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III CAPITOLO

5. Tutelare i costumi: individui e gruppi social

5.2 La gestione della povertà

Il cronico problema del pauperismo, da sempre al centro delle politiche assistenziali pontificie, veniva ora preso in carico dalla polizia e dunque da un apparato dello Stato che aveva il compito di centralizzare il sistema al contempo assistenziale e repressivo, ridimensionando la pluralità di istituzioni, prevalentemente religiose, tradizionalmente preposte a tali compiti. I tentativi di semplificazione e centralizzazione del circuito caritativo operati dai pontefici nel corso dei secoli precedenti non erano infatti riusciti a superare la frammentarietà dell’intervento rimasto fondamentalmente in mano alle confraternite religiose374. Soltanto nel periodo francese si era agito più incisivamente in tale direzione tentando di applicare il modello francese dei dépôts de mendicitéche si innestava sull’articolato sistema reclusivo già esistente a Roma375.

In questo, come in tanti altri campi già presi in considerazione, l’occupazione francese rappresentò un forte catalizzatore di esigenze preesistenti, proponendo soluzioni a problemi lungamente insoluti e fornendo così la base degli interventi attuati nel corso della Restaurazione. Dopo la cacciata dei francesi la lotta contro il dilagare di povertà e vagabondaggio tenne conto di questi presupposti, riprendendo però lo schema di lunghissimo periodo basato sulla continuità tra politiche assistenziali e punitive che poggiava sulla distinzione tra mendicanti veri e falsi, bisognosi e impostori, buoni e cattivi e se per gli uni era consentita l’elemosina e prevista una forma di aiuto, per gli altri doveva esistere soltanto la punizione376. A chi sarebbe spettato questo delicato compito di distinguere, identificare e certificare?

374 Per una sintesi delle più importanti iniziative di legge dei pontefici in materia, con particolare

attenzione al ruolo strategico svolto dalle confraternite religiose a Roma, cfr. Fiorani, “Charità e

pietate”, cit., e M. Piccialuti, La carità come metodo di governo. Istituzioni caritative a Roma dal pontificato di Innocnzo XII a quello di Benedetto XIV , Giappichelli, Torino, 1994.

375 Cfr. Formica, La città e la rivoluzione, cit., in particolare pp. 310-326 e per il periodo napoleonico

M. Piccialuti, Istituzioni napoleoniche a Roma: i «dépôts de mendicité», in Boutry-Pitocco-Travaglini,

Roma negli anni di influenza e dominio francese, cit., pp. 95-119.

376 Sulla forme di assistenza e repressione nei confronti del pauperismo, nei loro aspetti di lunga

durata e di cambiamento, rinvio a B. Geremek, La pietà e la forca. Storia della miseria e della carità in

Europa, Roma-Bari, Laterza, 1986, e S. Woolf, Porca miseria. Poveri e assistenza nell’età moderna, Roma-

Se era abbastanza chiaro che la polizia si sarebbe dovuta occupare prevalentemente degli aspetti repressivi del problema in relazione all’ordine pubblico e i parroci avrebbero dovuto curare l’ambito caritativo e assistenziale, era meno evidente se a questi ultimi continuasse ad essere attribuita la facoltà di distinguere le varie tipologie di poveri, come avevano fatto lungamente in occasione delle ricognizioni per la compilazione degli Status animarum377. La cosa certa era che i curati, attraverso il ripristino completo delle loro funzioni civili e il monopolio delle registrazioni anagrafiche, erano gli unici in grado di fornire un accertamento sulla condizione reddituale dei fedeli e, in virtù di ciò, le altre autorità e in primo luogo la polizia non potevano che fare affidamento su di loro. La situazione si chiarì man mano che si definirono i contorni della nuova offensiva anti-pauperistica, inizialmente avviata da Pio VII con la creazione dell’Istituto generale della carità in cui sarebbero dovuti convergere tutti i poveri di Roma per poi essere suddivisi in categorie, a seconda della loro specifica condizione378. Fu però con Leone XII che fu messo a punto un sistema più articolato e mirato ad una forte centralizzazione, attraverso la creazione di una cassa unica dello Stato e l’istituzione di una Commissione de’ sussidi379. Quest’organo di governo centrale avrebbe dovuto coordinare le attività organizzate a livello locale attraverso apposite congregazioni create in ogni parrocchia e a cui avrebbero preso parte il parroco, due deputati parrocchiali, un cittadino e una dama di carità nominati dal cardinale presidente e in carica per tre anni; tali congregazioni, supportate da un medico e da un chirurgo, sarebbero poi confluite nelle congregazioni regionarie, corrispondenti ai diversi rioni, presiedute

377 Cfr. Fiorani, “Charità e pietate”, cit., in cui l’autore riporta le principali nomenclature di poveri

riportate negli Stati delle anime: poveri industriosi, poveri necessitasi, poveri miserabili, Famiglie povere, famiglie che hanno l’elemosina.

378 C. L. Morichini, Degli Istituti di carità per la sussistenza e l’educazione dei poveri e dei prigionieri in

Roma. Libri tre, Stabilimento tipografico camerale, 1870, p. 258, in cui l’autore e apologeta del

sistema assistenziale romano spiega come Pio VII avesse raccolto tutti i mendicanti a S. Maria degli Angeli alle Terme, dividendoli poi in tre classi: «poveri assoluti, che per naturali imperfezioni o per cadente salute non potevano lavorare: poveri relativi, che lavoravano, ma traevano dalle loro opere un guadagno insufficiente al vivere di loro e delle proprie famiglie: poveri viziosi, che non volevano lavorare».

379 Ivi, pp. 265-266, in l’autore spiega che la Commissione doveva essere composta da: «un Cardinal

Presidente e quindici membri, cioè il Tesoriere generale della Camera, il Limosiniere segreto del Papa, un deputato che fa le finzioni di segretario della Commissione e altri dodici deputati che presiedono alla distribuzione de’ sussidi nella città. I deputati della Commissione, nominati dal Papa e scelti parte nella pelatura e parte nel laicato, durano in officio sei anni.

da un Prefetto scelto tra i membri della Commissione centrale, coadiuvato da un segretario e da un bidello che erano gli unici ad essere retribuiti per i loro compiti380.

Le congregazioni parrocchiali e quelle regionarie, riunite settimanalmente, davano vita alla Congregazione di Parrochi e Prefetti, organo deputato a prendere decisioni e avanzare proposte da sottoporre alla Commissione in merito all’elargizione di sussidi (ordinari, straordinari e urgenti) e ad altri problemi di ordine pubblico e morale connessi al pauperismo381. La particolare natura di questi consessi in cui venivano riportate le singole esperienze rilevate a livello locale, tramutava questi luoghi in veri e propri osservatori sulla vita sociale della città e proprio per questa rilevanza essi divennero anche il bersaglio di aspre polemiche da parte di alcuni contemporanei, come Luigi De Sanctis che avrebbe descritto tali riunioni come un laboratorio di corruzione, favoritismi e clientele scatenate dal meccanismo dei sussidi382.

L’accusa di De Sanctis, guidata da un forte spirito anticlericale, ci riporta quindi al ruolo cruciale che continuavano a mantenere i parroci nel sistema assistenziale messo a punto negli anni precedenti. Se la polizia aveva guadagnato ampie facoltà di perseguire il fenomeno del vagabondaggio e dell’accattonoggio, rafforzato dalle numerose disposizioni promulgate nel corso di tutto il XIX secolo, erano i parroci gli unici certificatori dello stato di povertà dei gruppi famigliari e dei singoli, essendo i soli a autorizzati ad entrare nel privato dei loro fedeli. I Presidenti regionari sparsi sul territorio avrebbero perciò potuto svolgere, per conto della Polizia correzionale, i compiti di registrazione e sorveglianza, ma soltanto previa autorizzazione scritta e formalizzata del parroco, tanto quanto la popolazione doveva necessariamente ottenere l’attestazione parrocchiale per accedere ai diritti di assistenza previsti.

380 Ibid. Sulla figura dei Prefetti regionari cfr. anche Moroni, Dizionario di erudizione, cit., vol. 71, p.

87 e sgg., da loro dipendeva anche le scuole parrocchiali poste sotto il controllo della Deputazione per le scuole regionarie riorganizzate da Leone XII, attraverso la bolla Quod divina sapientia, coordinata dal Vicariato (Id., vol. 63, p. 115).

381 La documentazione relativa alla Congregazione di parrochi e prefetti è conservata in ASVR, Atti

della Segreteria del Vicariato, Plico 118, in cui sono contenuti i provvedimenti e delibere relativi

all’ordine pubblico dal 1833 al 1903. Al momento della ricerca non mi è stato possibile visionare queste carte poiché era in corso un lavoro di ricerca sulle stesse.

382 Cfr. L. De Sanctis, Roma papale descritta in una serie di lettere con note, Tipografia Claudiana,

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