• Non ci sono risultati.

III CAPITOLO

2 Geografia urbana e sociale: Presidenze regionarie e circoscrizioni parrocchial

2.2 La legittimazione popolare: parrocchiani e ricorrent

Oltre a sancire le attribuzioni amministrative e di controllo poliziesco affidate alle diverse autorità, la definizione di questi confini contribuiva anche a segnare le varie appartenenze locali. L’organizzazione urbana era infatti essenzialmente fondata su micro-comunità che, dall’ambito più ristretto del vicinato si estendevano al territorio parrocchiale, fino a comprendere il perimetro rionale, configurando così forme di appartenenza multiple. Le modificazioni circoscrizionali delle parrocchie e della polizia, che si succedettero in questi anni, ebbero dunque una ricaduta nella percezione degli abitanti alle prese con un reticolo parrocchiale profondamente riformato e, soprattutto, con l’impianto di autorità di polizia completamente sconosciute.

Su questa situazione di notevole segmentazione di poteri e competenze si innestava poi la consistente mobilità, abitativa e lavorativa, della popolazione di Roma di cui si è già detto. In questo senso gli abitanti non solo subivano le modificazioni degli assetti territoriali e amministrativi provenienti dall’alto, ma accanto a forme di disorientamento e resistenza sviluppavano anche una notevole capacità di adattamento, utilizzando a loro favore alcune delle incongruenze venutesi a creare.

In particolare per i funzionari della nuova polizia si poneva un problema di vera e propria legittimazione sociale. Essi rappresentavano infatti una figura istituzionale inedita che soltanto vagamente rievocava la funzione di pacificazione e mediazione svolta in precedenza dai Presidenti dei rioni309. Oltretutto la presenza stessa di questi nuovi rappresentanti locali di polizia comportava una negoziazione ulteriore del ruolo dei parroci che smettevano di essere i referenti unici della comunità territoriale.

Se è vero che le finalità di poliziotti e parroci erano sostanzialmente diverse, essendo i primi portatori di una nuova concezione di controllo sociale diffuso e agendo i secondi dentro una logica strettamente comunitaria di ammissione o espulsione dei fedeli dal proprio gregge, si è già sottolineato – e si motiverà analiticamente qui di seguito – quanto alcune competenze fossero affini. Il dato

più rilevante è però costituito dal fatto che entrambi gli organismi, a partire dalla loro vocazione territoriale, avevano come compito precipuo la tutela della comunità locale e proprio su questa convergenza si innestavano sinergie e conflitti. Come ha ben argomentato Margherita Pelaja nella sua circostanziata ricerca sulle strategie matrimoniali e le relative politiche di repressione dei costumi femminili, lungo il XIX secolo:

solo in apparenza la politica messa in atto dai parroci nei confronti delle donne dalla moralità dubbia era opposta a quella perseguita dai Presidenti regionari. Come questi ultimi anche i parroci erano mossi da una concezione in larga misura poliziesca del rapporto con i loro governati. Né essi sapevano o intendevano delegare ad un’autorità laica recentemente e appositamente costituita questa forma di controllo, perché su di essa reggeva il patto di legittimazione e affidamento che li legava ai propri fedeli: la difesa attenta dell’ordine e dell’armonia comunitaria310.

Se la difesa dell’ordine comunitario era l’obiettivo strategico di parroci e polizia, in che modo la comunità stessa faceva valere i propri strumenti di legittimazione e di fiducia nei confronti delle autorità locali? Secondo quale criterio la popolazione sceglieva di rivolgersi agli uni o agli altri?

Le fonti privilegiate per rispondere a tale ordine di questioni dovrebbero essere quelle prodotte dagli uffici, delle parrocchie e delle Presidenze, a livello locale che ci sono però pervenute in modo molto parziale. Si è già sottolineata la lacunosità con cui sono stati conservati i Libri di ammonizioni canoniche redatti dai parroci che costituiscono una delle testimonianze più dirette del rapporto tra curati e popolazione, anche se fortemente connotata sul versante del controllo poliziesco. Nei Libri e nei carteggi annessi311 sono infatti conservate, oltre alle annotazioni del parroco in merito alle condotte, anche denunce e istanze di varia natura provenienti dai parrocchiani. La corrispettiva documentazione prodotta dagli uffici delle Presidenze di polizia presenti sul territorio, in stretto collegamento la Direzione generale, si trova poi in una condizione ancora più precaria, essendo in

310 M. Pelaja, Matrimonio e sessualità, cit., p. 174.

311 Ad accompagnare i Libri conservati ASVR per ogni singola parrocchia c’è, nella maggior parte

dei casi, documentazione relativa alla “polizia ecclesastica” e alle cosiddetta “miscellanee parrocchiali”.

larga parte dispersa e reperibile soltanto per i mesi a ridosso della Repubblica Romana del 1849312.

La stato delle fonti impedisce perciò un’esplorazione sistematica e un incrocio tra le stesse, ma si possono ugualmente avanzare alcune prime considerazioni in merito alla documentazione superstite, prendendo come campione le carte della Presidenza di Regola313 e i Libri di S. Carlo ai Catinari314, la parrocchia posta nelle vicinanze dalla Presidenza stessa che estendeva i suoi confini anche al rione S. Eustachio e Parione.

Un primo elemento da considerare è la relativa omogeneità che mostrano le fonti parrocchiali e di polizia rispetto al settore del cosiddetto “buon costume” e dei piccoli e grandi conflitti insorti nel vicinato, soprattutto tra donne, ampiamente considerati nello studio di Margherita Pelaja sopra citato. Parrocchiani e ricorrenti, come venivano denominati, rivolgevano in modo indistinto le richieste, rispettivamente, ai curati o ai Presidenti di polizia. Le istanze rivolte a questi ultimi erano però, nella maggior parte dei casi, indirizzatealla Direzione generale che soltanto in seguito si occupava di recapitarle ai singoli Presidenti presenti sul territorio. Tale consuetudine, che non sembra corrispondere a nessun iter procedurale esplicitato nei regolamenti, lascia supporre che ancora alla metà del XIX secolo, a fronte di una piena legittimazione guadagnata dall’istituzione nel suo insieme, permanesse una sorta di diffidenza nei confronti della figura del Presidente regionario; probabilmente in alcuni casi questi ultimi, reclutati tra la piccola nobiltà locale, venivano percepiti come eccessivamente implicati nella realtà in cui operavano e perciò la scelta di coinvolgere in prima battuta la Direzione diveniva una garanzia di maggiore neutralità.

Per quanto riguarda il rapporto gerarchico tra parroci e Vicariato non sembra invece riscontrabile una situazione simile: i parrocchiani si rivolgevano di norma direttamente al loro curato che poi fungeva da mediatore con le autorità superiori. Piuttosto si può rilevare che talvolta l’opzione di dirigere le petizioni alla polizia

312 La documentazione superstite è conservata nel fondo ASR, Presidenze Regionarie di Polizia. Per

una descrizione più approfondita e un efficace esempio di utilizzo di questa fonte cfr. Puglia,

Conflittualità, controllo, mediazione, cit.

313 Lo spoglio è stato effettuato per il 1848 in ASR, Presidenze Regionarie di Polizia, b. 40. 314 ASVR, S. Carlo ai Catinari, posizioni 32-37.

veniva utilizzata strumentalmente in polemica con il proprio parroco, escludendolo così dai tradizionali compiti di tutela. L’analisi delle vicende di Carolina Croce e della famiglia Tinelli, esposte nei primi capitoli, esemplifica due distinte dinamiche di relazione, l’una con le autorità ecclesiastiche e l’altra con la polizia, mostrando così la pluralità di fattori che potevano entrare in gioco nel determinare i referenti istituzionali nel corso delle controversie.

Un ulteriore spunto di riflessione proviene dalla constatazione della quasi totale assenza di riferimenti alla polizia nella documentazione redatta dai parroci, contrapposta all’assiduo coinvolgimento dei curati che invece trapela dalle carte di polizia. Se i parroci custodivano gelosamente le loro prerogative e mostravano resistenza di fronte ad un eventuale coinvolgimento dei Presidenti regionari, questi ultimi ricorrevano con estrema frequenza, per obblighi d’ufficio e per necessità di ordine pratico, ai curati presenti nel loro rione. Si vedrà dettagliatamente nelle pagine che seguono quanto fosse necessario per il disbrigo di molte pratiche di polizia il rilascio di attestazioni anagrafiche, certificati di residenza e fedi di buona condotta da parte dei parroci.

E’ quindi a questo livello intermedio, di scambio tra le istituzioni nel corso dello svolgimento della loro attività, che è possibile ovviare alla carenza di fonti locali e individuare gli scarti tra norme legislative e pratiche sociali che determinarono il funzionamento concreto del sistema di polizia in questo momento di particolare transizione.