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Delimitazione dell’oggetto: un sondaggio nel pontificato di Leone

III CAPITOLO

1.2 Delimitazione dell’oggetto: un sondaggio nel pontificato di Leone

Seppur nei limiti appena delineati, il Segretario di Stato Consalvi ebbe la capacità di cogliere la necessità di concepire strumenti più adatti a rispondere alle rinnovate esigenze di ordine pubblico, traendo ispirazione dai corpi di polizia diffusi nel resto dell’Europa. La logica di compromesso che guidava il cauto riformismo sostenuto da Pio VII indusse però il Cardinale a lasciare intatte le prerogative poliziesche attribuite ai tribunali ecclesiastici. In tal modo si configurava un sistema ibrido e così indefinito che i successivi pontefici ebbero agio di modificare l’assetto istituzionale delineato in questi primi anni della Restaurazione. Ad essere messa in discussione non era l’esistenza della nuova polizia di Stato, ma la possibilità di mantenere l’equilibrio di poteri in favore delle autorità ecclesiastiche.

Si è già evidenziata la particolare contrazione, soprattutto sotto il profilo legislativo, che subì l’organizzazione di polizia una volta salito al soglio pontificio Leone XII. Ciò non significava allentare le redini della repressione, considerato che questo fu il pontificato più fortemente connotato in senso reazionario dell’intero secolo, ma piuttosto potenziare maggiormente le attribuzioni ecclesiastiche a scapito della centralizzazione delle funzioni operata dalla Direzione generale di polizia.

Attraverso un sondaggio effettuato nei fondi del Protocollo ordinario della polizia di Roma per due anni campione (1824 - 1827) nel corso del pontificato leonino, si è evidenziata una crescente tendenza da parte dei parroci ad interferire nell’azione di polizia: circa il 10% della mole di affari svolti dalla Direzione generale prevedeva l’ intervento di un curato293. Dopo i primi anni di fondazione e assestamento della nuova polizia si venne così a creare una sempre maggiore compenetrazione di questa con gli organismi ecclesiastici, seppur al di fuori di ogni esplicita cornice normativa. Protagonisti di tale intersezione furono in

293 Si vedano i dati elaborati nel poster a cura di M. Calzolari-E. Grantaliano-C. Lucrezio Monticelli-

L. Salvatori, Strategie di controllo della popolazione e del territorio di Roma sotto il pontificato di Leone XII

(1823-1829), presentato in occasione del III Congresso nazionale dell’Associazione Italiana di Storia

particolar modo parroci e poliziotti, come terminali dei due rispettivi apparati a cui facevano capo.

Tenuto conto dei rapporti informali che dovevano frequentemente svilupparsi sul territorio, le materie in cui si è riscontrata un’azione congiunta e formalizzata tra i due organismi, attestata dalla produzione di documentazione, sono stati:

- Ordine pubblico (3 casi nel 1824 e 4 nel 1827)

- Buon costume e moralità (2 casi nel 1824 e 8 nel 1827) - Ozio e accattonaggio (3 casi nel 1824 e 4 nel 1827) - Controversie familiari (4 casi nel 1824 e 1 nel 1827) - Internamento per demenza (2 casi nel 1824 e 13 nel 1827) - Ricercati e sorvegliati (7 casi nel 1824 e 16 nel 1827)

- Disinfezione delle abitazioni (4 casi nel 1824 e nessuno nel 1827) - Licenze e attività commerciali (2 casi nel 1824 e 27 nel 1827) - Documenti irregolari (nessun caso nel 1824 e 8 nel 1827) - Altre materie (1 caso nel 1824 e 6 nel 1827)

Più che i risultati quantitativi, influenzati dalla notevole disorganicità delle fonti294, appare maggiormente significativo l’apporto qualitativo di tali dati che restituiscono una casistica varia e articolata del tipo di interazione stabilitasi tra autorità laiche ed ecclesiastiche. Oltre a questo aspetto legato alla molteplicità di settori coinvolti, è inoltre da registrare un tendenziale aumento, tra 1824 e 1827, del numero dei casi riscontrati che va anzitutto posto in relazione con l’incremento complessivo della mole delle pratiche. Soprattutto nel campo delle licenze commerciali e del controllo dei documenti irregolari si assiste, contestualmente al coinvolgimento dei parroci, ad una progressiva espansione dell’intervento di polizia che combina la ripresa dei dettami di “buon governo” e regolamentazione economica di stampo settecentesco, con la nuova attenzione rivolta ai documenti di identità personale. Lo stesso innalzamento dei casi di coinvolgimento dei

294 La mole di pratiche di polizia, che riguardano gli affari di tutto lo Stato, ha un notevole

incremento in questi anni: a fronte dei 275 fascicoli del protocollo ordinario del 1824, nel 1827 essi diventano 933, impedendo così una sistematica comparazione tra i due anni scelti come campione.

parroci nelle ricerche dei sospettati indica il rafforzamento della rete di controllo poliziesco, grazie alla quale si definisce anche la facoltà di occuparsi, assieme ai curati, dell’iter di internamento manicomiale295. E’invece da segnalare un calo di sinergia nei casi di controversie familiari che, come si è osservato attraverso la causa della famiglia Tinelli esposta nel secondo capitolo, era motivo di conflitto di competenze tra Vicariato e Direzione generale di polizia; da ciò si può dedurre che, probabilmente, si fossero delineati due percorsi paralleli, uno per via ecclesiastica e uno per via della polizia, escludendo un’azione congiunta. Anche il decremento delle disinfezioni delle abitazioni è da attribuire all’attenuarsi dell’emergenza sanitaria in merito alla tisi polmonare che, nel 1816, aveva dato vita ad una fitta regolamentazione secondo cui la polizia si sarebbe dovuta occupare di effettuare le fumigazioni di acido nitrico nelle case infettate, mentre i parroci avrebbero dovuto attestare lo stato di povertà delle famiglie dei defunti per esentarli dalle spese296. Infine l’ordine pubblico, la moralità e i problemi connessi all’ozio e all’accattonaggio sembrano restare stabilmente al centro dell’interesse congiunto di parroci e polizia.

A questa prima analisi occorre poi aggiungere la distinzione di fondo tra i casi in cui l’interazione tra parroci e poliziotti diede vita a forme di collaborazione e quelli in cui si produsse rivalità o addirittura conflitti di competenze. A tal fine, prendendo spunto dal sondaggio proposto, è stato necessario focalizzare l’attenzione su alcuni specifici campi di intervento congiunto apparsi maggiormente significativi, per meglio mettere in luce gli aspetti qualitativi della sovrapposizione in questione. Nel delimitare in modo più puntuale l’oggetto di studio si è perciò operata una precisa scelta metodologica e archivistica, lasciando inevitabilmente in ombra aspetti ugualmente rilevanti, ma evitando al tempo stesso il rischio di un discorso eccessivamente generico.

295 Oltre al classico M. Foucault, Histoire de la folie à l’àge classique, Paris, Gallimard, 1972, cfr.

Fiorino, Matti, indemoniate e vagabondi, cit., in cui la studiosa pone in evidenza la «gestione polifonica» dell’internamento a cui prendevano parte parroci, poliziotti e altre autorità pubbliche.

296 ASV, Segreteria di Stato, 1816, rubrica 155, «Regolamento per impedire la propagazione del

contagio fisico», redatto secondo il parere del medico Domenico Morichini. All’articolo 1 veniva prescritto che: «ogni qual volta un medico è di opinione, che un infermo sia affetto da febbre etica proveniente da esulcerazione nei polmoni, denunzi in iscritto all’officio di Polizia la sua opinione indicando il nome, e l’abitazione dell’infermo».

Infatti il primo punto di applicazione comune tra autorità laiche ed ecclesiastiche fu rappresentato proprio dal settore, assai concreto, della ripartizione territoriale e amministrativa cittadina. Al momento della Restaurazione, l’urgenza di ridefinire la geografia urbana fu avvertita sia da parte delle autorità ecclesiastiche, impegnate a ridisegnare i confini della città religiosa per mezzo della riforma delle parrocchie, sia dal nuovo organismo di polizia attraverso l’impianto sul territorio delle Presidenze regionarie. La definizione dei confini era funzionale alla limitazione delle reciproche competenze e tra queste ebbero ampio rilievo due delle più significative novità amministrative di questi anni: il progetto di un’anagrafe civile, come forma di conteggio e controllo degli abitanti, e l’ideazione di un inedito sistema di passaporti teso a sorvegliare i movimenti in entrata e in uscita dalla città. Entrambi ambiti strettamente connessi a quella rivoluzione silenziosa, svoltasi in tutta Europa con tempi e modi differenziati, che mutò profondamente la nozione di identità e di identificazione personale297. Fu proprio nella prima metà dell’Ottocento che, anche nello Stato pontificio, si avviò un processo di definizione di tecniche e strumenti atti a certificare, attraverso la registrazione e il rilascio di documenti, l’identità degli individui, permettendo in tal modo un più efficiente controllo sulla popolazione. Nel costruzione di questi nuovi “saperi di Stato” giocò un ruolo di primo piano la polizia preposta a svolgere la maggior parte delle funzioni amministrative e di viglilanza legate ai nuovi metodi di attestazione di identità. Al tempo stesso le prerogative in merito alla registrazione della popolazione, attribuite in precedenza dalle strutture ecclesiastiche, continuarono ad avere un peso determinante e svolsero spesso la funzione di modello di riferimento. Uno scambio dello stesso tipo si verificò infine nell’ambito del cosiddetto “buon costume”, tradizionalmente affidato agli apparati ecclesiastici, che divenne oggetto di un progressivo intervento della nuova polizia. Specialmente in merito alla vigilanza dei fenomeni

297 Per il campo di studio relativo all’identificazione cfr. Noiriel, L’Identification, cit., e la raccolta di

saggi J. Caplan–J. Torpey (dir), Documenting Individual Identity: The Development of State Practices in

Modern World, Princeton University Press, Princeton, 2001. L’ampiezza di questo oggetto di studio

pone ovviamente il problema di una scansione periodizzante dei fenomeni connessi alla problematica identitaria che vanno necessariamente ricondotti ai singoli contesti nazionali. Un’interpretazione originale del caso francese è quella proposta da V. Denis, Une histoire de

connessi alla povertà, al vagabondaggio e all’accattonaggio, si crearono i presupposti di una sinergia tra parroci e poliziotti che talvolta si tramutò in un conflitto di competenze.

Se attraverso questa particolare convivenza si riuscì comunque a creare una situazione di equilibrio tra organismi ecclesiastici e polizia, l’elemento di rottura definitiva fu rappresentato dalla vera e propria “irruzione” del dissenso politico a ridosso della Repubblica Romana, quando la Direzione generale di polizia assunse una posizione di preminenza essendo l’unico organismo in grado di gestire l’ordine pubblico di fronte al precipitare degli eventi. Fu infatti nel 1850 che venne emanato il primo ed ultimo codice di polizia come tentativo di superare il dualismo precedente, ma anche estrema prova di difesa dello Stato di fronte all’imminente dissoluzione.

Attraverso l’analisi di questi specifici punti di applicazione si intende mettere a fuoco, nelle pagine che seguono, la trasformazione degli apparati di polizia verificatasi tra 1815 e 1850, leggendola attraverso una triplice prospettiva: un primo livello legato alla produzione legislativa negli specifici settori considerati, un livello intermedio di scambi e rapporti tra le istituzioni deputate al controllo e un ultimo piano di interrelazione legato alle pratiche sul campo e alla legittimazione da parte della popolazione. In quest’ottica, volta a cogliere gli scarti tra le norme promulgate e la loro applicazione, attraverso la mediazione delle logiche sociali operanti nelle istituzioni, risiede la chiave di lettura che si intende privilegiare.

2 Geografia urbana e sociale: Presidenze regionarie e circoscrizioni