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III CAPITOLO

3. Censire gli abitanti: il sistema di registrazione anagrafica

3.2 Un conflitto di competenze

Oltretutto, anche i regolamenti più dettagliati degli anni Quaranta dell’Ottocento, mantenevano ampi margini di ambiguità nello spartire le funzioni di parroci e polizia all’interno del sistema di censimento messo a punto in questo periodo. Tale incertezza normativa diede spazio a controversie tra le autorità locali intente ad applicare le direttive ricevute, rispettivamente, dal Vicariato e dalla Direzione generale di polizia. Quest’ultima si trovò ad esempio, nel 1842, a dirimere una lite insorta tra il Presidente dei rioni S. Eustachio e Pigna, marchese Vitelleschi, e il parroco di S. Marco327.

La causa nasceva dalla denuncia inoltrata dal Presidente regionario alla Direzione generale di polizia a proposito della mancata ricezione delle comunicazioni relative ai dati dei nati, dei morti e dei matrimoni per l’anno 1841 da parte del parroco, in conformità alle istruzioni della circolare in merito inviata dallo stesso Vicariato. In risposta a questa comunicazione la Direzione generale aveva disposto di incalzare «con modi obbliganti il Rev. Parroco di S. Marco a fornire le necessarie notizie statistiche alla Presidenza»; sollecitazioni a cui il curato reagì a sua volta in modo conciliante, prendendo tempo e impegnandosi a fornire le informazioni necessarie, ma soltanto al termine di un lavoro più urgente che stava svolgendo per conto del Vicario.

Le pressioni da parte della polizia però proseguirono, spingendo il parroco a redigere un memoriale di spiegazioni sui fatti per giustificare la sua supposta negligenza. In questa sede egli spiegava che l’origine dell’incomprensione tra lui e Vitelleschi aveva radici più antiche e risiedeva nell’atteggiamento poco collaborativo del Presidente in merito ad alcune questioni sollevate dal curato, come la permanenza di un gruppo di giovani vagabondi davanti alla chiesa di S. Marco, oppure la presenza indisturbata di un postribolo in un’abitazione vicina alla parrocchia. Il Presidente, malgrado la sua autorità in materia, non si era mai preso la briga di intervenire, legittimando così un atteggiamento diffuso per cui «l’ostentazione di autorità sopra i Parrochi arriva alla nausea». La mancanza di

327 ASR, Miscellanea statistica, b. 54, Riservata vertenza fra i Parrochi e di Presidenti. Questo fascicolo,

come la maggior parte della documentazione presente in questa miscellanea, proviene dall’archivio della Direzione generale di polizia, in parte smembrato al fine di costituire questa raccolta.

rispetto nei confronti del curato proveniva sia dagli strati più umili della popolazione – come tra le «donnicciole» che lo bistrattavano nelle loro «beghe» o «perché ha parlato o perché non vi ha preso parte» - sia da parte degli impiegati di polizia, ispettori e sbirri, «che vanno e vengono nelle ore in cui il parroco attende ai divini offici». Fatte tali premesse il curato spiegava che, nello specifico frangente, non aveva potuto adempiere ai suoi compiti nei confronti del Presidente del rione poiché si era trovato, senza l’aiuto del suo vice-parroco ammalato, di fronte ad una mole di lavoro ingente da svolgere per i suoi fedeli. In considerazione di ciò concludeva affermando che:

per un parroco le notizie statistiche non debbono anteporsi all’amministrazione de’ Sacramenti e che il ritardo di qualche giorno per rapporto alla nota dei bambini nati, dei matrimoni celebrati e dei morti sepolti non può né alterare, né arrecare ritardo alcuno alla misura di polizia, che il Superiore Governo crede di prendere per la tranquillità e sicurezza pubblica, a meno che non si credesse o si volesse stabilita la superiorità e l’autorità dei presidenti sui parrochi come parrochi, nel qual caso il Tribunale della Immunità ecclesiastica sarebbe il solo competente a decidere328.

Tra le righe di questa rimostranza, nata dalla lite contingente, emergeva una forma di rifiuto e resistenza più profonda nei confronti delle modificazioni dei compiti istituzionali. Il senso di estraneità che il parroco mostrava nei confronti delle pratiche di censimento della polizia, rivendicando la centralità dell’amministrazione dei sacramenti per effettuare la registrazione della popolazione, sollevava inoltre la questione di fondo di un conflitto di competenze venutosi a creare. Quale era infatti l’ordine gerarchico nella distribuzione dei compiti tra le autorità incaricate in questo settore? Ovvero, un funzionario di polizia era nella condizione di poter esercitare pressione nei confronti di un ministro ecclesiastico in queste materie?

In linea teorica ciò non sarebbe dovuto avvenire in virtù dello status di funzionari civili che i curati continuavano a detenere in merito alle registrazioni anagrafiche. Nella pratica si stava invece maturando un passaggio di competenze attraverso il quale la polizia, per la prima volta dalla sua istituzione, forzava la mano e tentava di prendere in carico l’intero sistema di censimento della popolazione, ponendo le autorità ecclesiastiche in una posizione subalterna, al

punto che lo stesso riottoso parroco di S. Marco, malgrado le polemiche, nel giro di un mese si sentì costretto a fornire tutti i dati alla Direzione generale.

Il monopolio che la polizia cercava di conquistare, ancor prima delle finalità statistiche, era motivato dagli scopi di controllo sulla popolazione che essa aveva maggiore capacità di svolgere. Ma in realtà, anche in questo senso, il modello di riferimento per la polizia restava comunque quello delle registrazioni parrocchiali le quali, nel corso dell’antico regime, avevano ricoperto una doppia funzione di controllo religioso-sacramentale e comportamentale-repressivo. La polizia incamerava queste prerogative, declinandole in un’accezione secolare e non più religiosa, continuando però a coinvolgere gli stessi parroci e dando così vita ad un sistema ibrido e incerto che si sarebbe concluso soltanto con la Repubblica Romana del 1849, allorché questo precario equilibrio si spezzò e i curati furono definitivamente esautorati dalle loro funzioni, anche nello Stato pontificio329.

329 Friz, La popolazione di Roma, cit., p. 11 e sgg. Il discorso sarà ripreso nell’Epilogo trattando del