti portato:

203 Nel 1824 sulle 14 presidenze regionarie corrispondenti ai 14 rioni, soltanto 4 avevano a capo un

Presidente senza titoli nobiliari: Campitelli, Ponte, Parione, Trastevere. Cfr. legenda della mappa di Roma in appendice.

204 Sul personale di polizia più in generale cfr. M. Calzolari, Il cardinale Ercole Consalvi e la

riorganizzazione delle forze di polizia nello Stato pontificio, in Cajani (a cura di), Criminalità e polizia, cit.,

pp. 133-168, in particolare p. 159 e sgg.

quasi l'inferno nella casa del suocero, può dirsi exemplum sine exemplo, dopo aver miseramente sacrificata la figlia di un galantuomo, ostinato esso in una vita scioperata, insultando e calunniando, chi dovrebbe rispettare per legge, per la età, e per la gratitudine delle non meritate beneficenze, e per tante ammonizioni e precetti.

In questi resoconti l'avvocato Tinelli, facendo sfoggio di un linguaggio forbito, insisteva molto sul rischio, provocato dai comportamenti del genero, di degradare la condizione sociale ed economica della famiglia, evidentemente faticosamente conquistata. Il suo status doveva infatti essere di recente acquisizione, poiché tra i componenti del suo nucleo familiare vi era lo stesso Giovanni Sisco figlio del cognato e dunque suo nipote; nonostante il grado di parentela, l’avvocato si era opposto tenacemente al matrimonio desiderato dalla figlia Virginia, «pur troppo sovvertita e dimentica della propria educazione e condizione», probabilmente proprio in difesa del riscatto sociale da lui ottenuto. Un professionista a servizio dell’amministrazione pontificia, come Tinelli, era infatti continuamente soggetto ad un regime di precarietà, economica e di status, e proprio per questo necessitava del supporto di reti di assistenza e protezione al fine di non precipitare di nuovo tra i ceti più bassi, nei confronti dei quali si attivavano continue strategie di distinzione, nei comportamenti sociali e negli stili di vita206.

Il senso di appartenenza ad una piccola borghesia delle professioni in faticosa ascesa assumeva quindi una rilevanza cruciale all'interno di questa vicenda in primo luogo dal punto di vista delle transazioni economiche e simboliche legate al matrimonio, oggetto precipuo della controversia, in secondo luogo per il riflesso che la provenienza sociale ebbe nei comportamenti tenuti dai protagonisti nei confronti delle autorità.

Per quanto riguarda la questione delle transazioni matrimoniali, da cui era scaturito il conflitto, va anzitutto considerato quanto tra questi ceti medio-bassi il sistema di scambio dotale ricoprisse ancora una funzione determinante e perciò quanto rappresentasse una materia contesa tra le istituzioni preposte a

206 Su quest’aspetto si sofferma l’analisi della composizione sociale di Roma condotta in Bartoccini,

Roma nell’Ottocento, cit., p. 194: «Negli ambiti degli stessi filoni di professionalità e di funzioni

facilmente si scendeva dalla media alla piccola borghesia, folta di coloro che dovevano essere all’inizio “portati”, e poi continuamente “assistiti” nell’ambito di un’incerta esistenza, tenacmente attaccati al sistema delle protezioni e dei privilegi, alla difesa di un ruolo e di un’apparenza formalmente onorifici e qualificanti nei confronti del basso popolo verso cui essi ergevano una barriera che volevano mantenere insormontabile».

disciplinarla, al fine di detenere il controllo dei comportamenti sociali ed economici di una fetta cospicua di popolazione207. In questo caso il nodo della controversia era costituito dalla richiesta insistente e violenta di alimenti che la figlia, sotto la presunta pressione del marito, continuava a rivolgere al padre, mentre quest'ultimo affermava di adempiere puntualmente ai suoi oneri. A questo proposito il genitore non poteva trascurare di sottolineare che, se la figlia non avesse avuto tanta fretta di sposarsi, la sua dote sarebbe potuta essere molto più cospicua grazie alle elargizioni della famiglia Giustiniani, sua "attinente", da cui già «la defunta sua madre, e le sue zie conseguirono la somma ciascuno di scudi Millle». Troppo tardi i coniugi Sisco avevano tentato di ottenere questi benefici tramite una supplica rivolta alla Confraternita della SS. Annunziata in funzione di mediatrice. Ciò dimostrava quanto, nel meccanismo dotale, si intrecciassero una molteplicità di interessi pubblici e privati che tenevano in piedi un sistema assistenziale e un circuito economico alimentato da gruppi religiosi e famiglie aristocratiche, a cui i ceti più deboli erano costretti ricorrere per vedere tutelati i loro beni208.

Sul secondo versante a cui si è fatto riferimento, relativo ai diversi comportamenti tenuti nei confronti delle istituzioni, la provenienza sociale mostrava nuovamente un peso rilevante. Il giovane Sisco si era rivolto alla polizia soltanto in extremis e oltretutto allo scopo di denunciare ai vertici della Direzione l’inizitiva di un funzionario locale. Dalla documentazione allegata al fascicolo si evince che i suoi primi ricorsi erano stati invece diretti al Tribunale del vicario, notoriamente competente sugli affari coniugali. In forza di questa consapevolezza diffusa tra il popolo romano, aveva scelto di rivolgersi al Monsignor Vicegerente per far valere la sua «pretensione» di essere alimentato dal padre della sposa e, di fronte al rigetto della sua istanza, erano cominciati gli episodi di aggressione nei confronti di Tinelli i quali, sfiorando il reato di «domestica rapina», erano costati a

207 Sulla centralità del meccanismo delle doti in età moderna cfr. a J. Goody–S. J. Tambiah, Ricchezza

della sposa e dote, F. Angeli, Milano, 1981. Sulla realtà dei singoli antichi Stati italiani si vedano I.

Chabot, L’economia della carità: le doti del Monte di Pietà di Bologna. Secoli XVI-XX, Il Mulino, Bologna, 1997; M. Fubini Leuzzi, Condurre a onore: famiglia, matrimonio e assistenza dotale a Firenze in età

moderna, L. S. Olschki, Firenze, 1999. Per quanto riguarda Roma cfr. Groppi, I conservatori, cit.

208 In particolare sul sistema delle confraternite a Roma cfr. L. Fiorani, “Charità e pietate”.

Confraternite e gruppi devoti nella città rinascimentale e barocca, in Fiorani-Prosperi (a cura di), Roma, la città del papa, pp. 431-478.

Giovanni il precetto rigoroso di «non accostarsi più alla casa del suocero sotto pena di tre anni di carcere». Malgrado questo pesante avvertimento Sisco aveva continuato a perpetrare violenze nei confronti di Tinelli, fino a tentare di «fissarsi prepotentemente colla sua famiglia in di lui casa, così mettendo a soqquadro la di lui economia», come raccontava l’avvocato ponendo nuovamente l'accento sul pericolo di rovina e di destabilizzazione materiale ed emotiva della famiglia provocato dal genero.

La violazione del domicilio e la contravvenzione al precetto ricevuto, spostavano perciò la questione civile relativa alla dote sul piano penale, ma non era questo l'unico motivo per cui si era trovata ad intervenire la polizia.

Era stato proprio l'avvocato Tinelli, uomo con una certa preparazione giuridica e avvezzo a muoversi tra le magistrature e la burocrazia pontificia, a decidere di coinvolgere le autorità di polizia, anziché rivolgersi al proprio parroco o direttamente al Tribunale del vicario, a differenza di quanto aveva fatto il genero qualche anno prima. Oltre ai rapporti personali che legavano Tinelli al Presidente del rione, questa scelta implicava il riconoscimento della nuova polizia quale referente privilegiato per un uomo nella condizione culturale e socio-professionale da lui ricoperta.

Prova ne era la sicurezza e la disinvoltura con cui Tinelli si rivolgeva all'ufficio allegando, oltre alle ordinarie istanze di denuncia, alcuni "sommari" dell'indagine istruttoria svolta di sua iniziativa, a supporto della querela esposta. Soltanto in questa sede l’avvocato chiamava a testimoniare il parroco di S. Stefano in Pescinola, area in cui risiedevano i coniugi, a cui veniva chiesto conto della "disgraziata" unione. Il curato lo rinviava al suo collega di S. Andrea delle Fratte, chiesa in cui risultava celebrato il matrimonio il 18 novembre 1820. Il parroco però rispondeva in modo sibillino:

non ho voluto intrigarmi in tali birberie, che se dipendessero da me, procurerei che fossero punite, stante il disonore procurato con tanta baldanza a civili persone. Non io, se