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2. Carolina e le altre detenute: la criminalità femminile tra stereotipi e realtà Il caso giudiziario appena presentato riveste un interesse particolare ai fini del

2.3 I tribunali: giustizia laica ed ecclesiastica

Dai dati riportati nel grafico che segue risultano evidenti gli elementi di squilibrio territoriale a cui si è appena fatto riferimento, soprattutto nei rapporti tra centro e periferia. Entrando nel dettaglio degli organi giudicanti appare infatti ancora più significativa la forbice tra le numerose condanne comminate a Roma (260, sommando il Tribunale del vicario a quello del governatore) e quelle provenienti dalle altre province (241). L'obiettivo di creare un istituto centralizzato in cui far convergere le condannate di tutto lo Stato, uniformando il regime della pena, continuò ad essere mancato anche nella riorganizzazione territoriale e amministrativa seguita alla Restaurazione.

Si confermava in tal modo la funzione prevalentemente urbana del carcere di S. Michele, frutto dello scarto tra intenti e risultati presente sin dalla fondazione della Casa di pena delle donne negli anni Trenta del Settecento. Altrettanto evidente era il legame, sancito sin dagli atti istitutivi, che legava l'istituto in modo preferenziale al Tribunale del governatore, a cui si accostò però un rapporto altrettanto stretto, consolidatosi nel tempo, con la magistratura del Vicario.

E’ questo uno dei motivi per cui la nostra analisi si concentrerà sulla realtà di Roma, in merito alla quale i dati tratti dalle fonti risultano più eloquenti, sempre tenendo conto delle peculiarità della capitale che impediscono di estendere il discorso tout-court a tutto il territorio dello Stato. Al tempo stesso guadagnare tale prospettiva, nello specifico del nostro discorso sulla formazione degli strumenti del controllo, permette di focalizzare il ruolo della capitale come centro propulsivo e laboratorio politico e sociale in cui furono sperimentate le nuove direttive governative prima di essere diramate in periferia mutando, talvolta, di segno.

167 93 33 29 25 20 20 9 8 7 7 7 7 69 Vicario Governo

Macerata Frosinone (19)/Consegne Militari Frosinone (10) Direzione Generale di Polizia come detenuta Curia Vescovile di Ancona (15)/Ancona (5) Viterbo (16)/Curia Vescovile (4) Pesaro (8)/Delegazione Pesaro (1)

Fermo Ascoli

Curia Vescovile di Citt di Castello Curia Vescovile di Velletri

Perugia Altri Tribunali

Valutando i risultati riportati nel grafico va anzitutto fatta una considerazione a parte per i 25 casi in cui le donne furono incarcerate a seguito dell'intervento della Direzione generale di polizia, il nuovissimo organo di controllo da poco istituito e in larga parte mutuato dal modello importato dai francesi. Queste donne entrarono in carcere senza subire una condanna giudiziaria vera e propria, ma per una “misura di polizia”. In 7 casi si trattava di campagnole di Vallecorsa, arrestate il 26 giugno 1821 e accusate di “più delitti”, dicitura adottata in genere per reati relativi al brigantaggio64. Pochi giorni dopo, il 10 luglio, veniva effettuata un’altra retata ad opera della polizia, sempre nella zona di Vallecorsa, in cui 8 donne erano arrestate per reati relativi alla morale.

Si può dunque supporre che, di fronte ad emergenze straordinarie, la nuova polizia si fosse trovata ad intervenire allo scopo di reprimere un’intera organizzazione di malviventi, composta da brigantesse e prostitute, portate in carcere senza subire un procedimento giudiziario. Ma al di là dell'eccezionalità del caso singolo, si delineava un'inedita forma di intervento sulla criminalità che, per la prima volta, non era emanazione diretta dei tribunali presenti sul territorio. L'operazione di arresto di gruppo non era stata effettuata dagli esecutori di giustizia di una magistratura, ma proveniva da un organo centralizzato dello Stato rappresentato dalla Direzione generale di polizia. Ciò costituiva un significativo cambiamento di cui si tratterà estesamente nei capitoli successivi.

64 Sul fenomeno del brigantaggio e del "banditismo sociale" più in generale, rinvio alla

fondamentale tesi, e al dibattito successivo riportato nel testo stesso, di E. J Hobsbawm, I banditi. Il

banditismo sociale nell'età moderna, Nuova edizione riveduta e ampliata, Einaudi, Torino, 2002, in

Tornando però all'attività ordinaria dei tribunali e alla specifica realtà romana si è già sottolineato il ruolo cruciale di due organi: il Tribunale del governatore, che emanò nel corso degli 8 anni considerati 93 sentenze, e il Tribunale del vicariato, che pronunciò 167 condanne, compresa quella di Carolina65. Le infrazioni femminili, commesse nella capitale, erano perciò soggette al controllo incrociato di due magistrature, una legata alla figura del governatore della città, quindi di natura "laica", ed una con funzioni di curia vescovile di Roma e dunque religiosa.

Ovviamente l'utilizzo del binomio laico/ecclesiastico, in uno Stato con una vocazione teocratica come quello della Chiesa, perde parte del suo significato, eppure non si può prescindere del tutto dalla sua applicazione, sia sul piano della percezione esistente all’epoca e sia per il valore euristico che esso può assumere per noi. Esisteva infatti una distinzione di fondo tra organi deputati a svolgere la funzione di foro ecclesiastico, come diretta emanazione della Chiesa di Roma, seppur con ampie prerogative secolari (curie vescovili, tribunali ecclesiastici, etc.), e altre magistrature con una vocazione prevalentemente statale, incardinate nell’apparato politico-amministrativo (tribunali cittadini, corti d’appello, etc.). Il caso del Tribunale del governatore, a capo del quale era posto un cardinale, rappresentava emblematicamente la difficoltà di operare una distinzione netta tra questi due ambiti giurisdizionali66. Tale nebulosità era anzitutto la conseguenza di quel fenomeno di "clericalizzazione", svoltosi parallelamente al processo di formazione dello Stato pontificio, in conseguenza del quale le maggiori cariche politiche e amministrative erano state affidate a prelati67.

Alla base c'era naturalmente un'ambiguità insolubile, propria di un'entità statuale al vertice della quale era posto un sovrano, che ricopriva al contempo il ruolo di guida dell'ecumene cattolica; ciò, oltre ad aver incentivato forme di clericalizzazione diffusa, aveva altresì alimentato le commistioni tra funzioni

65 Per dare rilievo a questo dato, nel grafico, si sono segnalate in modo distinto le due istituzioni, a

differenza delle altre province in cui sono stati accorpati i tribunali operanti nella stessa città, anche se distinti nella legenda. Ciò in considerazione dell’ingente mole di sentenze emanate a Roma e del particolare interesse che essa riveste all’interno del nostro discorso.

66 Cfr. N. Del Re, Monsignor Governatore di Roma, Istituto di studi romani, Roma, 1972.

67 Cfr. Prodi, Il sovrano pontefice, cit. e P. Partner, Il mondo della curia e i suoi rapporti con la città, in

statali ed ecclesiastiche. La caratteristica fusione di poteri religiosi e temporali nella figura del sovrano-pontefice se, come enfatizzato da Paolo Prodi, costituì un elemento di vantaggio e accentramento di prerogative in una prima fase di gestazione dello Stato moderno68, non riuscì però a comporre del tutto sovrapposizioni e conflitti, che rappresentarono cronici elementi di debolezza della compagine statale. L'unitarietà dei poteri, che dalle mani del pontefice si propagavano per tutto il corpo politico, rendeva ancora più fluida la divisione delle sfere di competenza, dando vita al doppio fenomeno che Adriano Prosperi ha definito «clericalizzazione dell'apparato statale» e «secolarizzazione delle regole di controllo della società»69.

Nell'ordinamento giudiziario si rispecchiavano, in modo paradigmatico, tali contraddizioni. Naturalmente non si trattava di antagonismi di natura giurisdizionale, come nei casi che vedevano contrapporsi principi e vescovi in molte aree d'Europa, considerato che il potere di giudicare promanava, sempre e soltanto, dalla figura assoluta e monocratica del papa. Però questa peculiarità pontificia, anziché pacificare lo scenario, tendeva a provocare frequentemente controversie tra i tribunali. Paradossalmente le occasioni di scontro erano maggiori qui, in assenza di una linea di demarcazione definita tra ambiti statali ed ecclesiastici, che negli altri antichi Stati italiani, in cui l'ingerenza del papato finiva per preservare la giurisdizione della Chiesa, limitando fortemente quella laica70. A questa differenziazione tra organi giudiziari corrispondeva poi una distinzione sul piano del diritto, canonico e civile. Tale divisione era altresì complicata dalla particolare declinazione che assunse l'ordinamento canonico

68 P. Prodi, Il sovrano pontefice, cit.

69 Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Einaudi, Torino, 1996 p. 322. 70 Come osservato, in merito ai poteri di arresto, da Brambilla, La giustizia intollerante, cit., p. 158:

«Simili poteri di polizia non erano consentiti ai vescovi e sacerdoti d'Oltralpe. In Germania, in Austria, in Francia i vescovi, volendo procedere all'arresto di laici, dovevano comunicare, motivandole, le loro scomuniche ai tribunali regi, che approvandole (exequatur) le traducevano in mandati d'arresto da eseguirsi dalle loro forze di polizia. In Italia l' exequatur era periodicamente rivendicato dagli stati secolari nei momenti di guerra o acuta tensione diplomatica col papato come stato politico; ma anche nei domini spagnoli, solo quando si accendeva una tensione politica o si apriva una fase di guerra tra il papato e la Spagna in ministri regi aprivano conflitti "giurisdizionali" per recuperare sovranità; e solo allora esigevano che il "braccio secolare", l'uso delle forze di polizia, fosse richiesto al "principe" (al Senato milanese, al Sacro regio consiglio a Napoli), prima che i birri potessero eseguire gli ordini dei parroci e dei vescovi; o si pretendeva che le loro sentenze non si potessero eseguire senza la conferma regia (exequatur).»

nello Stato pontificio - sdoppiato dal diritto canonico generale, almeno fino al redivivo universalismo tridentino71 - e dal riconoscimento della capacità di giudicare in utroque jure72, in particolar modo nel settore dei "reati misti", relativi alla religione e alla morale, perseguibili secondo il diritto canonico e quello civile73. Di norma questo tipo di conflitti, generati dalle competenze "cumulative" dei tribunali, si risolvevano attraverso il diritto di "prevenzione", per cui il primo che interveniva ed arrestava il reo, grazie ai suoi esecutori di giustizia, otteneva il diritto di giudicare. Questa soluzione non era però sufficiente a dirimere la questione della sovrapposizione tra magistrature, che continuò a permanere come una cifra caratteristica del sistema giudiziario romano, malgrado i pareri avanzati da autorevoli giuristi come Giovan Battista De Luca, che auspicava una semplificazione del sistema giudiziario attraverso l'eliminazione dei tribunali minori74, e gli interventi legislativi di riordino della materia giudiziaria promossi lungo il XVIII secolo.

Testimonianze in merito a questa lunga durata di conflitti di competenze, in particolare tra il Tribunale del vicario e altre magistrature, sono ripercorribili attraverso le carte della Segreteria di Stato, chiamata a dirimere tali questioni ancora nel corso del XIX secolo75. In questo stesso periodo si aprì un dibattito all’interno del mondo cattolico teso a discutere il problema dell'introduzione di forme di "secolarizzazione" nella società pontificia, anche in favore di una

71 Ivi, p. 163 e sgg.

72 Cfr. E. Brambilla, Alle origini del S. Uffizio: penitenza, confessione e giustizia spirituale dal Medioevo al

XVI secolo, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 535 e sgg., in cui la studiosa porta ad esempio delle

ambiguità precipue della cultura giuridica pontificia, la figura di Prospero Farinacci.

73 Sulla natura giuridica dei "reati misti" cfr. Ivi, p. 83 e sgg., e P. Prodi, Una storia della giustizia. Dal

pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 266 e sgg.

74 G. B. De Luca, Theatrum veritatis et iustitiae, XV, Corbelletti, Roma, 1673, disc. 47, n. 47. Cit. anche

in Di Sivo, Per via di giustizia, cit., a cui si rimanda a proposito di un caso giudiziario emblematico, risalente al 1622, di conflitto tra il Tribunale del senatore e il Tribunale del governatore, presentato in apertura al saggio

75 A titolo di esempio si rinvia soltanto ad uni dei molti casi di controversia in Archivio Segreto

Vaticano (d'ora in poi ASV), Segreteria di Stato, rubr. 89, fasc. 1, sottoposto al Segretario di Stato Consalvi nel 1818. Il motivo del contendere era rappresentato dall'arresto, effettuato dalla Presidenza regionaria di polizia di Trastevere, di alcune guardie svizzere presso il Vaticano, sorprese a giocare in un giorno di festa. Il Tribunale del vicario rivendica il caso poiché concerneva la trasgressione dei costumi e quindi rientrava nelle sue competenze. Il Maggiordomo dei sacri palazzi rivendicava invece la sua giurisdizione nell'area dei palazzi vaticani. Avviata la causa i carteggi si interrompono e non sappiamo l'esito ultimo dei fatti.

risoluzione di questo tipo di controversie76. I cauti tentativi di applicazione di tali innovazioni nell'apparato amministrativo e politico, promossi da figure come il segretario di Stato Ercole Consalvi, giunsero però a risultati davvero esigui, dimostrando i forti limiti insiti nel riformare un sistema con forti elementi di blocco.

Oltre alla confusione di competenze, mai chiarita fino in fondo per un'ambiguità propria nella natura del potere papale e in parte mai affrontata strutturalmente, allo scopo di conservare ampi margini di arbitrarietà, questa peculiare articolazione dei poteri diede vita ad un sistema di repressione doppiamente pervasivo, in particolare sul terreno vischioso dei "reati misti", in cui erano autorizzati ad intervenire organi laici ed ecclesiastici.

Va infine sottolineata la maggiore imputabilità delle donne nei delitti di questa natura, che stringeva ulteriormente le maglie del controllo su di esse. A dimostrazione di questa sinergia nell’azione dei tribunali, si può constatare la spaccatura, quasi a metà, del campione considerato: le 501 condannate furono infatti giudicate per 257 volte da magistrature definibili secolari e in 238 da organi classificabili come ecclesiastici77. Questo controllo sul "buon costume", in particolare femminile, che altrove era stato assunto della Chiesa come competenza "privativa" e assoluta, in area pontificia rimaneva conteso tra tribunali ecclesiastici e statali. L’esercizio congiunto di tali poteri giurisdizionali era dunque il frutto del peculiare ordinamento giudiziario vigente nello Stato, oppure era riconducibile alla particolare natura dei reati commessi dalle donne?

76 Cfr. G. Verucci, Félicité Lammennais dal cattolicesimo autoritario al radicalismo democratico, Istituto di

studi storici, Napoli, 1963, e R. Colapietra R., La chiesa tra Lammennais e Metternich, Morcelliana, Brescia, 1963. Più in generale e con uno sguardo volto alla contemporaneità D. Menozzi, La chiesa

cattolica e la secolarizzazione, Einaudi, Torino, 1993.

77 In un solo caso compare la dicitura "per ordine del Santissimo" e non è segnalato nessun'altro

2.4 I reati