• Non ci sono risultati.

L’attuazione del principio “chi inquina paga” nell’ordinamento italiano

I L RISCHIO DI DANNO AMBIENTALE E I RAPPORTI TRA IMPRESA ED ECOLOGIA

6. P ROFILI DI RESPONSABILITÀ PER DANNI AMBIENTAL

6.1. La disciplina del danno ambientale a livello di Unione Europea: il principio “chi inquina paga”

6.1.1. L’attuazione del principio “chi inquina paga” nell’ordinamento italiano

Nel recepire la direttiva 2004/35/CE con il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, cosiddetto codice dell’ambiente (c.a.), il legislatore italiano se ne distingue non senza criticità (e critiche), tali da comportare persino l’apertura di un procedimento d’infrazione con riferimento alla trasposizione della direttiva in questione300.

Il d.lgs. n. 152/2006 interviene in abrogazione dell’art. 18 della l. 349/1986 – precedentemente in vigore a disciplinare il regime di responsabilità per danno ambientale

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

299 La stessa direttiva 2004/35/CE specifica come la riparazione del danno ambientale dovrà

assumere forma diversa a seconda del tipo di danno: per i danni che interessano i suoli, si parla di decontaminazione fino ad eliminazione di qualsiasi rischio significativo di causare effetti nocivi sulla salute umana; per i danni che interessano l’acqua o le specie e gli habitat naturali protetti, è richiesto il ripristino delle condizioni originarie dell’ambiente precedenti al danno, ovvero le risorse naturali danneggiate dovrebbero essere ripristinate oppure sostituite da elementi naturali identici, simili o equivalenti, possibilmente nel luogo dell’incidente o altrimenti in nuovo sito. I dettagli in tema di riparazione sono previsti nell’allegato II della direttiva, al quale si rimanda.

300 Procedura di infrazione 2007/4679 – Violazione del diritto UE per non corretta trasposizione

della direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, con riferimento alla quale la Commissione europea ha deciso l’archiviazione della procedura il 23 gennaio 2014. Per una sintetica ma completa ricostruzione del nostro impianto codicistico a tutela dell’ambiente, come modificato a più riprese su spinta comunitaria, si segnala V. CORRIERO, Il

– il quale tratteggiava un sistema incentrato sulla responsabilità soggettiva301; tuttavia, nel recepire la direttiva 2004/35/CE – fondata, come visto, sulla “oggettivazione” della responsabilità per danni ambientali prevista per tutte quelle attività professionali ritenute pericolose o potenzialmente pericolose302 –, il legislatore del 2006 riprospetta uno schema ancora essenzialmente incentrato sull’illecito doloso e colposo. Furono proprio i profili inerenti alla responsabilità oggettiva a far avviare la procedura d’infrazione contro l’Italia per violazione della direttiva in commento. Invero, la disciplina dettata in sede di recepimento, per quanto profondamente innovatrice nell’affermare i principi comunitari di prevenzione, precauzione e correzione alla fonte, restava enigmatica proprio con riferimento alle forme di responsabilità civile che avrebbero dovuto attuare il principio “chi inquina paga”.

La Commissione evidenziò come la responsabilità oggettiva, prevista come regola generale dalla Direttiva per lo svolgimento di una di quelle professioni pericolose o potenzialmente pericolose previste dall’allegato III della direttiva medesima, era stata elusa sia con riferimento all’ambito soggettivo di applicazione, sia dalla mancata previsione della responsabilità oggettiva303. Nella sua originaria versione, il codice dell’ambiente ammetteva, infatti, diversi parametri d’imputazione della responsabilità – soggettivi e oggettivi – distinguendo la prevenzione e ripristino dal risarcimento del !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

301 G. VILLANACCI, L’opaco profilo del risarcimento civilistico nella complessa disciplina

ambientale, cit.

302 L’affermazione della responsabilità oggettiva cosituisce l’elemento caratterizzante della

disciplina comunitaria sulla responsabilità ambientale. Le fonti principali in materia sono il Libro Verde

sulla responsabilità per i danni causati all’ambiente, COM(93) 47, GUCE, 29 maggio 1993, n. C 149/12;

il Libro Bianco sulla responsabilità per danni all’ambiente, COM(2000), 66 def., pp. 2-3; la Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (COM(2002)17 def. 2002/0021[COD]), GUCE, 25 giugno 2002, n. C151E; e, ovviamente, la Direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (GUCE, L 143, 30 aprile 2004). Tra i commentatori, si menzionano L. BUTTI, L’ordinamento italiano e il principio

‘chi inquina paga’, in Contr. impr., 1990, p. 561 ss.; C. VIVANI, Origini e linee evolutive del principio ‘chi

inquina paga’ nell’ordinamento comunitario, in Resp. civ. e prev., 1992, p. 752 ss.; B. POZZO, I problemi

della responsabilità per i danni causati dall’inquinamento: profili di diritto comparato, in La nuova responsabilità civile per il danno all’ambiente, a cura di B. Pozzo, Milano, 2002, p. 23 ss.; e ivi A.

VENCHIARUTTI, Il Libro Bianco sulla responsabilità civile per danni all’ambiente, p. 77 ss.; F.M.

PALOMBINO, Il significato del principio ‘chi inquina paga’ nel diritto internazionale, in Riv. giur.

ambiente, 2003, p. 871 ss.; G. TUCCI, Tutela dell’ambiente e diritto alla salute nella prospettiva del diritto

uniforme europeo, in Contr. impr. Europa, 2003, p. 1141 ss.

303 Commissione Europea, parere motivato complementare al procedimento d’infrazione n.

danno, e identificando gli operatori professionali quali soggetti tenuti a sopportare i costi del ripristino del danno all’ambiente naturale, ma tacendo su quali potessero essere i soggetti responsabili per il risarcimento.

A seguito delle critiche mosse a livello comunitario, il legislatore italiano è così nuovamente intervenuto per dare corretta attuazione alla direttiva. Come successivamente modificato e integrato, l’odierno art. 300, co. 1, c.a. definisce oggi il danno ambientale come un «qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima»304. Tale definizione configura un mutamento di rotta rispetto al previgente art. 18, l. n. 349/1986, secondo cui era sufficiente, ai fini della configurabilità del danno ambientale, una «violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge», senza che fosse necessaria un’alterazione o un deterioramento né tanto meno una distruzione totale o parziale dell’ambiente305. Questa prima concezione di danno all’ambiente muoveva dalla considerazione che, in caso d’inosservanza di norme di tutela ambientale, possono verificarsi sì dei danni istantanei, ma anche danni che emergono a consistente distanza temporale rispetto alla condotta lesiva del bene giuridico ambiente, ovvero danni dipendenti da condotte progressive che mostrano i loro effetti dannosi solo nel lungo periodo, e così conseguentemente ammetteva la risarcibilità a fronte della semplice violazione di legge.

Diversamente, l’odierno art. 300 c.a. – per quanto modificato conseguentemente alla procedura comunitaria d’infrazione nell’ottica di una maggior “oggettivazione” della responsabilità – richiede ancora non solo la vera e propria sussistenza di una lesione dell’ambiente come espressamente qualificata, ma anche che tale danno sia – oltre che “misurabile”, anche – “significativo”, rendendo così estremamente complesso l’onere probatorio posto a carico del legittimato all’azione ed altresì appesantendo la stessa azione di ripristino ambientale.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

304 Art. 300, d.lgs. 152/2006, norma contenuta nella parte sesta del c.d. codice dell’ambiente,

“Norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente”.

305 Così l’art. 18, l. n. 349/1986, il quale, al co.1, qualificava come danno ambientale «qualunque

fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte […]».

Da un’interpretazione letterale del primo comma, è evidente come il legislatore italiano abbia predisposto una definizione di danno ambientale più ampia di quella elaborata dal legislatore europeo: richiamando il concetto di “risorse naturali”, l’art. 300 c.a. pare infatti ammettere la risarcibilità anche di lesioni di alcuni elementi naturali che non rientrano nella definizione di danno ambientale prevista dalla direttiva comunitaria, per mancanza di riferimenti a criteri così stringenti come quelli previsti a livello di Unione Europea, quali la concretezza del danno e la teorica individuabilità del responsabile e del nesso di causalità tra attività e danno; ne è un esempio l’atmosfera, la cui lesione è certamente esclusa dall’applicabilità della direttiva 2004/35/CE, mentre potrebbe legittimamente essere ricompresa nella definizione di cui all’art. 300 c.a., così come tutte quelle specie e habitat naturali che non sono disciplinati a livello di Unione Europea306. Così individuato, dall’art. 300 del codice dell’ambiente si deduce che colui che cagioni un qualsiasi deterioramento, sia diretto che indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità da questa assicurata (deterioramento così come meglio declinato dal successivo comma 2307), sarà ritenuto civilmente responsabile, con la conseguenza che sarà tenuto ad occuparsi della riparazione e del risarcimento del danno, nel rispetto del principio “chi inquina paga”. L’obbligo di riparazione, in particolare, è posto a carico dei responsabili «solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al rischio di inquinamento»; e «l’autorità competente è tenuta ad accertare, in osservanza delle norme nazionali in materia di prova, quale operatore abbia provocato il danno ambientale»308.

Al fine di dare corretta esecuzione al principio in questione, la Corte di Giustizia ha !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

306 La disposizione in questione rimane fonte di non poche perplessità interpretative. Innanzitutto,

pare complesso coordinare il primo e il secondo comma del medesimo art. 300 c.a. Il secondo comma riprende quasi letteralmente il testo dell’art. 2 della direttiva 2004/35/CE, richiamandola espressamente nel suo incipit, che recita «Ai sensi della direttiva 2004/35/CE costituisce danno ambientale [...]». Tale richiamo potrebbe intendersi come diretto a fornire criteri interpretativi volti a riempire di contenuti conformi alla direttiva europea l’espressione “risorse naturali”, che si rinviene nell’art. 300, co.1, c.a.

307 Si vedano le riflessioni di cui supra.

308 Così, Corte di Giustizia EU, 9.03.2010, n. C – 378/08.

Mentre nella versione originaria della Direttiva si prevedeva espressamente una responsabilità solidale dei coautori del danno, tale previsione uniformante a livello europeo si perse poi nella redazione della versione definitiva. Si veda anche GUCE del 30 aprile 2004, L. 143/56. Per un commento, si veda B. POZZO, La responsabilità ambientale in Europa: modelli di applicazione della Direttiva 2004/35/CE, in

altresì chiarito, con riferimento alla determinazione del nesso di casualità tra condotta e danno ambientale, che «per poter presumere l’esistenza di un nesso di causalità tra l’inquinamento accertato e l’attività del singolo o dei diversi operatori, l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato o la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate ed i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività»309. Ed infatti, con riferimento all’inquinamento diffuso – ricompreso nella nozione di danno ambientale italiana, diversamente da quanto previsto nella direttiva 2004/35/CE –, la bonifica è posta a carico della pubblica amministrazione competente. Laddove da ciò derivi un vantaggio ai soggetti proprietari o detentori del fondo, in termini di aumento di valore di questo, ciò potrà «costituire giusta causa di recupero delle corrispondenti somme, nei limiti ordinari delle azioni di arricchimento»310.

6.1.2. L’operatività del principio “chi inquina paga”: la riparazione e

Outline

Documenti correlati