• Non ci sono risultati.

L’azione di regresso dell’INAIL

2. La responsabilità civile del datore di lavoro

2.1. L’azione di regresso dell’INAIL

Il regresso è quel tipo di azione con la quale l’INAIL agisce verso il datore di lavoro che si sia rivelato civilmente responsabile, con lo scopo di ripetere le somme pagate a titolo indennitario e sostenute per le spese accessorie. Il fondamento dell’azione di regresso si trova nel combinato disposto delle norme contenute agli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 1124/1965; ciò indica che è possibile per l’INAIL agire in giudizio solo in presenza di determinate condizioni. La prima tra queste, che è anche quella di maggior rilievo, è sicuramente la sussistenza di una responsabilità civile del datore di lavoro, che si ha quando il danno subito dal lavoratore è consequenziale a fatti imputabili al datore o a suoi dipendenti. Possiamo dire di essere in presenza di una responsabilità del datore di lavoro quando ricorrono tre circostanze fondamentali: presenza di una condanna penale a carico del datore stesso, esistenza di un nesso causale tra fatto e infortunio subito e riconoscimento di un reato perseguibile d’ufficio nel fatto illecito commesso dal datore. Quest’ultima condizione si realizza quando il fatto illecito consiste in una fattispecie di omicidio volontario210, colposo211 o preterintenzionale212, o in una fattispecie di lesioni213

La sentenza, che accerta la responsabilità civile a norma dei precedente articolo, è sufficiente a costituire l'Istituto assicuratore in credito verso la persona civilmente responsabile per le somme indicate nel comma precedente.

L'Istituto può, altresì, esercitare la stessa azione di regresso contro l'infortunato quando l'infortunio sia avvenuto per dolo dei medesimo accertato con sentenza penale. Quando sia pronunciata sentenza di non doversi procedere per morte dell'imputato o per amnistia, il dolo deve essere accertato nelle forme stabilite dal Codice di procedura civile”.

209 O. M

AZZOTTA, Diritto del lavoro, Milano, 2013, pag. 585.

210 Art. 575 c.p. “Omicidio.

Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno”.

211 Art. 589 c.p. “Omicidio colposo.

97

dolose o volontarie superiori a 20 giorni o con postumi oppure di lesioni colpose gravi o gravissime214 uguali o superiori a 40 giorni o con postumi, o in una malattia professionale contratta nel periodo in cui il lavoratore prestava servizio alle dipendenze di un determinato datore. Si deduce quindi a contrario che non si può proporre azione di regresso in presenza di lesioni non perseguibili d’ufficio o di fatti che non possono essere qualificati come reati, indipendentemente da qualunque pronuncia del giudice penale, perché manca la sussistenza della responsabilità civile del datore.

Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.

Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da:

1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;

2) soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici”.

212

Art. 584 c.p. “Omicidio preterintenzionale.

Chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 e 582, cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni”.

213 Art. 582 c. p. “Lesione personale.

Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni.

Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste negli articoli 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel numero 1 e nell'ultima parte dell'articolo 577, il delitto è punibile a querela della persona offesa”.

214 Art. 590 c.p. “Lesioni personali colpose.

Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309.

Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239.

Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni. Nei casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se il fatto è commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena per le lesioni gravi è della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni.

Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale”.

98

Nonostante l’apparente chiarezza espositiva questa scelta normativa ha sollevato svariati dubbi interpretativi nel corso del tempo. Il primo di questi riguarda la condizione per cui l’azione di regresso può essere posta solo se il fatto è stato accertato come reato da una sentenza penale di condanna; riguardo a questa affermazione in passato sia dottrina che giurisprudenza ritenevano che la responsabilità civile del datore fosse da escludersi in presenza di una sentenza penale di proscioglimento (emessa con qualunque formula) o di un decreto di archiviazione. In altre parole, ogni volta in cui in sede penale il datore di lavoro fosse stato assolto, indipendentemente dalla tipologia di pronuncia con cui ciò avveniva, l’INAL non poteva agire per il regresso. Successivamente, in seguito alla sentenza n. 102 del 19 giugno 1981 della Consulta, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 5 dell’art. 10 del D.P.R. del 1965 “nella parte in cui non consente, al fine dell’esercizio del diritto di regresso dell’INAIL, che l’accertamento del fatto costituente reato possa essere compiuto dal giudice civile nei casi in cui il procedimento penale, nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente del cui operato egli debba rispondere, si sia concluso con proscioglimento in sede istruttoria, o vi sia stato provvedimento di archiviazione”. Questa pronuncia ha comportato una svolta nella materia del regresso, consentendo all’Istituto assicuratore di dar luogo alla relativa azione anche quando l’accertamento del fatto in sede penale non ha comportato l’emissione di una sentenza di condanna per il datore di lavoro. In questi casi com’è naturale sarà più difficile per l’INAIL provare che il datore o un suo dipendente sono effettivamente responsabili, ma possiamo affermare che ora, in conseguenza dell’intervento della Corte Costituzionale, l’azione di regresso è ammissibile quando il procedimento penale è terminato con una sentenza di condanna ma anche quando si risolve in un provvedimento di non condanna; assoluzione, estinzione del reato, non doversi procedere per morte dell’imputato, amnistia e prescrizione. Così adesso spetta al giudice civile accertare se il fatto-reato debba essere o meno imputato al datore o a un suo dipendente; nello specifico egli dovrà verificare il nesso causale tra violazione e infortunio stesso, oltre che l’entità dei postumi delle lesioni da questo derivati e l’ipotetico concorso di colpa del lavoratore. L’azione di regresso proponibile dall’INAIL non è più subordinata al previo accertamento dei fatti operato dal giudice penale; quello civile adesso può appurare incidenter tantum la responsabilità del datore o dei suoi preposti, scegliendo liberamente se valutare autonomamente gli elementi probatori raccolti in sede penale oppure basarsi sulle valutazioni già operati su questi dal magistrato penale. La scelta

99

adesso è discrezionale e dunque il giudice ordinario può legittimamente giungere a conclusioni divergenti da quelle contenute nell’accertamento penale, fermo restando in tal caso l’obbligo di motivare le ragioni della diversità delle proprie conclusioni.

La dichiarazione della Corte Costituzionale ha prodotto come conseguenza la fine del “principio di tassatività” dei casi in cui l’INAIL può proporre azione di regresso; tale punto di vista in seguito è stato fatto proprio anche dalla Cassazione215, che ha usato questa base di partenza per poi consentire all’Istituto di agire in regresso anche nei casi di intervenuta prescrizione del reato, di non promovibilità dell’azione, di sentenza dibattimentale di non doversi procedere per mancanza di querela, e poi ancora nei casi di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444216

ss. c.p.p. e in quello di condanna del datore per mezzo di decreto penale in relazione alla violazione di norme antinfortunistiche. L’azione di regresso dell’Istituto assicuratore viene oggi ammessa in via generale; per il suo accoglimento è sufficiente che in sede civile emerga l’esistenza di una responsabilità del datore, bisogna dimostrare che questi non ha rispettato le norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro o le generiche misure previste dall’art. 2087 cod. civ.. In particolare, riguardo a quest’ultima norma, esiste un principio di presunzione di responsabilità a carico del datore, che dovrà dimostrare l’avvenuto rispetto delle regole di sicurezza. È sulla base

215 Vedi ad esempio Cass., 17 dicembre 1994, n. 10830, in Raccolta di Giurisprudenza degli infortuni sul

lavoro e malattie professionali, 1995, Edizioni Inail, pag. 28.

216 Art. 444 c.p.p. “Applicazione della pena su richiesta.

L'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l'applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria.

Sono esclusi dall'applicazione del comma 1 i procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3‐bis e 3‐ quater, i procedimenti per i delitti di cui agli articoli 600‐bis, 600‐ter, primo, secondo, terzo e quinto comma, 600‐quater, secondo comma, 600‐quater.1, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600‐quinquies, nonché 609‐bis, 609‐ter, 609‐quater e 609‐octies del codice penale, nonché quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza, o recidivi ai sensi dell'articolo 99, quarto comma, del codice penale, qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria.

Se vi è il consenso anche della parte che non ha formulato la richiesta e non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell'articolo 129, il giudice, sulla base degli atti, se ritiene corrette la qualificazione giuridica del fatto, l'applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti, nonché congrua la pena indicata, ne dispone con sentenza l'applicazione enunciando nel dispositivo che vi è stata la richiesta delle parti. Se vi è costituzione di parte civile, il giudice non decide sulla relativa domanda; l'imputato è tuttavia condannato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, salvo che ricorrano giusti motivi per la compensazione totale o parziale. Non si applica la disposizione dell'articolo 75, comma 3. La parte, nel formulare la richiesta, può subordinarne l'efficacia, alla concessione della sospensione condizionale della pena. In questo caso il giudice, se ritiene che la sospensione condizionale non può essere concessa, rigetta la richiesta”.

100

di tale considerazione che alcuni autori217 hanno riconosciuto nell’art. 2087 cod. civ. la norma di chiusura dell’intero sistema antinfortunistico: si vuol affermare cioè che nelle ipotesi in cui la legge non indica una precisa misura di sicurezza il datore non può limitarsi a adottare tutte le misure antinfortunistiche possibili in base alle caratteristiche dell’attività lavorativa ma dovrà anche vigilare sull’effettiva utilizzazione di tali misure. Di conseguenza qualora violasse tale dovere si renderà inadempiente nei confronti del lavoratore, fornendo all’INAIL un titolo idoneo per ottenere il recupero delle prestazioni erogate a favore del lavoratore infortunato. In tali casi il datore di lavoro è responsabile anche qualora il lavoratore sia risultato imprudente o negligente, anche se la sua colpa potrà essere attenuata o esclusa qualora emerga che egli ha adottato ogni cautela necessaria e che l’incidente sia avvenuto per colpa esclusiva del lavoratore che ha tenuto un comportamento imprevedibile o abnorme, rivelatosi causa unica dell’evento lesivo.

Il limite dell’abnormità del comportamento del lavoratore non opera solo nel caso in cui il datore abbia violato le disposizioni riguardanti i requisiti prescritti per adibire al lavoro un soggetto di minor età. La Suprema Corte ha precisato che in questi casi la responsabilità del datore di lavoro “sussiste per il solo fatto di versare in questa situazione antigiuridica”218, indipendentemente da dolo o colpa nella determinazione dell’infortunio. La responsabilità del datore persiste anche nelle ipotesi in cui il fatto da cui dipende l’infortunio è stato commesso da uno dei suoi dipendenti a condizione che dell’operato di questi sia il datore a rispondere ai sensi dell’art. 2049 cod. civ.. Fino all’intervento della Consulta con la sent. n. 22/1967 questo tipo di responsabilità valeva solo per colui che ricopriva la carica del preposto perché così stabiliva il comma 3 dell’art. 10 del T.U. n. 1124/1965. Grazie alla suddetta decisione invece oggi per la declaratoria in giudizio della responsabilità datoriale è ritenuta sufficiente la prova del fatto che l’evento lesivo sia stato commesso da un lavoratore dipendente nell’esercizio di un compito a lui espressamente affidato; la Corte Costituzionale ha infatti sancito l’illegittimità del terzo comma per violazione dell’art. 3 Cost., poiché la diversità delle mansioni svolte dai lavoratori che hanno causato l’evento lesivo non può essere considerato un elemento discriminante agli effetti della normativa. Quindi il datore può risultare responsabile anche qualora egli sia stato assolto nel procedimento penale, quando il fatto non è stato commesso da lui ma da un suo dipendente; in queste ipotesi si esclude solo la responsabilità diretta del datore,

217

In particolare il tema è stato affrontato da G. CASALE,L’assicurazione Infortuni e malattie professionali, Milano, 2001.

101

quella indiretta continua a persistere e può essere autonomamente accertata in sede civilistica. Quando sussiste la responsabilità indiretta l’INAIL può agire sia nei confronti del datore che del dipendente responsabile dell’evento infortunistico; l’azione di regresso potrà essere proposta cumulativamente (verso il datore e verso il dipendente, autore materiale del fatto). La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha stabilito questa regola nella sentenza del 18 ottobre del 1994 n. 8467 nella quale ha dichiarato “l’azione di regresso spettante all’INAIL ai sensi degli artt. 10 e 11 T.U. n. 1124/1965 è esperibile non solo nei confronti del datore di lavoro, ma anche verso i soggetti responsabili o corresponsabili dell’infortunio a causa della condotta da essi tenuta in attuazione dei loro compiti di preposizione o di meri addetti all’attività lavorativa, giacché essi, pur essendo estranei al rapporto assicurativo, rappresentano organi o strumenti mediante i quali il datore di lavoro ha violato l’obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro; ove detta azione di rivalsa sia esperita contro il datore di lavoro ed i suoi ausiliari, l’affermazione della responsabilità solidale, ai sensi dell’art. 2055 cod. civ.219, dei convenuti non è impedita dalla diversità dei rispettivi titoli di responsabilità (contrattuale per il datore di lavoro, extracontrattuale per gli altri)..”. Opinione questa ribadita anche in un’altra famosa pronuncia delle Sezioni Unite della medesima corte, la n. 3288 del 13 febbraio 1997, con cui è stata riconosciuta la natura di azione di regresso anche a quella di rivalsa proposta verso il preposto o il dipendente, sulla base de fatto che, fermo restando che tali soggetti sono estranei al rapporto assicurativo, sono comunque “strumenti” per mezzo dei quali l’azienda può venire a mancare alle norme antinfortunistiche. Così, considerato che l’azione proponibile verso il preposto e quella proponibile nei confronti del dipendente hanno la medesima natura, sarà perfettamente ammissibile cumulare le due azioni. A tutto ciò si deve aggiungere che qualora a ricoprire il ruolo del datore di lavoro sia una società (di persone o di capitali) l’azione di regresso sarà promossa nei confronti della società nella persona del suo legale rappresentante e della persona fisica, facente parte della società, che ha materialmente compiuto il fatto-reato.

Qualora invece a infortunarsi sia un soggetto che svolge le prestazioni di lavoro temporaneo di cui alla L. n. 196 del 24 giugno 1997220 sorge il problema di individuare

219 Art. 2055 cod. civ. “Responsabilità solidale.

Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall'entità delle conseguenze che ne sono derivate.

Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali”.

102

l’azienda contro la quale presentare azione di regresso, cioè se nei confronti della ditta fornitrice o utilizzatrice. La questione ha portato a svariati dibattiti sul tema, che si possono riassumere in due fondamentali e contrapposte correnti di pensiero: una afferma che l’azione deve essere promossa solamente verso l’impresa utilizzatrice, dal momento che essa è titolare di un preciso obbligo di responsabilità stabilito dall’art. 6221

della legge del 1997 nei confronti del lavoratore temporaneo per la violazione delle norme di sicurezza. In base alla seconda tesi invece l’azione dovrebbe essere promossa nei riguardi di entrambe le aziende, perché in ogni caso anche l’azienda fornitrice è titolare di obblighi di sicurezza (art. 3222 L. n. 196/1997). L’obbligo di sicurezza deve essere inteso

221 Art. 6 L. n. 196/1997 “Obblighi dell'impresa utilizzatrice.

Nel caso in cui le mansioni cui è adibito il prestatore di lavoro temporaneo richiedano una sorveglianza medica speciale o comportino rischi specifici, l'impresa utilizzatrice ne informa il lavoratore conformemente a quanto previsto dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni.

L'impresa utilizzatrice osserva, altresì, nei confronti del medesimo prestatore, tutti gli obblighi di protezione previsti nei confronti dei propri dipendenti ed e' responsabile per la violazione degli obblighi di sicurezza individuati dalla legge e dai contratti collettivi.

L'impresa utilizzatrice, nel caso in cui adibisca il prestatore di lavoro temporaneo a mansioni superiori, deve darne immediata comunicazione scritta all'impresa fornitrice, consegnandone copia al lavoratore medesimo. L'impresa utilizzatrice risponde in solido, oltre il limite della garanzia previsto dall'articolo 2, comma 2, lettera c), dell'obbligo della retribuzione e dei corrispondenti obblighi contributivi non adempiuti dall'impresa fornitrice.

L'impresa utilizzatrice, ove non abbia adempiuto all'obbligo di informazione previsto dal comma 2, risponde in via esclusiva per le differenze retributive spettanti al lavoratore occupato in mansioni superiori. Il prestatore di lavoro temporaneo ha diritto a fruire di tutti i servizi sociali ed assistenziali di cui godono i dipendenti dell'impresa utilizzatrice addetti alla stessa unità produttiva, esclusi quelli il cui godimento sia condizionato all'iscrizione ad associazioni o società cooperative o al conseguimento di una determinata anzianità di servizio.

Il prestatore di lavoro temporaneo non è computato nell'organico dell'impresa utilizzatrice ai fini dell'applicazione di normative di legge o di contratto collettivo, fatta eccezione per quelle relative alla materia dell'igiene e della sicurezza sul lavoro.

Ai fini dell'esercizio del potere disciplinare da parte dell'impresa fornitrice, l'impresa utilizzatrice comunica