• Non ci sono risultati.

La tutela prevenzionistica prima dell’obbligo di sicurezza

Nel rapporto di lavoro a differenza delle altre relazioni contrattuali è implicata la persona del prestatore e da ciò emerge l’importanza essenziale della tutela della salute nei rapporti di lavoro. La questione della salubrità dell’ambiente di lavoro e delle misure dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali si è posta fin dagli albori dell’industrialismo, anche se in Italia vi si è prestato attenzione solo verso la fine del XIX secolo. All’epoca iniziavano a operare i c.d. collegi probivirali89

, che avevano la funzione di dirimere sul campo e con giudizio equitativo i conflitti tra padroni e operai. Essi erano concordi nel ritenere che anche in assenza di una normativa specifica che assegni al datore l’obbligo del rispetto dell’incolumità fisica e psichica dei propri dipendenti, tale obbligo possa ugualmente costruirsi attraverso il rinvio ai “principi” del diritto delle obbligazioni90. Il contratto di lavoro infatti iniziava in quegli anni a porsi come categoria autonoma, e contestualmente a ciò si fece sentire l’esigenza di tutelare il diritto alla salute nell’ambito dello svolgimento di tale contratto. Tuttavia dovranno passare quasi quarant’anni prima

89 Il primo di questi collegi fu istituito con la legge 15 giugno 1983 n. 295. Tali collegi dovevano assolvere,

istituzionalmente, la funzione in precedenza svolta da collegi arbitrali episodicamente costituiti per la soluzione dei primi conflitti tra capitale e lavoro originati dalla rivoluzione industriale: i collegi dovevano mirare soprattutto alla composizione amichevole delle controversie di lavoro.

La composizione dei collegi era paritaria tra rappresentanti, eletti dalle rispettive categorie, degli industriali e degli operai, mentre il Presidente, uno effettivo ed uno supplente, era nominato con decreto reale su proposta del Ministro dell’agricoltura, industria e commercio, e scelto fra i funzionari dell’ordine giudiziari e fra coloro che potevano essere nominati conciliatori. L’istituzione dei probiviri non era obbligatoria per tutto il territorio nazionale e per tutte le specie d’industria ma era disposta, a seguito di un complesso procedimento, per decreto reale che doveva determinare l’industria o le industrie per le quali si istituiva il collegio, la sua sede, la sua circoscrizione e il numero dei componenti.

Ciascun collegio si articolava in un Ufficio di conciliazione per il componimento amichevole delle controversie, ed in una Giuria. L’assistenza o rappresentanza di un difensore tecnico era implicitamente esclusa e la gratuità del giudizio era assicurata dall’ esenzione di qualsiasi tassa di bollo e registro. Ove il collegio dei probiviri non fosse stato istituito o la controversia eccedesse i suoi limiti di competenza, restava ferma la giurisdizione del giudice ordinario.

90 O. M

AZZOTTA, Salute e lavoro, inBUSNELLI-BRECCIA (a cura di), Il diritto alla salute, Bologna, 1979, pag. 35.

40

che le opinioni espresse dai collegi di probiviri trovino attuazione nell’art. 2087 cod. civ. e soprattutto nei vari decreti riguardanti la tutela della sicurezza sul lavoro. Nei primi anni del Novecento si hanno solo pochi interventi normativi settoriali e finalizzati per lo più a riparare i danni subiti dai lavoratori a causa di ambienti di lavoro estremamente insalubri. Ad esempio, il R.D. 18 giugno 1899 n. 230, contenente un regolamento generale per la prevenzione contro gli infortuni, apportava una tutela solo parziale, perché si applicava solo al settore industriale e solo alle grandi imprese. Altrettanto settorializzati erano altri due decreti, il R.D. 18 giugno 1899 n. 231 e il R.D. 27 maggio 1900 n. 205, che si applicavano rispettivamente nel settore minerario e in quello delle imprese edili. Solamente con l’art. 3 del T.U. del 190491

si ebbe una norma generale che esprimeva il principio secondo chi era a capo di un’ impresa avrebbe dovuto adottare tutte le misure prescritte dalle leggi e dai regolamenti per prevenire gli infortuni e per proteggere l’integrità psicofisica degli operai. Il problema è che questa disposizione si trovava inserita all’interno di una normativa volta all’introduzione dell’assicurazione obbligatoria contro danni alla salute già accaduti; non era dunque idonea a consentire l’inserimento all’interno del contratto di lavoro dell’obbligazione preventiva di sicurezza.

Nella prima metà degli anni ’50 si riesce finalmente a gettare le basi di un vero e proprio sistema prevenzionistico, con tre interventi normativi che possiamo considerare un punto di partenza; il D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, il D.P.R. 7 gennaio 1956 n. 164, il D.P.R. 19 marzo 1956 n. 303. E’ con queste disposizioni che si da vita a quello che è il nostro modello prevenzionistico, caratterizzato dalla bipolarità. Da un lato infatti abbiamo il codice civile con l’art. 2087 cod. civ., dall’altro la legislazione speciale varata negli anni ’50 del secolo scorso e seguita da tutta un’altra serie di interventi successivi. Il primo dei suddetti D.P.R. detta la disciplina della prevenzione degli infortuni sul lavoro, il D.P.R. n. 164/1956 invece riguarda la prevenzione degli infortuni sul lavoro nell’ambito delle costruzioni e infine il D.P.R. n. 303/1956 detta una normativa generale per mantenere un ambiente di lavoro il più salubre possibile. Tali norme contengono una serie di minuziose regole tecniche da osservare ad esempio nel caso di impiego di particolari sostanze potenzialmente nocive, indicano le cautele necessarie per la protezione delle parti esposte delle macchine, specificano le condizioni necessarie per mantenere salubre l’ambiente di lavoro. Il problema di queste previsioni normative è l’eccessiva genericità; lasciavano all’interprete un margine di discrezionalità troppo vasto, prestandosi così a essere

41

facilmente eluse. In particolare i decreti n. 547/1955 e il n. 303/1956 contenevano termini quali “normalità” ambientali, ovvero rinviavano astrattamente alla “tecnica”, ovvero ancora, delimitavano l’impiego delle misure di prevenzione entro i limiti di “possibilità”92

. Le disposizioni del 1955 e 1956 come molte che le seguirono e che riguardavano sempre il diritto prevenzionistico condizionavano l’effettività delle misure di sicurezza alla compatibilità di queste con esigenze organizzative e produttive dell’impresa. La prospettiva della protezione si ribaltava completamente, dal momento che proprio le esigenze dell’impresa in funzione della cui pericolosità è disposta la normativa prevenzionistica diventavano un limite alla garanzia del rispetto dell’integrità psicofisica dei lavoratori.

1.2. Il decreto legislativo n. 626/1994.

I decreti del 1955 e 1956, assieme alle altre disposizioni prevenzionistiche, ebbero scarso successo. In fabbrica e nel ramo edilizio gli infortuni sul lavoro non diminuirono, le norme contenute nei decreti sostanzialmente non erano applicate. Negli anni ’90 le cose iniziarono a cambiare in seguito alla ricezione di alcune direttive dell’allora Comunità europea93. La normativa comunitaria ha rappresentato un gradino evolutivo fondamentale per l’ambito prevenzionistico. Il suo scopo era quello di armonizzare gli standard di tutela, cosa che si è tentato di fare con gli interventi legislativi degli anni ’90 del secolo scorso. Inizialmente tali interventi erano rivolti a quei settori lavorativi comportanti l’esposizione a particolari fattori di rischio, come ad es. la protezione dei lavoratori contro gli effetti negativi di agenti chimici, fisici e biologici di cui al D.Lgs. n. 277/1991 e al D.Lgs. n. 77/1992. Successivamente è stato emanato il D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626, con cui si è dato corso alla storica opera di sistemazione delle fattispecie legali preesistenti entro un nuovo modello prevenzionistico che fosse in grado di superare anche l’obsolescenza delle tecniche di tutela sperimentate fino a quel momento.

92 O. M

AZZOTTA, Salute e lavoro, in BUSNELLI-BRECCIA (a cura di), Il diritto alla salute,Bologna, 1979, pag. 45.

93 Ad es., direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE,

90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 95/63/CE, 97/42/CE, 98/24/CE, 99/38/CE, 99/92/CE, 2001/45/CE, 2003/10/CE, 2003/18/CE e 2004/40/CE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro.

42

La norma prevede innanzitutto l’obbligo della valutazione del rischio, o risk assessment, da parte del datore di lavoro. La valutazione del rischio è la base dell’approccio europeo per la prevenzione sul lavoro e delle malattie professionali. Essa consiste nell’assicurarsi che siano esaminati tutti i rischi pertinenti all’attività, non solo quelli ovvi e immediati, verificando l’efficienza delle misure adottate, documentando gli esiti della valutazione e provvedendo regolarmente alla revisione della valutazione per garantire che rimanga aggiornata. Tale valutazione va svolta basandosi sugli elementi scientifici a disposizione e in modo indipendente, trasparente e obiettivo. È un processo che si dipana in quattro fasi: individuazione del pericolo, caratterizzazione del pericolo, valutazione dell’esposizione al pericolo, caratterizzazione del rischio. Rispetto alla normativa precedente oggi il datore di lavoro non è un semplice “debitore di sicurezza” nei posti di lavoro ma responsabile partecipativo di un processo di miglioramento delle condizioni di salute nei luoghi di lavoro attraverso una periodica valutazione dei rischi, contenuta in un documento apposito94, che oltre a determinare i requisiti oggettivi di sicurezza considera anche gli aspetti organizzativi legati all’esercizio dell’attività.

Altra importante novità introdotta dal D.Lgs. n. 626/1994 è l’istituzione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Questi sono persone elette o designate per rappresentanza dai lavoratori e si occupano di quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro, durano in carica tre anni (salvo che non sia diversamente stabilito dal contratto di lavoro collettivo). Costituiscono un ponte tra il datore di lavoro ed i lavoratori; chi svolge tale ruolo deve pertanto essere presente in azienda, saper ascoltare le esigenze dei lavoratori, collaborare con il datore di lavoro nell’adempiere ad alcuni obblighi, tra i

94 Art. 4 D.Lgs. n. 626/1994 “Obblighi del coordinatore per la progettazione.

Durante la progettazione esecutiva dell'opera, e comunque prima della richiesta di presentazione delle offerte, il coordinatore per la progettazione:

a) redige o fa redigere il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 12 e il piano generale di sicurezza di cui all'articolo 13;

b) predispone un fascicolo contenente le informazioni utili ai fini della prevenzione e protezione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, tenendo conto delle specifiche norme di buona tecnica e dell'allegato II al documento U.E. 260/5/93.

Il fascicolo di cui al comma 1, lettera b), è preso in considerazione all'atto di eventuali lavori successivi sull'opera.

Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri dell'industria, del commercio e dell'artigianato, della sanità e dei lavori pubblici, sentita la Commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni e per l'igiene del lavoro di cui all'articolo 393 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, come sostituito e modificato dal decreto legislativo n. 626/1994, in seguito denominata commissione prevenzione infortuni, possono essere definiti i contenuti del fascicolo di cui al comma 1, lettera b)”.

43

quali ad esempio quello della redazione del documento di valutazione dei rischi. Deve avere una formazione specifica e disporre di tempi e mezzi necessari per svolgere i propri compiti. Il rappresentante gode delle medesime tutele garantite per le rappresentanze sindacali, di conseguenza ad esempio non può subire pregiudizi a causa dello svolgimento della sua attività. Come emerge dal decreto, il rappresentante può accedere ai luoghi di lavoro e a tutta la documentazione che riguarda la sicurezza dei lavoratori, riceve le informazioni provenienti dai servizi di vigilanza e deve essere preventivamente consultato in ordine a ogni questione che possa avere a che fare con la sicurezza. Può anche far ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e i mezzi utilizzati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute dei prestatori di lavoro.

Infine il D.Lgs. n. 626/1994 ha introdotto un’altra nuova figura: il responsabile del servizio protezione e prevenzione95. Le capacità in possesso del soggetto chiamato a rivestire questo ruolo devono essere sempre adeguate alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività svolte. Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione deve tenersi costantemente aggiornato per essere in grado di far fronte alle nuove possibilità di rischio in cui i lavoratori possono trovarsi a incorrere.