• Non ci sono risultati.

I doveri di corretta gestione del rischio: la correttezza quale clausola generale e la procedimentalizzazione del processo

I L GOVERNO DEL RISCHIO AMBIENTALE E IL RIFLESSO SULLA DIMENSIONE ORGANIZZATIVA DELLE SOCIETÀ D

1. A MMINISTRAZIONE DEL RISCHIO DA IMPRESA

1.1. I doveri di corretta gestione del rischio: la correttezza quale clausola generale e la procedimentalizzazione del processo

decisionale

Gli amministratori devono adempiere ai doveri loro imposti dal codice civile, da leggi speciali, nonché dall’atto costitutivo.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

applicazione con riferimento ai loro contenuti essenziali, comprendenti i presupposti indefettibili del principio di collegialità, come la necessaria presenza di un presidente, ovvero il rispetto delle regole dettate in materia di modalità di convocazione; mentre si ritiene che l’autonomia negoziale possa regolare, nelle s.r.l., altri profili quali i quorum e in generale il procedimento deliberativo. Così E. FREGONARA,M. CAVANNA,La struttura ed il funzionamento, in Il governo delle imprese, diretto da M. Irrera, Torino, 2016,

p. 149 ss., per quanto meno netta, per la configurazione stessa della s.r.l., risulta essere la separazione di funzioni e competenze tra c.d.a. e soci di s.r.l. Qualora la s.r.l. prescelga invece un’amministrazione forgiata su quella di società di persone (e retta dagli artt. 2260 c.c. e ss.), si dovrà richiamare la disciplina sul mandato per quanto concerne diritti e obblighi degli amministratori, seppur nei limiti della particolarità del rapporto. Per un’ampia trattazione della funzione amministrativa delle s.r.l. si vedano, O. CAGNASSO,

La società a responsabilità limitata, Padova, 2007; G.C.M. RIVOLTA, I regimi di amministrazione nella

società a responsabilità limitata, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, cit., III, p. 517 ss. (in particolare si veda pp. 532-533 circa l’asserita incompatibilità della

s.r.l. con i modelli monistico e dualistico di governance societaria); G. ZANARONE, Della società a

responsabilità limitata, in Il codice civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger e diretto da F.D.

Busnelli, II, artt. 2475-2483, Milano, 2010, p. 969 ss.; G. BALDUSSI, Autonomia statutaria e governance

nelle società a responsabilità limitata, Torino, 2013; M. CIAN, La s.r.l.: la struttura organizzativa, in

Diritto commerciale, a cura di M. Cian, II, Torino, 2014, p. 622 ss.

La disciplina dettata in materia di s.p.a. si applica anche alle s.a.p.a. grazie al richiamo di cui all’art. 2454 c.c., fatti salvi gli opportuni accorgimenti dovuti all’esistenza di una duplice categoria di soci. In particolare, ovvero, il metodo collegiale sarà adottato per le decisioni degli accomandatari, profilo oggi ritenuto pacifico a seguito della riforma in materia di s.r.l. che avendo previsto espressamente la derogabilità del principio di collegialità per tali società, indirettamente la esclude per la s.a.p.a. dove manca una simile espressa previsione. Così, per tutti, R. COSTI,Dalla società in accomandita per azioni, art.

2462-2471, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja, Branca, Bologna-Roma, 1973, p. 75 ss.;

F. CORSI, La società in accomandita per azioni, in Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, III, Torino, 1985, p. 245 ss.; E. BARCELLONA,R.COSTI,F.GRANDE STEVENS,Società in accomandita per azioni, in

Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 2005, p. 168 ss.

Infine, le cooperative, laddove si costituiscano secondo il modello azionario, plasmeranno alla propria natura la disciplina dettata per le s.p.a., seppur con qualche accorgimento in ragione dello scopo mutualistico; mentre se si adotta il modello di s.r.l., sono ammessi il modello di collegialità, o di collegialità attenuata (consultazione e/o voto per iscritto), di amministrazione disgiuntiva o congiuntiva. È invece discusso se per le cooperative (sia s.p.a. che s.r.l.) sia ammessa la figura dell’amministratore unico, in quanto la formulazione dell’art. 2542 c.c. pare letteralmente concepire solo un amministrazione pluripersonale, contrari ad esempio, A. BARTALENA, Sub art. 2519, in Commentario alla riforma delle

società, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, a cura di G. Presti, Milano, 2006, p.

113 ss.; G. RACUGNO, La società cooperativa, in Tratt. dir. comm., diretto da V. Buonocore, Torino, 2006,

p. 129 ss.; M. DI PACE, La scelta del modello cooperativo attraverso lo studio dell’organo amministrativo, in Coop. cons., 2007, p. 366 ss.; favorevole è invece la maggioranza della dottrina, tra cui, per tutti, F. VELLA, Amministrazione e controllo nelle cooperative di “s.p.a.” e “s.r.l.”, in Gli statuti delle imprese

cooperative dopo la riforma del diritto societario, a cura di F. Vella, Torino, 2004, p. 29 ss.; e G.

In particolare, essi sono tenuti a compiere le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale370. Il concetto di “necessità” ammette pacificamente gli atti tipici dell’attività imprenditoriale come prevista dall’oggetto sociale, ma, collegandosi al concetto di “pertinenza”, esso pare ammettere anche atti atipici purché funzionali o accessori371. Così coerentemente a quanto affermato da tempo dalla Corte di cassazione, secondo la quale gli amministratori sono chiamati a porre in essere «tutte le operazioni direttamente o indirettamente strumentali rispetto al raggiungimento dell’oggetto sociale»372, purché rispettino la scelta dell’attività e settore economici previsti dai soci nell’atto costitutivo, nei quali solamente possono rischiare il capitale da questi investito in società373. Anche creare valore per la società è, in verità, di per sé, compito degli amministratori374.

La competenza del consiglio di amministrazione, quindi, include tutti gli atti che, nel momento in cui sono stati compiuti, si pongono come mezzo per il raggiungimento dello scopo sociale375; ciò rende necessario valutare concretamente il rapporto tra la singola decisione gestoria e l’oggetto sociale, al fine di verificare se il primo era idoneo al perseguimento del secondo. L’oggetto sociale si atteggia, quindi, come limite alle condotte che gli amministratori possono porre in essere e agli atti che possono adottare in nome e per conto della società.

Tra i doveri degli amministratori si annoverano, ad esempio, l’obbligo di convocare senza indugio l’assemblea quando si verifichino gravi perdite nelle ipotesi configurate dagli artt. 2446 e 2447 c.c., il potere-dovere di non dare esecuzione alle decisioni della stessa nel caso in cui ne possa conseguire un danno alla società376, l’obbligo di accertare una causa di scioglimento così da porre in essere quanto previsto dall’art. 2484 c.c., gli obblighi previsti dall’art. 2391 c.c. in tema di interessi personali degli amministratori, il rispetto del divieto di concorrenza, come coniugato dall’art. 2390 c.c. (ossia come più !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

370 Cfr. G. GUIZZI, Riflessioni intorno all’art. 2380-bis c.c., cit. 371 Così, G. GUIZZI, op. cit.

372 Cass. 13 febbraio1992, n. 1759, corsivo aggiunto. 373 Cass. 21 novembre 2002, n. 16416.

374 G. GUIZZI, Riflessioni intorno all’art. 2380-bis c.c., cit. 375 Cass. 9 novembre 1994, n. 9296.

376 Al riguardo, gli amministratori hanno altresì il dovere-potere di impugnare le delibere

severamente disciplinato dal TUF per le società bancarie o finanziarie377) e obblighi fiscali e previdenziali. Ancora, gli amministratori devono prevenire il compimento di atti pregiudizievoli per la società o quanto meno eliminarne le conseguenze dannose378; mentre al fine di prevenire la responsabilità amministrativa di cui al d.lgs. n. 231/2001 sono tenuti ad adottare dei sistemi di organizzazione e gestione idonei a prevenire la commissione dei reati ivi previsti. Infine, tra gli obblighi generali attribuiti all’organo amministrativo, e rilevanti ai fini della presente indagine, pare rinvenirsi il dovere di preservazione del cosiddetto going-concern value, ossia il dovere di preservare non solo il patrimonio della società, ma la capacità dell’impresa societaria di proseguire la propria esistenza operativa nel futuro. La continuità aziendale – e la sua tutela – si contrappone dunque ad altra possibile fase di vita della società quale è quella della liquidazione; la sua tutela impone la considerazione dei principali rischi a cui la società è esposta e delle incertezze significative che potrebbero condurre la società all’insolvenza. Il cosiddetto going-concern value assume tendenzialmente rilievo in sede di responsabilità conseguente al danno cagionato alla società (e indirettamente ai creditori sociali), ma implica ex ante il dovere degli amministratori di mantenere una situazione finanziaria adeguata e proporzionata alla gestione dell’impresa, e altresì ad amministrare la società in maniera coerente con la sua struttura finanziaria. L’idea è che gli amministratori non possano traslare sui creditori sociali il rischio d’impresa, situazione che si verifica ogni qual volta l’incapienza del patrimonio sociale rende non soddisfabili le pretese !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

377 L’art. 2390 c.c. stabilisce il divieto per l’amministratore di s.p.a. di assumere la qualifica di socio

illimitatamente responsabile in società concorrenti, di esercitare un’attività concorrente per conto proprio o di terzi e di essere amministratore o direttore generale di società concorrenti (simile divieto è previsto anche per i soci di s.n.c.). L’assemblea può derogare a tale divieto autorizzando espressamente l’amministratore a esercitare l’attività concorrente. È dubbia invece l’ammissibilità di una disposizione statutaria che deroghi a tale divieto in via preventiva.

Con riferimento alle società quotate, invece, si veda art. 147-ter TUF in cui è previsto che almeno un certo numero di amministratori (uno, o due se il c.d.a. si compone da più di sette membri) siano dotati dei requisiti di indipendenza previsti per i sindaci all’art. 148, co. 3 TUF (ossia, coloro che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 2382 c.c.; «il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo; coloro che sono legati alla società od alle società da questa controllate od alle società che la controllano od a quelle sottoposte a comune controllo ovvero agli amministratori della società e ai soggetti di cui alla lettera b) da rapporti di lavoro autonomo o subordinato ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale o professionale che ne compromettano l’indipendenza»).

creditorie379. È evidente come tale profilo sia tanto più sensibile con riferimento ai creditori non-adjusting, quali quelli da fatto illecito che qui interessano.

Oltre a tali ipotesi tipizzate, vi sono poi tutta una serie di comportamenti, attivi e omissivi, che sono potenzialmente fonte di responsabilità in quanto espressione di grave negligenza in generale come, ad esempio (tra i tanti), la mancata comunicazione al consiglio delle irregolarità rilevate in sede di subentro in qualità di nuovo amministratore380.

Questa (non esaustiva) serie di obblighi, più o meno specifici, che il legislatore attribuisce agli amministratori di società si può ricondurre all’interno del più ampio dovere di corretta gestione/amministrazione della società, asserita «clausola generale “per eccellenza”, alla quale gli amministratori debbono improntare la loro attività»381. Tale dovere, novità della riforma del diritto societario del 2003, non è dettato in sede di disciplina della funzione amministrativa, ma trova suo fondamento normativo solo agli articoli 2403 c.c., in tema di doveri del collegio sindacale, dove si attribuisce a tale organo il dovere di vigilare sul rispetto dei principi di corretta gestione – che parrebbe dunque presupporre l’obbligo in capo ai controllati (gli amministratori) di amministrare in modo corretto382 –; e 2497 c.c., in materia di responsabilità nei gruppi di società, dove, come esimente da responsabilità, si richiede agli enti che esercitano la direzione e coordinamento di agire nel rispetto dei «principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale», in questo senso ritenendo irragionevole l’inapplicabilità in via analogica della disposizione a società che non esercitano attività di direzione e !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

379 L. STANGHELLINI, Le crisi d’impresa fra diritto ed economia. Le procedure di insolvenza,

Bologna, 2007, in particolare, p. 25.

380 La giurisprudenza al riguardo ha avuto modo di chiarire come chi, una volta accettato l’incarico

di amministratore, accerti la sussistenza di irregolarità e non lo riporti al consiglio potrà essere ritenuto responsabile, non per le irregolarità, quanto per l’omessa comunicazione. Così Cass. 23 febbraio 2005, n. 3774, in Le Società, 2006, p. 188 ss.; sul punto si veda la ricostruzione di M. RABITTI, Rischio

organizzativo e responsabilità degli amministratori: contributo allo studio dell’illecito civile, Milano,

2004.

381 M. IRRERA, Gli obblighi degli amministratori di societa per azioni tra vecchie e nuove clausole

generali, in Orizzonti del diritto commerciale, Rivista telematica, disponibile a http://associazione.orizzontideldirittocommerciale.it/media/12008/irrera.pdf., p. 3 del pdf.

382 Così M. IRRERA,M.SPIOTTA,M.CAVANNA,Gli obblighi e i doveri, in Diritto del governo delle

imprese, cit., p. 223 ss., in particolare a p. 226. Sull’art. 2403 c.c., si vedano poi le riflessioni mosse da G.

CAVALLI, Osservazioni sui doveri del collegio sindacale di società per azioni non quotate, in Il nuovo

coordinamento383.

In quanto clausola generale, si pongono problemi circa la sua declinazione in concreto. Parrebbe in tal senso dovervisi ricondurre, anzitutto, tutti gli espressi doveri di gestione, generici e specifici, previsti dal codice civile, ma la correttezza, comprendente ma non coincidente unicamente con tali obblighi espressi384, si dovrebbe altresì intendere come espressione di rinvio alle regole di razionalità economica e di ragionevolezza, inevitabilmente chiamando in gioco i dettami dell’economia aziendale385. “Razionalità” con riferimento ai mezzi in relazione ai fini, a cui si dovrebbe affiancare il concetto di ottimizzazione in un’ottica di efficienza386; “ragionevolezza” in primis come coerenza del processo decisionale, centrale in particolare ex post (laddove le conseguenze di tale decisioni non siano quelle sperate), in sede di valutazione dell’operato degli amministratori da parte dell’assemblea dei soci o persino dell’autorità giudiziaria. La coerenza del processo decisionale assume, tuttavia, significato prettamente procedurale e non necessariamente sostanziale.

La procedimentalizzazione del processo decisionale parrebbe, infatti, assumere una particolare rilevanza proprio a fronte di situazioni d’incertezza, quale è quella di gestione (in senso lato) del rischio di danno ambientale. Nella considerazione a livello gestorio di quelle che sono le esternalità negative che una società può generare è infatti insita una più o meno ampia percentuale di incertezza, che non permette mai di assumere una posizione certa in sede di adozione di decisioni amministrative. È in questi contesti che una procedimentalizzazione del processo decisionale potrebbe apparire vantaggiosa. In tal modo, quantomeno si imporrebbe agli amministratori di dedicare particolare !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

383 Come chiarito da A. MAZZONI, La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa

priva della prospettiva di continuità aziendale, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, a p. 813 ss., la «corretta gestione societaria non è di per sé

anche una corretta gestione imprenditoriale», a p. 830.

384 Non pare condivisibile l’opinione secondo la quale, la correttezza non sarebbe altro che una

declinazione della diligenza professionale di cui all’art. 2392 c.c.; cfr. G.M.ZAMPERETTI, Il dovere di

informazione degli amministratori nella governance della società per azioni, Milano, 2005, in particolare a

p. 309.

385 Così M. IRRERA,M.SPIOTTA,M.CAVANNA, Gli obblighi e i doveri, cit., a p. 230.

386 Si veda A. ZANARDO, Delega di funzioni e diligenza degli amministratori nella società per

azioni, Padova, 2010, p. 249 ss., la quale qualifica come irrazionale la decisione amministrativa contraria

all’interesse sociale, che l’autrice definisce come scopo di massimizzazione del valore della partecipazione. Sull’interesse sociale, ai fini della presente indagine, si vedano infra le riflessioni al Para. 1.2, Il dovere di

attenzione in sede di adozione della decisione, ma ancor più poiché faciliterebbe lo scambio d’informazioni tra i soggetti interni alla società, e renderebbe il processo decisionale adeguatamente sorvegliabile, tanto dai soci quanto dagli organi societari. Vero è, tuttavia, che la procedimentalizzazione rischia di accompagnarsi a costi aggiuntivi, laddove preveda ad esempio pareri o obblighi di scambio di informazioni ulteriori. Ancora, essa, di per sé, non garantisce una decisione più corretta, anche se quantomeno più ponderata.

Il codice civile prevede una vera e propria “procedimentalizzazione” di decisioni gestorie nell’unico caso – a quanto costa – di interessi personali degli amministratori, di cui all’art. 2391 c.c., ma stante la specificità della disciplina, sembra complesso estenderla in via analogica al di fuori dell’ipotesi espressamente regolata. Tale disposizione non è tuttavia l’unica a introdurre un obbligo di motivazione della deliberazione (art. 2391, co.2, c.c.), ma ciò è similmente previsto anche agli artt. 2441, co. 5 (in materia di limitazione o esclusione del diritto di opzione), 2445, co. 2 (in tema di riduzione del capitale) e 2497-ter, c.c.387. In particolare, quest’ultima previsione, prevede un dovere generale di adeguata motivazione per tutte le decisioni di società soggette ad attività di direzione e coordinamento che siano state influenzate dall’esercente la direzione o coordinamento. L’obbligo di motivazione “aggravato” di decisioni gestorie in casi particolarmente sensibili non è dunque dinamica estranea al nostro ordinamento.

Ciò detto, è pur vero, infine, che la correttezza della gestione con riferimento al rischio da impresa si coniuga, altresì, come dovere degli amministratori di predisposizione di un adeguato assetto amministrativo, organizzativo e contabile, il quale a sua volta si connette a procedure e processi decisionali più strutturati.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

387 Cfr. M. LIBERTINI, Ancora in tema di contratto, impresa e società. Un commento a Francesco

Denozza, in difesa dell’”istituzionalismo debole”, in Giur. comm., I, 2014, p. 669 ss., il quale suggerisce di

leggere tali disposizioni «non come norme eccezionali, bensì come espressione di un principio più generale, che impone un’adeguata motivazione (con relativo, potenziale sindacato di legittimità) in tutti i casi in cui sussistano conflitti d'interessi interni o siano sottoposte all’organo deliberante proposte contrastanti», a p. 691.

Outline

Documenti correlati