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3. L’ordine restaurato

3.2 La polizia nella capitale

Il nesso tra la nozione di polizia e quella di polis è stato al centro di molti studi che hanno individuato nella città il campo di applicazione privilegiato delle molteplici attività passate sotto il controllo delle polizie sette-ottocentesche268. Nello Stato pontificio era la stessa normativa ad indicare tale rapporto come fondante poiché, come si è già sottolineato, la stesso atto istitutivo era incentrato sulla struttura organizzativa della polizia di Roma, facendo soltanto qualche sporadico riferimento all’assetto più generale dello Stato. La centralità della capitale nel sistema poliziesco era stata già sancita nel periodo francese, quando si era stato stabilito il doppio livello organizzativo tra Roma e il resto dello Stato. La Direzione generale appena istituita e impiantata nella capitale proseguiva perciò su questa linea ed era chiamata a coordinare tutti gli uffici periferici presenti sia in città che nelle province. In queste ultime, sempre in forte collegamento con il centro, sarebbero stati i delegati apostolici a svolgere le funzioni effettive di polizia, in collaborazione con i direttori provinciali, i sotto- direttori e i gonfalonieri, e con il supporto del corpo dei carabinieri269.

268 Per i diversi Stati italiani si rinvia, a titolo di esempio, ai lavori di D. Balani, Il Vicario tra città e

Stato. L’ordine pubblico e l’annona nella Torino del Settecento, Deputazione subalpina di storia patria,

Torino, 1987; G. Alessi, Giustizia e polizia, il controllo di una capitale, Napoli 1779–1803, Jovene, Napoli, 1992; A. Contini, La città regolata: polizia e amministrazione nella Firenze Leopoldina (1777-

1789), in Istituzioni e società in Toscana nell’età moderna. Atti delle giornate di studio dedicate a Giuseppe Pansini, Firenze 4–5 dicembre 1992, Ministero per i beni culturali e ambientali, Roma, 1994, vol. I, pp.

426–450; Marin, Découpage de l’espace, cit. La stessa prospettiva urbana ha caratterizzato anche gli studi a livello europeo, a titolo di esempio cfr. per la Francia Farge, La vie fragile, cit., e Piasenza,

Polizia e città, cit. Per l’Inghilterra E. Reynolds, Before the Bobbies: The night Watch and Police reform in Metropolitan London, 1720-1830, Houndmills Basingstoke, Macmillan, 1998, e A. T. Harris, Policing the city: Crime and Legal Authority in London, 1780-1840, Columbus Ohio, Ohio State University

Press, 2004.

269 Nella notificazione istitutiva l’articolo XI affermava che: «la polizia delle Provincie sarà in

relazione con la Polizia generale di Roma che ne formerà il centro». Nel seguente articolo veniva poi specificato: «I legati e delegati di tutto lo Stato saranno capi di Polizia nelle loro Provincie. Gli ufficiali de’ Carabinieri corrisponderanno coi medesimi. I legati e delegati dovranno organizzarla secondo le istruzioni che riceveranno dalla Segreteria di Stato. Ove poi non risiede il legato o delegato, o un magistrato di Polizia e dove sia stazionato un ufficiale , o basso ufficiale de’ Carabinieri, questi eserciteranno le funzioni di Polizia, secondo l’istituzioni di questo Corpo di concerto col Governatore locale e, quando occorra, col Governatore distrettuale, fermi sempre restando i loro regolamenti per le intelligenze e rapporti militari al colonnello del Corpo» (Raccolta

delle leggi e disposizioni, cit., pp.668-669). Sull’organizzazione più generale della polizia a Roma e in

Provincia nel corso di questi anni e attraverso i singoli provvedimenti legislativi cfr. M. Calzolari– E. Grantaliano, La legislazione di polizia dello Stato pontificio da Pio VII a Gregorio XVI, in Vinciguerra (a cura di) I Regolamenti penali, cit., pp. CCXXXVI-CCXLVIII.

L’articolazione periferica di Roma veniva invece affidata ai Presidenti regionari, in parte prefigurati nella Post Diuturnas, ma istituiti ufficialmente soltanto con la notificazione dell’ottobre 1816 che si soffermava a lungo sulla loro organizzazione. A differenza della Post Diuturnas che prevedeva l’affidamento di tale carica ad un esponente del «ceto degli ecclesiastici, cavalieri e cittadini», il bacino di reclutamento dei Presidenti diveniva ora completamente laico, spostando la scelta sulla «classe dei nobili, e dei più colti, probi, ed onesti cittadini»270. Sebbene l’incarico di Direttore, che coincideva con quello di Governatore di Roma, rimanesse rigorosamente in mano ad un ecclesiastico, i criteri di selezione dei funzionari introducevano un elemento meritocratico, seppur circoscritto ai componenti delle èlites nobiliari cittadine, nei confronti delle quali si tentava di attivare forme di coinvolgimento e consenso. La stessa disposizione con la quale era previsto che la sede dell’ufficio coincidesse con la residenza privata del Presidente, dotata delle apposite insegne di riconoscimento, riproponeva una logica di distribuzione di titoli onorifici su scala rionale. In realtà le Presidenze, anziché corrispondere ai quattordici rioni, finirono per essere ridotte a dieci: «per titoli di vacanza o quiescenza, furono riunite quella di Ripa e Trastevere, l’altra di S. Angelo e Campitelli, quella di Pigna alla Presidenza di S. Eustachio, e quella di Parione a Ponte»271. Il Presidente, in carica per cinque anni rinnovabili, avrebbe poi avuto in aiuto un vice-presidente con grado di capitano, un segretario, un portiere e un ispettore «che sorveglierà alla cognizione dei delitti», coadiuvato da una squadra di almeno otto carabinieri in qualità di forza esecutiva272.

Delineato l’assetto topografico e la composizione degli uffici, il documento istitutivo procedeva a descrivere le singole attribuzioni affidate alle Presidenze, anzitutto quelle in merito alla registrazione e alla descrizione degli abitanti del rione che dovevano contenere i dati relativi a: «nome, cognome, patria, età, condizione, modo di sussistenza, numero dei figli, età, applicazione, o abbandono all’ozio, e le qualità di tutta la famiglia»273. Si trattava a tutti gli effetti di una descrizione qualitativa e non meramente quantitativa, poiché lo scopo non era

270 Raccolta delle leggi e disposizioni, cit., vol. V, p. 666, art. 1. 271 Moroni, Dizionario di erudizione, cit., vol. VIII, p. 71. 272 Raccolta delle leggi e disposizioni, cit., p. 667, art. II,. 273 Ivi , p. 667, art. III.

esclusivamente quello di censire la popolazione, ma di utilizzare questi dati ai fini del rilascio di autorizzazioni, documenti, passaporti, licenze per il porto d’armi e per le attività commerciali, oltre che per il principale scopo di esercitare un controllo capillare sulla comunità rionale. Queste informazioni dovevano poi essere inoltrate mensilmente alla Direzione generale, mentre giornalmente il Presidente era tenuto ad inviare un rapporto «di tutto ciò che di delittuoso accade nel suo rione colle sue annotazioni di sospetto, o di scoperta di delinquenti, e tutt’altro di rimarchevole»274.

La combinazione tra sorveglianza degli abitanti e vigilanza sul territorio, affidata ai Presidenti, non aveva precedenti precisi nel passato. Un primo spunto, soprattutto nella distribuzione topografica delle funzioni, proveniva sicuramente dai Commissari napoleonici, distribuiti nelle nove giustizie di pace in cui era stata divisa Roma nel periodo imperiale. Invece l’idea di non formulare nuovi confini circoscrizionali e di ricalcare l’andamento degli antichi rioni, seppur con minime variazioni e accorpamenti, rimandava alla distribuzione delle milizie municipali di origine medievale, in particolare a quella dei Caporioni a cui si richiamava esplicitamente la normativa275. Si è però già rilevato quanto questo tipo di riferimento al passato avesse avuto fondamentalmente uno scopo retorico e legittimante, funzionale ad un’evocazione simbolica di antiche usanze municipali solo in minima parte riassorbite dalla polizia. Più che di una sostituzione di figure si trattava infatti di un ripensamento strutturale dell’impianto relativo all’ordine pubblico, in cui i Presidenti assumevano il ruolo precedentemente svolto dai Caporioni soltanto in particolari momenti di ritualità cittadina, come ad esempio il periodo di sede vacante quando avveniva un’amnistia propiziatoria:

Il Senato romano […], dopo aver radunata la milizia urbana de’ capotori, chiama a sé i presidenti de’ rioni di Campitelli, e di Regola, che facendo le veci degli antichi Capo-rioni, spedisce con il capitano di detta milizia ad aprire, giusta la antica consuetudine, le carceri nuove, e quelle del Campidoglio, affine di liberare i detenuti rei di piccole colpe, giacché quelli di gravi delitti preventivamente si trasferiscono a Castel S. Angelo276

274 Ivi, p. 668, art. V.

275 Su questo particolare compromesso tra commissari napoleonici e caporioni incarnato dai

Presidenti di polizia insiste Puglia, Conflittualità, controllo, mediazione, cit., p. 228.

Per il resto i compiti dei Presidenti, inseriti all’interno di un’organizzazione fortemente gerarchizzata e centralizzata, in stretto rapporto con il vertice politico, differivano sostanzialmente dalle funzioni locali di mediazione comunitaria svolte dalle autorità municipali nel passato.

Nel contesto di questa combinazione tra un ruolo istituzionale sostanzialmente nuovo e la ripresa di attribuzioni in precedenza ricoperte da altre autorità, appare maggiormente convincente l’analogia esistente con alcuni degli incarichi tradizionalmente affidati ai parroci in collegamento con le autorità ecclesiastiche e statali. Ad accostarli era il particolare rapporto intrattenuto con la comunità locale e gli stessi strumenti del controllo in loro dotazione: il tipo di registrazione dei movimenti e dei comportamenti degli abitanti sembrava rifarsi ampiamente al modello di compilazione degli Stati delle anime e dei Libri di ammonizioni canoniche, tanto quanto erano assimilabili le prerogative di fondo volte a «invigilare sul buon costume» e mantenere «il buon ordine, e la tranquillità del rione»277. Presidenti regionari e parroci si trovarono perciò non solo ad occuparsi di materie molto simili relative ai comportamenti individuali, ai dissensi o alle controversie familiari, alla moralità pubblica e privata, ma anche ad utilizzare strumenti e metodi affini, configurando un terreno al confine tra la tradizionale tutela del “buon costume” e il più recente controllo dello “spirito pubblico”.