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La discrezionalità degli amministrator

I L GOVERNO DEL RISCHIO AMBIENTALE E IL RIFLESSO SULLA DIMENSIONE ORGANIZZATIVA DELLE SOCIETÀ D

2. P ROFILI DI RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ

2.1. L’azione sociale di responsabilità: presupposti e onere probatorio

2.1.2. La discrezionalità degli amministrator

Nell’esercizio della loro funzione gestoria, gli amministratori godono di un certo spazio di discrezionalità, che si connette al consequenziale spazio riservato al sindacato ex post del giudice in sede di valutazione dei profili di responsabilità per danni485.

Il dibattito attorno alla discrezionalità degli amministratori di società, fu dapprima sviluppato dalla giurisprudenza statunitense, già a fine Ottocento, la quale elabora la cosiddetta business judgment rule allo scopo di salvaguardare la discrezionalità degli !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

483 Un’unica eccezione a tale regola parrebbe configurabile, qualora l’autorizzazione

dell’assemblea, necessaria per il compimento di un determinato atto, venga negata irragionevolmente e da ciò derivi un danno al patrimonio sociale. In tal caso, si ritiene che non sia configurabile una responsabilità degli amministratori verso la società, in quanto, porre in essere tale operazione (per la quale è necessaria la previa autorizzazione assembleare negata) comporterebbe una violazione della disposizione stautaria che prevede l’autorizzazione. Così, G. GUIZZI, Riflessioni intorno all’art. 2380-bis c.c., cit.

484 Nonostante l’assenza di una simile disposizione con riferimento alle società di persone, vi è chi

in dottrina ritiene che le disposizioni di cui agli artt. 2434, per le s.p.a., e 2476, co. 8, c.c., per le s.r.l., abbiamo una portata «transtipica», ammettendo dunque che la medesima regola operi con riferimento al rendiconto delle società di persone. Così M. SPIOTTA, La responsabilità, in Diritto del governo delle

imprese, cit., p. 305 ss.

485 Tra i numerosi interventi in materia meritano certamente menzione A. DACCÒ, Il sindacato del

giudice nei confronti degli atti gestori degli amministratori, A.G.E., 2003, p. 183 ss; F. BONELLI, Gli

amministratori di società per azioni dopo la riforma delle società, cit.; C. ANGELICI, Diligentia quam in

suis e business judgement rule, cit.; A. TINA, L’esonero da responsabilità degli amministratori di s.p.a., Milano, 2008, in particolare p. 53 ss.; M. MIOLA, Riflessioni sui doveri degli amministratori in prossimità

dell’insolvenza, in Studi in onore di Umberto Belviso, I, Bari, 2011, p. 616 ss.; P. MONTALENTI, I controlli

societari: recenti riforme, antichi problemi, in Banca borsa, I, 2011, p. 535 ss.; ID., Società per azioni,

corporate governance e mercati finanziari, Milano, 2011, a p. 118 ss.; G. SCOGNAMIGLIO, “Clausole

generali”, principi di diritto e disciplina dei gruppi di società, in Riv. dir. priv., 2011, p. 534 ss.; C.

ANGELICI, Interesse sociale e business judgment rule, in Riv. dir. comm., I, 2012, p. 573 ss.; ID., La società

per azioni: principi e problemi, cit., a p. 401 ss.; P. PISCITELLO, La responsabilità degli amministratori di

società di capitali tra discrezionalità e business judgment rule, in Riv. soc., 2012, p. 1167 ss.; P.

MONTALENTI, Amministrazione e controllo nella società per azioni: riflessioni sistematiche e proposte di

riforma, in Riv. soc., 2013, 42 ss.; D. SEMEGHINI, Il dibattito statunitense sulla business judgment rule:

amministratori nelle scelte gestorie486. Similmente, in Italia, grazie all’intervento di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

486 Secondo una linea di tendenza che ancora si rinviene nel caso Smith v. Van Gorkom deciso dalla

Delaware Supreme Court nel 1985 che, nell’affermare la responsabilità dell’amministratore che aveva

tenuto una condotta grossly negligent, stabilisce che la regola di business judgment di per sé «is a presumption that in making a business decision, the directors of a corporation acted on an informed basis, in good faith and in the honest belief that the action taken was in the best interests of the company».

In Delaware, l’orientamento maggioritario in giurisprudenza ritiene gli amministratori responsabili per omessa vigilanza sulla gestione solo se o hanno completamente fallito nel predisporre un qualsiasi meccanismo di controllo o di scambio di informazioni; oppure lo hanno sì istituito, ma non si sono accertati, consapevolmente o intenzionalmente, della sua operatività in concreto, ignorandone i significativi segnali di allarme. Per contenere il sindacato di merito del giudice delle decisioni gestorie imprenditoriali, le corti del Delaware si muovono proprio per identificare le cosiddette red flags: cfr. Re Caremark Int’l

Inc. Deriv. Litig., 698 A.2d 959 ss., sopratuttoa p. 967 (Del. Ch. 1996); ma anche Stone v. Ritter, 911 A.2d

362 (Del. 2006), e In Re Citigroup Inc. Shareholders Derivative Litigation, 964 A.2d 106 (Del. Ch. 2009). Vi è, dunque, al vertice di tale orientamento l’esigenza di rintracciare un elemento soggettivo (“consciously failed to monitor”), gravando sull’attore l’onere di allegare e dimostrare la consapevolezza degli amministratori circa il carattere omissivo della propria condotta: la consapevolezza, cioè, di non aver adottato il tipo di sistema organizzativo che essi stessi ritenevano indispensabile attuare (c.d. “scienter requirement”).

Nel più recente caso Citigroup, del 2009, le Corti del Delaware hanno fornito una interpretazione più stringente dei presupposti di colpevolezza degli amministratori rispetto a quanto previsto nel caso Caremark (deciso da una corte distrettuale). In Citigroup, gli attori non contestavano l’assenza di sistemi di gestione dei rischi, ma la loro inadeguatezza. Riconoscendo l’esistenza di «significative differenze tra l’omissione di vigilanza su condotte fraudolente o penalmente illecite dei subordinati e l’incapacità di individuare la dimensione dei rischi assunti dalla società» la corte del Delaware argomenta come una «imposizione di una responsabilità per omessa vigilanza sull’assunzione di rischi eccessivi condurrebbe ad una valutazione, col senno di poi, di decisioni che sono al cuore della valutazione discrezionale degli amministratori e che rientrano, dunque, nella sfera della Business Judgment Rule» (cit. In Re Citigroup

Inc. Shareholder Litig., 2009 (Del. Ch. 2009)). La Corte ha ritenuto non sufficientemente provata né la

consapevolezza dell’inadeguatezza dei meccanimi di controllo dei rischi da parte degli amministratori, né ancor prima l’inadeguatezza stessa dei sistemi. Similmente anche JPMorgan Chase & Co.; e si veda altresì la pronuncia della Corte Suprema del Delaware nel caso Stone v. Ritter dalla prima richiamata. Ricostruzione di C. AMATUCCI, Adeguatezza degli assetti, responsabilità degli amministratori e business

judgment rule, in Giur. comm., I, 2016, p. 643 ss., in particolare para. 5, secondo cui, da tale

giurisprudenza delle corti del Delaware emerge come «il sistema di gestione dei rischi possa dirsi adeguato se in grado di portare all’attenzione del board i rischi incombenti per la società, così da consentire agli amministratori di conoscere e valutare la loro interrelazione ed incidenza sull’impresa sociale,! non altrettanto può dirsi con riguardo alla sindacabilità giudiziaria della decisione (consapevole o frutto di negligenza) di non averlo istituito o di averlo istituito ma non in modo adeguato (…). Le più recenti pronunce – sempre con riguardo specifico allo scrutinio giudiziale sull’assenza o adeguatezza dei sistemi informativi e di controllo dei rischi – sembrerebbero optare, anche se non in modo esplicito, per la seconda ipotesi, rendendo, di fatto, ancora più insindacabile la condotta dell’amministratore da parte del giudice, considerata la difficoltà di provare la consapevolezza dell’omissione», citazione a p. 658; il quale critica l’equiparazione di tale giurisprudenza statunitense, delle funzioni di risk taking e risk management, con l’adeguatezza dei sistemi informativi e di controllo dei rischi.

Si vedano, tra i numerosi contributi in materia, R.T.MILLER, Wrongful Omissions by Corporate

Directors: Stone v. Ritter and Adapting the Process Model of the Delaware Business Judgment Rule, in U. Pa. J. Bus. & Emp. L., 10, 2008, p. 912 ss.; ID., The Board’s Duty to Monitor Risk After Citigroup, in U.

Pa. J. Bus. L., 12, 2010, p. 1158 ss.

E ancora, A. JORDAN, The Business Judgment Rule today: an American perspective, in

Responsabilità degli amministratori di società e ruolo del giudice. Un’analisi comparatistica della Business Judgment Rule, a cura di C. Amatucci, Milano, 2014, p. 72, il quale individua il contenuto della

dottrina e giurisprudenza, è oggi riconosciuta una certa insindacabilità del merito gestorio ad opera del giudice, il quale non potrà sindacare la decisione gestoria di per sé, potendo invece verificare quello che è stato il percorso che ha condotto l’amministratore ad adottare una specifica decisione487.

Per quanto, soprattutto davanti a scelte gestorie di regolazione dei rischi, parrebbe sorgere la «necessità di servirsi, nella valutazione della condotta dei gestori dell’impresa, di criteri funzionalmente analoghi a quelli racchiusi nella formula della business judgment rule»488, il contenuto della regola italiana si distingue dalla corrispondente regola statunitense quanto ai suoi effetti “protettivi” della discrezionalità degli amministratori.

Essa viene recepita nel nostro ordinamento principalmente secondo due distinti approcci. L’impostazione a cui tradizionalmente aderisce gran parte della nostra giurisprudenza di legittimità valuta gli amministratori non responsabili degli effetti dannosi del loro operato laddove questi abbiano eseguito i propri compiti in modo diligente, e purché la scelta non sia irragionevole o irrazionale (sono ipotesi di cosiddetta mala gestio)489. Tale indirizzo si basa sull’idea che sia possibile separare la fase preparatoria alla decisione, dalla decisione nel merito stessa; e ritiene che al giudice sia precluso di sindacare solo questa seconda fase. In questo contesto assume fondamentale rilievo la procedimentalizzazione della fase decisoria490.

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business judgment rule come capace di proteggere la discrezionalità degli amministratori per tutte le

decisioni che: non coinvolgano alcun interesse diretto o indiretto degli amministratori; siano consapevolmente deliberate ovvero alla luce di tutte le informazioni disponibili e a seguito di una prudente considerazione delle alternative; siano deliberata in buona fede; al fine di perseguire l’interesse sociale.

L’approccio statunitense alla business judgment rule non è tuttavia uniforme. Per una critica all’orientamento delle Corti del Delaware sulla business judgment rule, si veda per tutti E.J. PAN,

Rethinking the board’s duty to monitor: a critical assessment of the Delaware doctrine, in Fla. St. U. L. Rev., 38, 2011, p. 209 ss.

487 Cfr. F. BONELLI, Gli amministratori di Spa a dieci anni dalla riforma del 2003, cit., p. 70-71.

In Italia, invece, tra le principali pronunce della suprema corte devono menzionarsi Cass., 23 marzo 2004, n. 5718, in Società, 2004, 1517, alla quale confromi Cass., 12 agosto 2009, n. 18231, in Società, 2009, 1247; Cass., 12 marzo 2012, n. 3902, in www.dejure.it; e Cass., 10 febbraio 2013, n. 3409.

488 M. MAUGERI, Note in tema di doveri degli amministratori, cit., p. 2.

489 Così G.G. PERUZZO, La Business Judgement Rule: spunti per un confronto tra l’esperienza

statunitense e l’esperienza italiana, paper presentato al Convegno su “Le clausole generali nel Diritto

Commerciale e Industriale” (Roma, 11-12 febbraio 2011), disponibile sul sito dell’Associazione “Orizzonti del Diritto Commerciale”.

490 Per questa interpretazione della business judgment rule italiana, con specifico riferimento al

Tale interpretazione è stata recentemente confermata dalla Corte di Cassazione che ha (ri)affermato come il solo merito della gestione sia insindacabile in quanto «all’amministratore non può essere rimproverato il cattivo uso della discrezionalità imprenditoriale», tuttavia «rientra nell’ambito della diligenza esigibile il corredare le scelte medesime con le verifiche, le indagini, le informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quella natura, alle condizioni di tempo e di luogo e alla luce di ogni altra circostanza concreta»491. A tale orientamento consegue la contestabilità in sede di giurisdizione delle decisioni amministrative in materia di controlli e di assetti organizzativi, le quali, non essendo riconducibili alla categoria delle scelte di merito, non trovano protezione nella discrezionalità degli amministratori492. A sostegno di tale livello di diligenza è ritenuta essere la formulazione dell’art. 2392 c.c. che, imponendo agli amministratori di operare con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle specifiche competenze, richiama una diligenza qualificata493.

Dubbiosa circa tale interpretazione è però quella parte di dottrina che sottolinea come sia in realtà difficile distinguere concretamente la fase propedeutica alla decisione, dalla decisione vera e propria494, con la conseguenza che una prospettiva interpretativa così “rigida”, rischierebbe di sanzionare condotte la cui illiceità non è immediata, né sicura495. Tale secondo orientamento propende per l’utilizzo di uno standard di condotta molto basso, similmente a quanto previsto nell’ordinamento statunitense dal caso Caremark496,

e dalle successive pronunce che vi hanno fatto seguito, secondo cui la sanzionabilità da parte del giudice è legittima solo laddove si realizzi una «sistematica e consapevole !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Giur. comm., II, 2008, p. 383 ss. Con riferimento alla nozione di mala gestio si veda invece Cass., 28 aprile

1997, n. 3652, in Società, 1997, p. 1389 ss.

491 Cass. Civ. Sez. I, 27 dicembre 2013, n. 28669, in Giur. it., 2014, p. 2208 ss., con commento di C.

DIONISO, Responsabilità degli amministratori di s.p.a. Citazione da Para. 6.3. dei motivi della decisione. Già prima Cass. 24 agosto 2004, n. 16707, cit.

492 P. MONTALENTI, La gestione dell’impresa di fronte alla crisi tra diritto societario e diritto

concorsuale, in RDS, 2011, p. 820 ss.

493 G.G. PERUZZO, La Business Judgement Rule: spunti per un confronto tra l’esperienza

statunitense e l’esperienza italiana, cit.

494 Ad esempio, R. WEIGMANN, Responsabilità e potere legittimo degli amministratori, Torino,

1974, p. 181 ss.; e L. ENRIQUES,D.A.ZETSCHE, The Risky Business of Regulating Risk Management in

Listed Companies, cit.

495 G.G. PERUZZO, La Business Judgement Rule: spunti per un confronto tra l’esperienza

statunitense e l’esperienza italiana, cit.

omissione di qualsiasi misura di vigilanza»497.

Pacifico, per entrambe le interpretazioni è, da un lato la sindacabilità degli atti gestori “irrazionali”, dall’altro l’insindacabilità del merito gestorio, ovvero i semplici errori di gestione, emersi e valutati ex post, derivanti da una decisione imprenditoriale presa in buona fede, basata su informazioni adeguate e adottata seguendo procedure corrette. L’amministratore, ossia, non potrà mai essere chiamato a rispondere per il solo cattivo esito di un’operazione posta in essere a seguito di una decisione non manifestamente imprudente o irrazionale, laddove egli abbia agito diligentemente498.

Secondo il primo (maggioritario) orientamento interpretativo, tuttavia, poiché gli amministratori devono operare in modo informato e adempiere i loro doveri con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze, sono sicuramente sindacabili le modalità con cui gli amministratori adottano le decisioni. Ne consegue, ad esempio, che potrà essere oggetto di valutazione ex post del giudice la fase di istruzione delle delibere.

La giurisprudenza italiana ha infatti più volte affermato come la cosiddetta (utilizzando l’espressione anglofona) business judgment rule non preclude al giudice la valutazione nel merito della scelta gestoria laddove ciò sia fatto al solo scopo di valutare eventuali omissioni di cautele, verifiche, o informazioni che sono normalmente richieste per una !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

497 Così ancora lo stesso G.G. PERUZZO, La Business Judgement Rule: spunti per un confronto tra

l’esperienza statunitense e l’esperienza italiana, cit. L’autore osserva come l’adozione della diversa

prospettiva è «di per sè inefficiente, dato che obbliga la società a sostenere dei costi certi (per uniformarsi alle migliori pratiche societarie) senza alcuna garanzia che la qualità della decisione sarà ad essi proporzionata (dato che è sufficiente la soglia della irragionevolezza/irrazionalità per rendere la scelta degli amministratori incontestabile). A questa critica si potrebbe eccepire che più precisa è l’attività propedeutica alla scelta più è probabile che la stessa sia qualitativamente valida. A ben guardare, però, ci si rende conto che, al di là del fatto che l’acquisizione di nuove informazioni comporta dei costi ed è dunque giustificata fin tanto che essi sono inferiori al valore atteso, non rileva soltanto il numero delle informazioni assunte, bensì anche la qualità con cui esse sono processate. Considerato che la qualità con cui sono elaborate le informazioni si ripercuote senza dubbio sulla scelta (attività di controllo) effettuata, ci avvede allora che assumere un maggior numero di informazioni (anche ipotizzando che la raccolta di esse fosse gratis e potesse quindi ricomprendere tutti i dati esistenti sull’oggetto della decisione) non garantisce di per sé una scelta qualitativamente migliore se la soglia di tolleranza resta sempre l’irragionevolezza/irrazionalità » citazione da p. 33 dell’intervento.

Alcuni (sporadici) interventi giurisprudenziali hanno confermato questo secondo orientamento, non distinguendo tra la fase propedeutica alla decisione e la decisione stessa, e abbassando il livello di diligenza richiesto, così, ad esempio la Corte d’appello di Milano, 30 marzo 2001, in Giur. comm., II, 2002, p. 200 ss., con nota di R.VENTURA.

simile scelta, al fine di determinare se vi sia stata violazione del dovere di agire diligentemente499, ovvero se il grado di diligenza sia sufficiente alla luce della natura dell’incarico e delle competenze dell’amministratore500.

A prescindere dalla posizione interpretativa prescelta, certo è che, se la discrezionalità gestoria opera come limite alla responsabilità degli amministratori esecutivi per le loro scelte di gestione, essa deve ritenersi applicabile anche in ambito di “alta” amministrazione, ovvero nell’esercizio di attività di vigilanza del consiglio501, in coerenza con la nuova formulazione dell’art. 2392 c.c. che, come poc’anzi esaminato, connette la diligenza alla natura dell’incarico e alle specifiche competenze. In particolare, tale regola dovrebbe operare diversamente a seconda del ruolo effettivamente svolto dal consigliere, atteggiandosi altrimenti (ovvero abbassando il livello di diligenza richiesto) nei confronti dell’amministratore non esecutivo, il quale, nonostante il suo dover di agire informato502, non potrà fisiologicamente avere completa conoscenza delle vicende societarie.

Con riferimento specifico all’oggetto d’indagine, così come a seconda che il rischio concerna decisioni strategiche o operative si impone un diverso approccio alla sua gestione503, altresì criteri differenziati dovranno applicarsi alle regole di insindacabilità del merito gestorio. In particolare, si individua un duplice atteggiarsi della regola, a fronte dell’eventuale obbligatorietà della predisposizione di adeguati sistemi di controllo interno dei rischi. In assenza di obblighi specifici, a fronte dei quali la valutazione giudiziale si “riduce” all’accertamento della compliance, ci si dovrà concentrare sul parametro di adeguatezza. Qui, vi è chi nega l’operatività della discrezionalità gestoria a copertura delle decisioni finalizzate a rendere adeguati gli assetti organizzativo, amministrativo e contabile, ammettendone dunque la sindacabilità ad opera del giudice, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

499 Così, ad esempio, Cass. 28 aprile 1997, n. 3652, in Giust. civ., I, 1997, p. 2780 ss., Trib. Milano,

20 febbraio 2003, in Società, 2003, p. 1268 ss.; Cass. SS. UU., 6 maggio 2015, n. 9100.

500 Così Cass. 27 luglio 1978, n. 3768, in Giur. comm., II, 1980 p. 904 ss.; Cass. 6 marzo 1970, n.

558, in Giustizia Civ., I, 1971, p. 933 ss.

501 Così lo stesso G.G. PERUZZO, La Business Judgement Rule: spunti per un confronto tra

l’esperienza statunitense e l’esperienza italiana, cit.

502 Al riguardo si veda supra Para. 1.3.1, (Segue) In particolare il dovere di informazione.

503 Si vedano sul punto le riflessioni di C. VAN DER ELST, Risk Management in Corporate Law and

Corporate Governance, in Corporate Governance and the Global Financial Crisis, a cura di W. Sun, J.

sulla base di una triplice argomentazione504: (i) le decisioni circa la cura e la valutazione di assetti adeguati non sono riconducibili a “scelte d’impresa” (ovvero scelta discrezionale, una scelta tra tante), che in quanto tali sarebbero coperte, alle condizioni sopra esposte, dalla discrezionalità amministrativa (e infatti i sindaci devono vigilare l’adeguatezza, così sottraendo «alla mera discrezionalità dell’imprenditore le tecniche organizzative dell’attività, per ancorarle a parametri oggettivi»505); (ii) il concetto di adeguatezza non è privo di contenuto precettivo, ma «esprime una funzionalità ben precisa che il singolo assetto deve possedere, tale da non lasciare pressoché alcuno spazio a considerazioni di merito»; ricorrerebbe ovvero «un obbligo legale di fare non troppo diverso dall’obbligo di predisporre il bilancio di esercizio» e il giudice sarebbe dunque tenuto a sindacare la cattiva cura e valutazione degli assetti (anche e soprattutto grazie all’assistenza della consulenza tecnica)506; (iii) infine, l’adeguatezza degli assetti è considerata come presupposto per scelte gestorie adottate in modo diligente e «come potrebbe non sindacarsi l’adeguatezza di quegli assetti – segnatamente quello amministrativo e quello contabile – che, impedendo la corretta informazione degli amministratori, determinano un deficit conoscitivo, in grado di pregiudicare la ragionevolezza delle loro decisioni e il loro agire informato, ex art. 2381, 6º comma, c.c.»507?

Tale posizione interpretativa è tuttavia criticata da altra parte della dottrina, che focalizza l’attenzione sulla “mole” dei rischi e sul nesso causale tra condotta e danno, per giungere tuttavia a simile risultato. L’assunzione di rischi, cioè, può limitare la discrezionalità decisionale degli amministratori solo qualora sia considerabile come «“smisurato” o “esorbitante” – e la sua volontaria assunzione [sia valutata] indice di violazione del dovere di diligenza professionale gravante sugli amministratori ai sensi dell’art. 2392 c.c. –», ossia «unicamente qualora, secondo una analisi delle caratteristiche dell’operazione (o del complesso unitario di operazioni tra loro collegate) quali conosciute al momento !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

504 Si fa qui principalmente riferimento a quanto recentemente sostenuto da C. AMATUCCI,

Adeguatezza deglia assetti, cit.

505 Espressione citata, in altro contesto, da P. MONTALENTI, La società quotata, in Tratt. dir. civ.

comm., diretto da G. Cottino, vol. IV, 2, Padova, 2004, p. 247 ss., a p. 265.

506 C. AMATUCCI,Adeguatezza deglia assetti, cit., da cui i virgolettati a p. 669. 507 C. AMATUCCI,Adeguatezza deglia assetti, cit., p. 670.

della decisione, il concretizzarsi della situazione di pericolo sarebbe (stata) idonea a mettere a repentaglio, in una prospettiva di medio-lungo periodo, l’equilibrio finanziario e la conservazione stessa dell’impresa»508, conformemente al dovere degli amministratori di garantire la continuità dell’impresa. Se, invece, non si è in grado di dimostrare la sussistenza di un nesso di casualità tra assunzione del rischio, da un lato, e la probabilità

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