I L RISCHIO DI DANNO AMBIENTALE E I RAPPORTI TRA IMPRESA ED ECOLOGIA
6. P ROFILI DI RESPONSABILITÀ PER DANNI AMBIENTAL
6.1. La disciplina del danno ambientale a livello di Unione Europea: il principio “chi inquina paga”
6.1.4. Il responsabile per danno ambientale e il “proprietario incolpevole”
Nella prospettiva dell’imprenditore possibile danneggiante, un ultimo profilo di interesse nell’analisi della disciplina italiana di recepimento della direttiva 2004/35/CE concerne la legittimazione passiva, ossia i criteri volti a determinare i soggetti che possono essere qualificati danneggianti e quindi condannati al risarcimento del danno o a sostenere i costi di ripristino.
Si osservi anzitutto come, nell’opera di trasposizione della direttiva in questione nell’ordinamento italiano, si è perso l’utilizzo del termine “operatore”, impiegato a livello comunitario (art. 3, para. 1, direttiva 2004/35/CE), a favore dell’espressione “chiunque”. Recita infatti l’art. 311, co. 2, c.a.: «Chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato (…)» (corsivo aggiunto). Il codice dell’ambiente ammette dunque la responsabilità ambientale di qualunque soggetto abbia cagionato il danno, indifferentemente che ciò sia avvenuto nell’esercizio di una attività professionale o meno.
L’autore del danno sarà dunque certamente responsabile per l’adozione delle misure, sia urgenti, di prevenzione, che definitive, volte a fronteggiare il danno ambientale. Con !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
riferimento all’elemento soggettivo, affinché si configuri responsabilità, il danneggiante deve agire di regola con dolo o colpa (ex art. 311 c.a.), tuttavia, per l’imputabilità della responsabilità, il danno ambientale può verificarsi in conseguenza a condotte (attive e omissive) che possono essere provate sia in modo diretto che indiretto. Al riguardo, in particolare, la giurisprudenza ritiene che «l’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale si può avvalere anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c., prendendo in considerazioni elementi di fatto dai quali possono trarsi indizi gravi, precisi e concordanti, che inducano a ritenere verosimile, secondo l’“id quod plerumque accidit” che si sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori»327. A tale soggetto che ha cagionato, attivamente o omissivamente, il danno è affiancato altresì l’incolpevole proprietario del sito inquinato. La disciplina relativa al cosiddetto “proprietario incolpevole” è stata oggetto di ampie contestazioni di recente, poste poi all’attenzione del giudice europeo.
Secondo il diritto europeo, il proprietario, in risposta al verificarsi di un danno ambientale nel sito di sua proprietà, sarà sempre tenuto a porre in essere sia le misure di prevenzione che quelle di riparazione necessarie, sostenendone dunque i relativi costi, a prescindere dalla propria consapevolezza, a meno che questi non provi che sia stato un terzo a cagionare il danno (onere della prova diabolico!).
Diversamente, la disciplina nazionale di recepimento della direttiva 2004/35/CE, faceva gravare sul proprietario del fondo, il “mero” obbligo di rimborso dei costi di ripristino sostenuti dalla pubblica amministrazione, sola obbligata, quindi, al ripristino, nel limite dell’acquisito ulteriore valore di mercato del terreno conseguente agli interventi di bonifica.
La disposizione fu portata all’attenzione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea328, dubitando dell’interpretazione dell’art. 191, paragrafo 2, TFUE329. Tra il 2006 e il 2011, alcune società erano, infatti, divenute proprietarie di vari terreni – sui quali prima del !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
327 Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885.
328 Corte di Giustizia UE, sentenza del 4 marzo 2015, causa C-534/2013.
329 Il quale recita: «La politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela,
tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”».
passaggio di proprietà vi era stata esercitata attività di produzione di insetticidi e diserbanti –, che si erano poi rivelati gravemente contaminati. Dall’istruttoria emerse chiaramente come i nuovi proprietari non fossero autori dell’inquinamento, tuttavia, stante la loro incapacità di individuare gli effettivi responsabili, i “proprietari incolpevoli” furono condannati a porre in essere le necessarie misure di bonifica e di ripristino del sito, coerentemente a quanto previsto dalla direttiva 2004/35/CE. Tali provvedimenti erano poi stati annullati dal TAR competente, in quanto ritenuti in contrasto con la disciplina nazionale. La questione arrivò quindi davanti all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, al fine di comprendere se «l’amministrazione nazionale possa imporre al proprietario di un’area inquinata, che non sia anche l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza di cui all’art. 240, co. 1, lett. m, c.a.», la quale sollevò questione di pregiudizialità avanti alla Corte di Lussemburgo.
La Corte di Giustizia UE, dopo aver ammesso l’applicabilità della direttiva 2004/35/CE alla controversia di specie330, afferma espressamente che la direttiva «non osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese».
Dedicandosi all’analisi dei presupposti della responsabilità ambientale, come previsti dalla direttiva 2004/35/CE, la Corte si sofferma, in particolare, sulla nozione di “operatore” e sulla necessità dell’esistenza di un nesso causale tra l’attività di questo e l’evento dannoso.
Sul punto la Corte precisa che i soggetti diversi dall’operatore non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva, con la conseguenza che, qualora non sia accertabile alcun !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
330 Il principio “chi inquina paga” potrebbe trovare applicazione nei limiti in cui esso è attuato dalla
direttiva n. 2004/35/CE. Tale direttiva si applica al solo danno causato da un’emissione, un evento o un incidente verificatosi dal 30 aprile 2007 in poi, conseguente ad attività svolte in tale data o successivamente ad essa, ovvero da attività svolte precedentemente a tale data ma non ancora terminate al 30 aprile 2007.
nesso causale tra il danno ambientale e l’attività dell’operatore – come nel caso del c.d. “proprietario incolpevole” – tale situazione non rientra nel diritto dell’Unione, ma nel diritto nazionale.
Ad oggi dunque, il proprietario del fondo inquinato, in assenza di colpa, potrà legittimamente vedersi obbligato a sopportare i costi di ripristino del sito, seppur nel limite del valore di mercato del sito di sua proprietà, come calcolato al termine dell’esecuzione delle azioni di bonifica o riparazione, ma non anche a porre in essere tali azioni di ripristino.
Per concludere con riferimento alla prospettiva dell’imprenditore possibile inquinatore, si osservi come la disciplina di responsabilità civile prevista dal Codice dell’ambiente – che si applica solo ai danni conseguenti a eventi realizzatesi successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 152/2006331 – non si applica al danno ambientale (i) con riferimento al quale siano trascorsi oltre trenta anni dall’evento dannoso, o (ii) ai quali siano seguiti interventi di bonifica, a meno che non permangano danni non ripristinati; e infine, come già accennato, (iii) non si applica ai danni ambientali diffusi, laddove non sia quindi possibile accertare un nesso causale tra evento e singoli operatori.
6.1.5. Brevi osservazioni sulla legittimazione attiva per danno