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4. La situazione anteriore alla riforma del 2000

4.1. Il decreto legislativo 23 febbraio 2000 n 38

4.1.3. La malattia professionale

L’assicurazione obbligatoria sociale non si riferisce solo all’infortunio sul lavoro ma anche all’evento della c.d. “malattia professionale”. Si può definire tale qualunque stato patologico del soggetto determinato da una causa lenta e contratto nell’esercizio e a causa270 di un’attività lavorativa morbigena (rientrante nell’ambito di applicazione della tutela contro gli infortuni); solo a queste condizioni la malattia può rientrare sotto la tutela assicurativa. Vi è dunque una differenza con l’evento infortunistico, che è un evento lesivo determinato da causa violenta e verificatosi in occasione del lavoro: qui il nesso eziologico è meno rigoroso, più mediato rispetto a una causalità diretta, dal momento che il rapporto tra causa e infortunio può essere anche occasionale. Le malattie si possono chiamare “professionali” quando sono causate o concausate dal lavoro per l’azione di agenti nocivi di natura chimica, fisica o biologica, senza che sia richiesto un periodo minimo di occupazione nella lavorazione morbigena.

La riforma varata con il recente decreto legislativo innova l’attuale sistema assicurativo delle malattie professionali. Originariamente si prevedeva un quadro circoscritto e tassativamente indicato di ipotesi e casi di malattie che l’Istituto assicurativo poteva indennizzare, elencati in apposite tabelle. Su questa base di partenza è intervenuta più volte la Corte Costituzionale, dichiarando l’illegittimità della previsione tabellare delle malattie e introducendo il c.d. “sistema misto”. Dalla sentenza costituzionale n. 206 del 25 febbraio 1988 sono in vigore le nuove regole, che prevedono il mantenimento della presunzione legale per le c.d. tecnopatie tabellate (ipotesi di malattie professionali presenti nelle vecchie tabelle) e la possibilità per il lavoratore colpito da una patologia di dimostrare l’origine professionale della stessa, pur non essendo prevista dalle tabelle (tecnopatie non tabellate).

La Corte Costituzionale aveva già ravvisato la necessità dell’adozione di un sistema misto per la disciplina delle malattie professionali in una sentenza del 1974, la n. 206. Con questa pronuncia tuttavia la Consulta non aveva ritenuto fondata la questione di legittimità del

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sistema tabellare, affermando che i limiti derivanti dal fatto che fosse un elenco tassativo erano compensati dalla presunzione legale operante a vantaggio del lavoratore. Solo con la sentenza dell’88 la Corte Costituzionale decide di introdurre nell’ordinamento italiano il sistema misto, proclamando “l’impossibile procrastinarsi” dell’adozione di tale soluzione a causa dell’incremento dei fattori di rischio e della maggiore agevolezza e attendibilità dell’indagine sull’eziologia professionale della malattia che avevano alterato l’equilibrio tra i vantaggi e gli svantaggi del sistema tabellare.

Sistema misto significa da una parte avere le favorevoli presunzioni di legge per le malattie che si trovano nelle tabelle, e al tempo stesso la possibilità per il lavoratore di dimostrare l’origine professionale di una patologia non tabellata o provocata da lavorazioni non previste nelle tabelle o anche manifestatesi oltre il periodo massimo di indennizzabilità stabilito dalle stesse tabelle. In sostanza, le ipotesi fondamentali che si possono verificare nella disciplina sulle malattie professionali sono tre: la prima è quella delle malattie tabellate, provocate da lavorazioni tabellate e denunciate entro i termini massimi d’indennizzabilità. Per questi casi la normativa è rimasta invariata. Il secondo gruppo di ipotesi riguarda i casi di malattie tabellate, provocate da lavorazioni tabellate, ma che sono state denunciate oltre i termini massimi d’indennizzabilità. Per queste si aprono due possibilità: se il lavoratore dimostra che la malattia si è manifestata entro i suddetti termini fruisce comunque della presunzione legale, altrimenti sul lavoratore cade l’onere della prova della natura professionale della patologia. Le ultime ipotesi sono quelle malattie che non si trovano nelle previsioni tabellari, per le quali deve essere il lavoratore a dare la prova della loro origine professionale, fermi restando tutti i principi che presiedono all’assicurazione obbligatoria contro infortuni e malattie.

La nozione di malattia professionale ai fini assicurativi è unica, prescinde cioè dalla distinzione tra malattie tabellate e non. Gli elementi che la caratterizzano sono l’esposizione al rischio specifico, determinato dalle lavorazioni previste tra quelle tutelate in base al D.P.R. n. 1124/1965, e il rapporto causale con queste lavorazioni. Quest’ultimo rapporto causale deve essere diretto e efficiente (fatta comunque salva la possibilità del concorso di fattori causali extra lavorativi), precisazione necessaria per evitare che nella tutela assicurativa, incentrata sull’esposizione a rischio professionale, confluiscano patologie tutelabili ad altro titolo, ad esempio come malattia comune.

La tutela assicurativa presuppone poi che la persona sia assicurata e che eserciti una delle lavorazioni protette dalla disciplina sugli infortuni sul lavoro; tra la malattia e la

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lavorazione espletata deve esserci un nesso eziologico configurabile in un rapporto causale, diretto e efficiente, con lo specifico rischio lavorativo. Per le malattie non tabellate è il lavoratore che deve provare gli elementi di fatto del rapporto causale lavorazione-malattia; egli deve dimostrare l’esistenza della malattia, l’adibizione ad una delle lavorazioni rientranti nel campo d’applicazione della disciplina antinfortunistica con riferimento all’agente patogeno, l’esposizione al rischio, precisando, per quest’ultima, le relative modalità, la durata e l’intensità.

Il sistema misto delle malattie professionali è sottoposto a revisione e aggiornamento periodico. Una commissione apposita, composta da non più di 15 componenti in rappresentanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, del Ministero della sanità, del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, dell’Istituto superiore della sanità, del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), dell’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (Ispesl), dell’Istituto italiano di medicina sociale, dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps), dell’INAIL, dell’Istituto di previdenza per il settore marittimo (Ipsema), nonché delle Aziende sanitarie locali (Asl)271, revisiona periodicamente la tabella delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura e l’elenco delle malattie professionali per le quali è prevista la denuncia obbligatoria a carico dei medici. A tal fine presso la banca dati dell’INAIL è possibile trovare il registro nazionale delle malattie causate dal lavoro o ad esso correlate, a cui possono accedere le strutture del Servizio sanitario nazionale, le Direzioni provinciali del lavoro e tutti gli altri soggetti pubblici ai quali la legge o i regolamenti attribuiscono funzioni in materia di protezione della salute e sicurezza sul lavoro.

La tabella delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia dei medici contiene una lista di patologie di possibile origine lavorativa che sono da tenere sotto particolare osservazione. La denuncia delle malattie da parte dei medici è operata presso l’Azienda sanitaria locale e presso la sede dell’Istituto assicuratore competente per territorio.

La riforma del 2000 introduce poi un nuovo criterio di rivalutazione annuale delle rendite, che si applica anche alle rendite corrisposte da altri enti gestori dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni previsti dal D.P.R. n. 1124/1965. La retribuzione di riferimento per la liquidazione delle rendite corrisposte dall’INAIL è soggetta alla

271 D. C

IRIOLI, Classificazione dei datori di lavoro, soggetti obbligati, settore agricolo e autoliquidazione, in

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rivalutazione sulla base della variazione effettiva dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati rispetto all’anno precedente.

I poteri dell’INAIL di rettificare le prestazioni272 sono invece fortemente limitati dall’art. 9 del D.Lgs. n. 38/2000273. La normativa precedente consentiva all’INAIL di rettificare le

272 Poteri che spettano all’Istituto assicuratore in virtù dell’art. 55 L. n. 88 del 9 marzo 1989 “Ristrutturazione

dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.

L'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), ente pubblico erogatore di servizi, è sottoposto alla vigilanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale.

L'INAIL, nel quadro della politica economica generale, adempie alle funzioni attribuitegli con criteri di economicità e di imprenditorialità, adeguando autonomamente la propria organizzazione all'esigenza di efficiente e tempestiva acquisizione dei contributi ed erogazione delle prestazioni, realizzando una gestione del patrimonio mobiliare e immobiliare che assicuri un idoneo rendimento finanziario. Alla medesima finalità deve conformarsi l'azione di controllo e di vigilanza sull'attività dell'Istituto.

All'art. 1 del R.D. 6 luglio 1933, n. 1033, modificato dal D.Lgs. del Capo provvisorio dello Stato 13

maggio 1947, n. 438, è aggiunto il seguente punto: «6) il Direttore generale. Ferma restando la composizione degli organi dell'Istituto prevista dalle normative attuali, le disposizioni di cui agli artt. 5, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 16, 17, 18 e 20 della presente legge sono estese all'INAIL per quanto compatibili con le sue competenze istituzionali.

Le prestazioni a qualunque titolo erogate dall'INAIL possono essere in qualunque momento rettificate dallo stesso Istituto in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione delle prestazioni. Nel caso in cui siano state riscosse prestazioni risultanti non dovute, non si dà luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l'indebita percezione sia dovuta a dolo dell'interessato.

Il mancato recupero delle somme predette può essere addebitato al funzionario responsabile soltanto in caso di dolo o colpa grave. Anche nel caso in cui sia stato richiesto un minor premio ed acconto di assicurazione rispetto a quello dovuto, il mancato incasso delle somme a tale titolo può essere addebitato al funzionario responsabile soltanto in caso di dolo o colpa grave”.

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Art. 9 D.Lgs. n. 38/2000 “Rettifica per errore.

Le prestazioni a qualunque titolo erogate dall'istituto assicuratore possono essere rettificate dallo stesso Istituto in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione delle prestazioni. Salvo i casi di dolo o colpa grave dell'interessato accertati giudizialmente, l'istituto assicuratore può esercitare la facoltà di rettifica entro dieci anni dalla data di comunicazione dell'originario provvedimento errato.

In caso di mutamento della diagnosi medica e della valutazione da parte dell'istituto assicuratore successivamente al riconoscimento delle prestazioni, l'errore, purché non riconducibile a dolo o colpa grave dell'interessato accertati giudizialmente, assume rilevanza ai fini della rettifica solo se accertato con i criteri, metodi e strumenti di indagine disponibili all'atto del provvedimento originario.

L'errore non rettificabile comporta il mantenimento delle prestazioni economiche in godimento al momento in cui l'errore stesso è stato rilevato.

È abrogato il primo periodo del comma 5 dell'articolo 55 della legge 9 marzo 1989, n. 88.

I soggetti nei cui confronti si è proceduto a rettifica delle prestazioni sulla base della normativa precedente possono chiedere all'istituto assicuratore il riesame del provvedimento.

Nei casi prescritti o definiti con sentenza passata in giudicato, la domanda deve essere presentata, a pena di decadenza, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo. In caso di accoglimento la riattribuzione della prestazione decorre dal primo giorno del mese successivo alla domanda e non dà diritto alla restituzione di somme arretrate.

Nei casi non prescritti o non definiti con sentenza passata in giudicato, per la presentazione della domanda si applica, se più favorevole, il termine di cui al comma 6. In caso di accoglimento della domanda, la

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rendite “in qualsiasi momento, in caso di errore di qualunque natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione delle prestazioni, senza dar luogo al recupero delle somme già corrisposte e salvo il caso del dolo del percettore interessato”. Ora l’INAIL può ancora rettificare le prestazioni in caso di errore di qualunque natura perpetrato in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione, ma tale facoltà deve essere necessariamente esercitata entro dieci anni dalla data di comunicazione dell’originario provvedimento errato.

Di particolare interesse anche la nuova previsione riguardante i mezzi e i criteri che si possono usare per la rettifica della rendita: in caso di mutamento della diagnosi medica e della valutazione da parte dell’Istituto assicuratore in seguito al riconoscimento delle prestazioni, l’errore (purché non riconducibile a dolo o colpa grave dell’interessato accertati giudizialmente) diviene rilevante ai fini della rettifica “solo se accertato con i criteri, metodi e strumenti d’indagine disponibili all’atto del provvedimento originario”. Significa che l’INAIL può rettificare solo se è possibile modificare la diagnosi medica originaria con gli stessi mezzi e modalità che si sarebbero potuti utilizzare all’epoca. Qualora l’errore non sia rettificabile si mantengono le prestazioni economiche in godimento al momento in cui l’errore è stato rilevato. I soggetti che si sono visti rettificare le prestazioni, anche sulla base della disciplina precedente, ora possono chiedere all’INAIL il riesame del provvedimento in base alle nuove regole. Qualora il riesame venga accolto le prestazioni sono riattribuite dal primo giorno del mese successivo alla domanda, ma non si ha in ogni caso diritto alla restituzione delle somme arretrate.