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Il leading precedent della Corte Costituzionale

1. Nascita del danno biologico

1.2. Il parere della Corte Costituzionale

1.2.1. Il leading precedent della Corte Costituzionale

Dagli anni ’80 in poi assistiamo a una proliferazione di sentenze della Corte di Cassazione che specificano il significato dell’espressione “danno biologico”, accompagnate da molte sentenze di giudici di merito che si occupano di giustificare il metodo di valutazione. La questione sull’ammissibilità all’interno del nostro ordinamento della figura di un danno biologico è rimessa in gioco da un nuovo intervento della Consulta che almeno apparentemente sembrerebbe risolvere in maniera definitiva il problema: la sentenza n. 184 del 14 luglio 1986. In realtà la questione di fondo è quasi “pretestuosa”; gli intenti dei giudici che la sollevarono erano quelli di segnalare il problema della risarcibilità del danno conseguente alla lesione della salute, far presente alla Corte il permanere di una giurisprudenza di stampo tradizionalista che cassava ogni tentativo di sottrarre i criteri di valutazione del danno alle tabelle delle società assicurative e infine di ottenere un avvallo definitivo da parte della Corte Costituzionale per poter applicare agevolmente il nuovo metodo. Il fatto da cui prende avvio l’ordinanza di remissione alla Consulta è successivo a quello che aveva poi originato la sentenza n. 88/1979; in questa la norma tacciata di illegittimità costituzionale era l’art. 2043 cod. civ. e la Corte si era espressa nel senso della sua conformità a Costituzione, qualora interpretata nel modo da essa indicato. Tuttavia in questo caso non si prese una posizione sulla natura della lesione del diritto alla salute, lasciando la collocazione del danno biologico in una sorta di limbo, sospeso tra gli aspetti patrimoniali e quelli morali: per questo motivo i giudici genovesi si assunsero il compito di riproporre la questione sotto altre spoglie. Invece di riproporre l’illegittimità dell’art. 2043 cod. civ. rispetto a parametri diversi da quelli della prima ordinanza, ritennero di poter sollevare una questione di legittimità riguardo all’art. 2059 cod. civ. in quanto, poiché il risarcimento del danno biologico si fondava su questo, si privilegiavano le vittime di un reato discriminando i danneggiati ad altro titolo. La Corte Costituzionale avrebbe dovuto dichiarare l’illegittimità dell’art. 2059 cod. civ. nella parte in cui prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla lesione di un diritto costituzionalmente tutelato (nel caso specifico quello alla salute) solamente quando l’evento lesivo deriva da un reato. La pronuncia si incentra sulla nozione di danno non patrimoniale contenuta nell’art. 2059 cod. civ. per capire se questa potesse adattarsi anche al concetto di danno biologico: la risposta fu negativa. La nozione di danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. si riferisce

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esclusivamente al danno morale. Per giungere a tale conclusione la Corte utilizzò i precedenti legislativi del risarcimento del danno non patrimoniale, in particolare l’art. 38 del codice penale del 1889335 e l’art. 7 del codice di procedura penale del 1913336, norme che nel prevedere il ristoro pecuniario per alcuni reati prescindevano dalla causazione del danno. L’art. 185 dell’attuale codice penale è stato redatto seguendo l’orientamento offerto dal codice di procedura del 1913 estendendo la riparazione pecuniaria a tutti i reati (non solo alcuni) definendo il danno morale come non patrimoniale.

Un altro aspetto evidenziato dalla Corte Costituzionale riguarda il motivo per cui l’art. 2059 cod. civ. utilizza l’espressione danno non patrimoniale invece che danno morale. Le ragioni di questa scelta si trovano nella relazione ministeriale al progetto definitivo del codice penale del 1930, in cui vi è scritto “Quanto alla designazione del concetto, (…) la locuzione “danno non patrimoniale” è preferibile a quella di “danno morale” tenuto conto che, spesso, nella terminologia corrente la locuzione di “danno morale” ha un valore equivoco e non riesce a differenziare il danno morale puro da quei danni che, sebbene abbiano radice in offese alla personalità morale, direttamente od indirettamente menomano il patrimonio”. È quindi desumibile che nelle intenzioni del legislatore il danno non patrimoniale di cui all’art. 185 c.p. fosse l’equivalente del danno morale. I danni che invece in qualunque modo incidano sul patrimonio sono esclusi dalla nozione di danno non patrimoniale ex art. 185 c.p., ed è naturale quindi che anche l’art. 2059 cod. civ., successivo a questo, contenga l’espressione “danno non patrimoniale” invece che “danno morale”. Anche i lavori preparatori all’attuale codice civile confermano quanto appena dichiarato: la relazione della commissione reale addetta al progetto del libro “Obbligazioni e contratti” definisce il danno morale come “quello che in nessun modo tocca il patrimonio ma arreca solo un dolore morale alla vittima”. Il legislatore dell’epoca poi chiarì i motivi per cui non si era estesa ulteriormente la risarcibilità dei danni morali: “La resistenza della giurisprudenza a tale estensione può considerarsi limpida espressione della nostra coscienza giuridica. Questa avverte che soltanto in caso di reato è più intensa l’offesa

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Art. 38 codice penale del 1889 (codice Zanardelli) “Oltre alle restituzioni e al risarcimento dei danni, il giudice, per ogni delitto che offenda l'onore della persona o della famiglia, ancorché non abbia cagionato danno, pub assegnare alla parte offesa, che ne faccia domanda, una somma determinata a titolo di riparazione”.

336 Art. 7 codice di procedura penale del 1913 “Il reato può produrre azione civile per il risarcimento del

danno e per le restituzioni.

I delitti contro la persona e quelli che offendono la libertà individuale, l’onore della persona o della famiglia, l’inviolabilità del domicilio o dei segreti, anche se non abbiano cagionato danno, possono produrre azione civile per riparazione pecuniaria”.

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all’ordine giuridico e maggiormente sentito il bisogno di una più energica repressione con carattere anche preventivo”.

Da tutto questo emerge una prima osservazione: il danno non patrimoniale, come quello patrimoniale, è solo un effetto dell’illecito, un “danno conseguenza”. Risarcire un danno non patrimoniale significa perseguire scopi di maggior repressione e prevenzione estranei al risarcimento degli altri tipi di danno. La Corte Costituzionale, tenuto conto di queste considerazioni afferma che, se l’art. 2059 cod. civ. è da riferirsi al solo danno morale, esso si sarebbe dovuto applicare solamente quando dall’illecito civile costituente anche reato fosse derivato appunto un danno morale.

A questo punto la Corte si trova a dover distinguere il danno biologico da quello morale e patrimoniale in senso stretto, e lo fa ponendo una distinzione preliminare, quella tra danno- evento (di cui fa parte il danno biologico) e danno-conseguenza (a cui appartengono danno morale e patrimoniale). In sostanza si è separato il fatto costitutivo dell’illecito extracontrattuale dalle conseguenze dannose dell’illecito stesso. Il fatto illecito infatti può essere visto anche come formato da comportamento, evento e nesso di causalità tra i primi due. È vero che ogni danno astrattamente considerato può essere visto come una conseguenza (infatti anche l’evento dannoso o pericoloso è conseguenza della condotta illecita), tuttavia è possibile (e doveroso) distinguere l’evento naturalistico che pur essendo conseguenza del comportamento, è comunque un aspetto costitutivo del fatto, dalle conseguenze dannose di quest’ultimo, legate al fatto illecito nel suo complesso (e quindi anche all’evento) da un ulteriore nesso causale. Possiamo dire che il comportamento è il momento dinamico e l’evento quello statico del fatto costitutivo dell’illecito, e da quest’ultimo vanno tenute nettamente distinte le conseguenze dell’intero fatto illecito, connesse si al medesimo, ma da un nesso di causalità ulteriore e diverso.

Tale premessa ci porta quindi a poter affermare ora che il danno biologico coincide con l’evento del fatto lesivo del bene della salute, mentre danno morale e patrimoniale devono essere ascritti alla categoria del danno conseguenza. In sostanza la menomazione all’integrità psico-fisica della vittima (il danno biologico) è una cosa diversa e non equiparabile al momento del turbamento psicologico (danno morale): la prima costituisce l’evento interno al fatto illecito legata sia al comportamento che al danno morale ma da due rapporti causali differenti. Il danno biologico è un danno specifico perché si identifica con un particolare tipo di evento, il danno morale al contrario si sostanzia nel transitorio

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turbamento psicologico del danneggiato; è il danno conseguenza del fatto illecito che ha leso la salute e che può derivare da una serie numerosa di eventi. Il danno morale e quello patrimoniale (anch’esso derivante da più eventi tipici) sono entrambi delle condizioni obiettive e necessarie di risarcibilità.

La Consulta poi proseguendo con le sue argomentazioni afferma che è possibile usare indifferentemente il termine danno biologico o fisiologico, perché entrambe le espressioni pongono l’accento sull’evento naturalistico interno alla struttura del fatto lesivo della salute. Non è altrettanto corretto invece utilizzare la nozione di “danno alla salute”, perché il termine “salute” richiama in primis il bene giuridico tutelato dall’art. 32 Cost. e offeso dal fatto che ha causato la menomazione dell’integrità psicofisica. La lesione alla salute è l’antigiuridicità intrinseca al danno biologico stesso, posta su un altro piano rispetto a quello naturalistico; è più corretto parlare di “lesione” alla salute intesa come bene giuridico costituzionalmente protetto. Tenuto conto di ciò, se dalla lesione alla salute deriva un danno morale come ulteriore conseguenza rispetto alla menomazione psicofisica e il fatto realizzativo del danno si sostanzia in un reato, allora può essere applicato l’art. 2059 cod. civ..

È a questo punto che la Corte compie la svolta che affida una collocazione normativa vera e propria al danno biologico; essa infatti afferma: “se nell’ordinamento non esistessero altre norme o non fossero rinvenibili altri principi relativi al danno biologico e, pertanto, quest’ultimo fosse risarcibile solo ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. e cioè, salve pochissime altre ipotesi, soltanto nel caso che il fatto costituisca (anche) reato e relativamente ai soli (conseguenti) danni morali subiettivi, si porrebbe certamente il problema della costituzionalità dell’art. 2059 cod. civ.. Come lo stesso problema si porrebbe se… si ritenesse che il risarcimento del danno alla salute fosse riconducibile esclusivamente al combinato disposto degli artt. 2059 cod. civ. e 185, secondo comma, c.p.. L’art. 32 Cost., come si preciserà meglio oltre, verrebbe vanificato da una normativa ordinaria che ricondurrebbe il danno alla salute ai soli artt. 2059 cod. civ. e 185 c.p.. Esiste, tuttavia, un’altra strada per soddisfare adeguatamente le esigenze poste dalla giurisprudenza in ordine al danno biologico”.

Tale altra strada prospettata dalla Corte nella sentenza del 1986 è quella espressa dalle parole “soltanto il collegamento tra l’art. 32 Cost. e l’art. 2043 cod. civ., imponendo una lettura costituzionale di quest’ultimo articolo, consente di interpretarlo come comprendente il risarcimento del danno biologico: è la lettura costituzionale dello stesso articolo,

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correlato con l’art. 32 Cost., che soddisfa le esigenze sottostanti a tutte le tesi proposte in materia”. La Consulta definisce l’art. 2043 cod. civ. come una “norma in bianco” dal momento che individua un’obbligazione risarcitoria come conseguenza del fatto illecito ma non indica i beni giuridici che non possono essere lesi; la norma parla unicamente di ingiustizia del danno, ed è da questa che ricaviamo l’illiceità oggettiva che deve sussistere perché sorga l’obbligo di risarcimento. L’art. 2043 cod. civ. è una norma giuridica secondaria che per essere applicata necessita della violazione di una norma giuridica primaria; l’art. 2043 stabilisce le conseguenze del compimento di un atto contra ius, cioè di una violazione della norma primaria.

Se partiamo quindi dal presupposto che il diritto alla salute è stato riconosciuto come fondamentale per l’uomo, l’art. 32 Cost. “completa” l’art. 2043 cod. civ. integrandone il precetto e imponendo un risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla lesione psicofisica.

Il danno biologico quindi è adesso risarcibile grazie al combinato disposto degli artt. 2043 cod. civ. e 32 Cost.; ciò ha comportato una rilettura costituzionale di tutto il sistema codicistico dell’illecito civile, dando luogo alla nascita del danno alla vita di relazione, quello alla sfera sessuale, il danno estetico etc.. Inoltre si è iniziato a considerare casi fino a quel momento ignorati di piccole invalidità permanenti non influenti sul reddito del soggetto, oppure invalidità relative a periodi di malattia temporanea durante le quali il lavoratore ha comunque percepito la retribuzione per intero.

L’art. 32 Cost. fa si che l’art. 2043 cod. civ. non si possa riferire solo e esclusivamente al danno patrimoniale o a quello economico derivanti dalla menomazione psicofisica: questi ultimi sono conseguenze solo eventuali e in ogni caso ulteriori della lesione della salute prodotta dall’intero fatto lesivo comprensivo della menomazione biopsichica.