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Responsabilità degli amministratori per gli illeciti della società

I L GOVERNO DEL RISCHIO AMBIENTALE E IL RIFLESSO SULLA DIMENSIONE ORGANIZZATIVA DELLE SOCIETÀ D

2. P ROFILI DI RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ

2.4. Responsabilità degli amministratori per gli illeciti della società

cagionato. Questi “meri” creditori da illecito, ovvero coloro che non sono legati all’impresa da alcun rapporto di natura contrattuale, potranno quindi agire nei confronti degli amministratori della società danneggiante purché la lesione sia stata da essi cagionata, con dolo o colpa, nell’esercizio o in occasione delle loro funzioni e purché – seppur prescindendo dalla titolarità di un diritto primario in capo al terzo – nei confronti del terzo sia «ipotizzabile un bisogno specifico di protezione, ulteriore rispetto a quello predisposto dalla disciplina generale della responsabilità aquiliana: gli interessi, in definitiva, su cui le scelte imprenditoriali degli amministratori (...) sono destinate a incidere»548.

In conclusione, e complessivamente, questo tipo di responsabilità, legittimando il terzo danneggiato ad agire non più solo nei confronti della società, ma direttamente nei confronti dell’amministratore che consapevolmente lo ha danneggiato, parrebbe quello maggiormente in grado d’incentivare gli amministratori a internalizzare le esternalità negative generate dalla società, soprattutto nel caso in cui la società non abbia alcun interesse a farlo549.

2.4.

Responsabilità degli amministratori per gli illeciti della

società

A completamento della ricostruzione di quella che è la funzione degli amministratori di società davanti al rischio da impresa e i connessi profili di responsabilità, si inserisce la disciplina dettata dal d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, il quale prevede e regola la cosiddetta responsabilità amministrativa degli enti; una specifica responsabilità per – tra gli altri – tutte le società550, per determinati reati (cosiddetti “reati-presupposto”) commessi dai !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

548 A. DI MAJO, Profili della responsabilità civile, Torino, 2010, a p. 90.

549 Si vedano le riflessioni mosse nel Capitolo Quarto, Para. 2, Rischio di danno ambientale a

portata “sistemica” e Para. 3, Danni ambientali contenuti: la gestione del rischio ambientale per le piccole e medie imprese.

550 Quanto all’ambito soggettivo di applicazione del decreto, esso concerne tutti gli enti forniti di

personalità giuridica, le società e le associazioni anche prive di personalità giuridica. Dubbi circa l’applicabilità sono sorti tuttavia, ai nostri fini, con riferimento all’impresa individuale e alla holding.

Con riferimento all’impresa individuale, si osservava infatti come l’intera disciplina del d.lgs. 231/2001 richieda, quale presupposto applicativo della responsabilità dell’ente, la sussistenza di una

propri amministratori, inclusi (alcuni) reati ambientali espressamente previsti all’art. 25- undecies del decreto, come esaminato nel secondo capitolo al quale si rimanda per ulteriori profili551. Ciò che qui interessa è la “scriminante” degli assetti adeguati prevista dell’art. 6, d.lgs. n. 231/2001, secondo cui la società (e l’ente in generale) non risponde per i reati presupposto se prova che «(a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto552, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; (b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli, nonché di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; (c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; (d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b)». Laddove la società desideri quindi tutelarsi da eventuale responsabilità amministrativa ex d.lgs. n. 231/2001, dovrà pretendere ex ante che i propri amministratori strutturino la società in modo da predisporre assetti organizzativi idonei a prevenire la commissione dei reati da parte di soggetti in posizione apicale o a loro subordinati.

Tale disciplina pare dunque inserirsi tra le previsioni orientative ex ante dell’operato societario (e quindi dei suoi amministratori), dovendosi ora considerare l’assenza di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

distinguibilità tra la persona fisica che commette il reato e l’ente cui si intende contestare la responsabilità “amministrativa” (così Cass. 22 aprile 2004, n. 18941); oggi tuttavia la (criticata) pronuncia della Corte di cassazione, III sez. pen., 20 aprile 2011, ne ammette l’applicabilità all’impresa individuale per mezzo di interpretazione costituzionalmente orientata del decreto in questione: il non includere l’impresa individuale si porrebbe, ossia, in particolare in tensione con il principio di ragionevolezza.

Con riferimento alle holding, invece, è dubbio se sia possibile contestare la responsabilità derivante da reato presupposto commesso da soggetto operante nella società controllata direttamente in capo alla holding, in quanto l’art. 5 prevede come presupposto l’interesse (o vantaggio) “dell’ente”. La giurisprudenza (in particolare Cass. nn. 18941/2004 e 24583/2010) ammettono tale responsabilità laddove l’interesse in questione sia riconducibile a quello del gruppo unitariamente considerato. Per simili riflessioni, si veda infra Para. 5.2, La responsabilità amministrativa della controllante per illeciti commessi

dall’amministratore di società controllata.

551 Capitolo Secondo, Para. 6.3, La responsabilità penale per danno ambientale.

552 Più precisamente, la predisposizione di un assetto organizzativo adeguato opera non solo a

livello di esimente da responsabilità in via quindi preventiva, ma anche se posto in essere successivamente alla commissione dell’illecito, potendo (a certe condizioni) evitare l’applicazione delle sanzioni interdittive e la riduzione della sanzione pecuniaria, purchè poste in essere prima dell’apertura del dibattimento di primo grado; oppure se realizzate subito dopo (entro venti giorni da) la notifica della sentenza di condanna permette di richiedere la conversione delle sanzioni interdittive in sanzioni pecuniarie. Così, per tutti, Trib. Milano, 20 settembre 2004.

modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire i reati presupposto come costo, in quell’analisi “costi-benefici” che la società, per mezzo dei suoi amministratori, dovrà porre in essere in sede di scelte gestorie.

Il legislatore del 2009 (e poi nel 2011), introducendo (e modificando) l’art. 25-undecies, è intervenuto, quindi, per ridurre l’impatto dell’attività d’impresa organizzata in forma societaria sulla società civile, così indirettamente cercando di incentivare l’internalizzazione del rischio di danno ambientale, operando non «mediante l’imposizione di una regola – come emerge dalla non obbligatorietà dell’adozione del modello – bensì inducendo l’impresa a valutarne i vantaggi in termini di riduzione o persino eliminazione del rischio di condanna»553.

Vi sono state, tuttavia, pronunce giurisprudenziali che hanno affermato che l’organo amministrativo ha l’obbligo di adottare un adeguato modello organizzativo, con la conseguenza che un comportamento omissivo a tale riguardo identifica un’ipotesi di inadeguata amministrazione554. Il modello organizzativo è di per sé un mero onere per la società, tuttavia, come precisato dalla Corte di Cassazione, «la mancata adozione del modello, in presenza dei presupposti oggettivi e soggettivi indicati negli articoli 5 e 6 del D.Lgs. n. 231/01 è sufficiente ad integrare la fattispecie sanzionatoria, costituita dall’omissione delle previste doverose cautele organizzative e gestionali idonee a prevenire talune tipologie criminose»555.

Nel valutare l’adeguatezza del modello organizzativo per escludere la responsabilità della società, si considera infatti se il modello predisposto è adeguato con riferimento alla prevenzione a condotte prodromiche ai reati di quel tipo556.

Per quanto quindi strumento formalmente di mero “incentivo”, questo meccanismo non è di minor rilievo se si considera come la società, laddove sia riconosciuta colpevole ex d.lgs. n. 231/2001, potrà essere sanzionata non solo a livello pecuniario, ma altresì con !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

553 A. ADDANTE, Rapporti di impresa e responsabilità sociale, cit.

554 Così Trib. Milano 13 febbraio 2008, n. 1774, in Soc., 2008, p. 1507 ss., ma si veda anche la

pronuncia del Trib. Milano, ordinanza 27 aprile 2004, in Soc., 2004, p. 1281 ss. Ancora, interessante è l’ordinanza del Trib. Milano, 20 settembre 2004, in Foro it., 2005, p. 528 ss. e in Corr. giur. 2005, p. 85 ss. Per la nozione di idoneità del modello, si veda invece Trib. Milano 28 ottobre 2004, in Foro it., II, 2005, p. 269 ss.

555 Cass. pen., sez. VI, 9 luglio 2009, n. 36083; corsivo aggiunto. 556 A. ADDANTE, Rapporti di impresa e responsabilità sociale, cit.

sanzioni di tipo interdittivo, nel caso in cui dalla commissione del reato presupposto sia derivato alla società un “profitto di rilevante entità”557. Al riguardo, la Corte di cassazione è recentemente intervenuta e, interrogata sul significato di tale espressione, ha chiarito come la nozione di profitto di rilevante entità, inteso quale presupposto applicativo della misura interdittiva, sia da ricostruire in termini, non “economico- aziendalistici”, ma “dinamico-prospettico”. Occorre, ovvero, guardare al complesso degli interessi di natura patrimoniale, anche non immediata, che per effetto del reato presupposto la società consegue o potrebbe conseguire558.

Tuttavia, l’autonoma responsabilità della società è configurabile solo laddove il reato sia stato posto in essere (anche) nell’interesse della società o a suo vantaggio. Dove per “interesse” si intende, per la giurisprudenza, la proiezione finalistica che connota l’autore del reato presupposto nel momento della condotta. L’autore del reato deve, ossia, aver posto in essere la condotta proprio al fine di perseguire l’interesse dell’ente, dovendo il giudice, in sede di giudizio di responsabilità, porsi nei panni dell’agente al momento dell’azione (od omissione).

Con l’espressione “vantaggio” si fa, invece, riferimento agli effetti del reato nella dimensione societaria. Esso si distingue dunque dalla proiezione finalistica, guardando solamente agli effetti della commissione del reato sul patrimonio societario, che il giudice dovrà valutare in un prospettiva non più ex ante, ma ex post, utilizzando i criteri dell’accertamento causale al fine di verificare la sussistenza di un legame di tipo derivativo tra il vantaggio per l’ente e il reato commesso dalla persona fisica559.

Tali distinti concetti sono ritenuti, da parte della giurisprudenza, come tra loro alternativi, con la conseguenza che potrebbe essere riconosciuta la responsabilità della società anche !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

557 Si veda quanto già affrontato nel Capitolo Secondo, Para. 6.3.1, Le sanzioni per la società per il

reato ambientale commesso dal proprio amministratore.

558 Così, Cass. n. 11209/2016, cit. Nel caso di specie, ad esempio, nel caso di contratto di appalto

illecitamente concluso (a fronte della truffa quale reato presupposto), nella nozione di profitto rientra non soltanto il prezzo pieno (già più dell’utile netto) dell’appalto, ma altresì gli ulteriori lavori che quella società ha ottenuto in occasione della pregressa aggiudicazione illecita, così come vi rientra l’incremento del merito di credito, e – per la Suprema Corte – l’ottimizzazione delle risorse aziendali conseguita grazie all’ottenimento dell’appalto.

559 È questa la tesi oggi nettamente prevalente in giurisprudenza, ovvero quella che distingue

nettamente il concetto di interesse da quello di vantaggio. Per tutti, Cass. Sez. Un., 18 settembre 2014, n. 38343.

laddove il reato sia stato posto in essere nell’interesse della società, ma da questo non sia derivato un vantaggio, ma, anzi, persino un pregiudizio.

Pone altresì perplessità l’ipotesi contraria, in cui l’amministratore abbia agito nel proprio esclusivo interesse, e a ciò sia (involontariamente) seguito un vantaggio per la società. Al riguardo, tuttavia, la Corte di cassazione ha ammesso la configurabilità della responsabilità della società anche laddove non si riesca a provare l’interesse della società all’illecito, antecedente alla commissione di questo, purché sia provato, da un lato, che la società abbia ricavato un vantaggio dall’illecito, dall’altro che la condotta dell’autore di quest’ultimo tenda oggettivamente e concretamente a realizzare, nella prospettiva della società, “anche” l’interesse della stessa560.

La società, nel cui interesse o vantaggio sia stato posto in essere il reato presupposto, potrà tuttavia essere esonerata da responsabilità «provando» – recita l’art. 6 – di aver adottato un modello di organizzazione che preveda certe caratteristiche. A tal fine, «i modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati (…) sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti (…)»561.

A sanare i dubbi sorti nell’interpretazione di tale espressione è intervenuta la Corte di cassazione chiarendo come spetti all’accusa dimostrare tutti e quattro i presupposti, inclusa la carente regolamentazione interna dell’ente562, non essendo posto in capo alla !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

560 Così Cass. pen., sez. V, 4 marzo 2014, n. 10265, in Società, 2014, p. 1003 ss. In particolare, la

formulazione testuale dell’art. 25-ter, rubricato “Reati societari”, menzionando solo l’“interesse” e non anche il “vantaggio”, per la Corte opererebbe “più apparentemente che sostanzialmente” (vd dove cit. esatta e metti riferimenti) una distinzione da quei criteri di imputazione generali, previsti dall’art. 5 d.lgs. n. 231/2001, che prevede appunto l’interesse o il vantaggio, con la conseguenza che tali criteri opererebbero anche in ambito societario nonostante la dubbia tecnica di redazione dell’art. 25-ter. Negli stessi termini anche Cass. pen., sez. VI, del 25 maggio 2013, n. 24557, in Dir. e giust., 2013, con nota di A. PIRAS. Per il merito, vedi Trib. Milano, del 28 aprile 2008, in Foro Ambr., 2008, p. 329 ss.; Trib. Milano, del 14 dicembre 2004, in Foro it., 2005, p. 527 ss., e Cass. pen., sez. II, del 20 dicembre 2005, n. 3615, secondo la quale «i due vocaboli esprimo concetti giuridicamente diversi, potendosi distinguere un interesse “a monte” della società ad una locupletazione – prefigurata, pur se di fatto, eventualmente, non più realizzata – in conseguenza dell’illecito, rispetto ad un vantaggio obbiettivamente conseguito all’esito del reato, perfino se non espressamente divisato ex ante dall’agente».

Si veda poi, Capitolo Secondo, Para. 6.3, La responsabilità penale per danno ambientale con riferimento alle difficoltà di configurabilità della disciplina con i reati colposi di cui all’art. 25-undecies.

561 Cfr. art. 6, co. 3. In tale contesto si inserisce il “codice” elaborato da Linee guida per la

costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, cit.

562 Tema discusso, in quanto vi era chi deduceva dalla lettera dell’art. 6 una inversione dell’onus

probandi. Dubbi risolti dalla Corte di cassazione nel noto caso di Thyssenkrupp: il pubblico ministero deve

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