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La nuova tipicità del danno non patrimoniale e il suo confronto con il danno

2. La nuova concezione del danno non patrimoniale e dell’art 2059 cod civ

2.1. La nuova tipicità del danno non patrimoniale e il suo confronto con il danno

Secondo quanto affermato da una prima elaborazione dottrinale degli anni ’90 il danno esistenziale è un pregiudizio non patrimoniale che non attiene alla sfera interiore del sentire (pati) ma alla sfera del fare “areddituale” del soggetto. Questa tesi è stata creata per ampliare la sfera di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, seguendo la stessa via già percorsa per il danno biologico: anche nel caso del danno esistenziale infatti, per svincolarsi dai limiti imposti dall’interpretazione dell’epoca dell’art. 2059 cod. civ. si è scelto l’art. 2043 cod. civ. come norma regolatrice della materia, inteso come articolo di riferimento non solo del danno patrimoniale ma anche di quello non patrimoniale attinente alla persona. Nel caso in cui il fatto illecito avesse limitato le attività realizzatrici della persona obbligandola ad adottare comportamenti che normalmente non avrebbe tenuto nella vita di tutti i giorni si sarebbe realizzato, secondo la tesi appena illustrata, un nuovo tipo di danno diverso da quello biologico, definito esistenziale. Per esprimere il pregiudizio che tale nuova figura di danno comportava si iniziarono a usare espressioni quali “alterazione della vita di relazione”, “perdita della qualità della vita”, “compromissione della dimensione esistenziale della persona”. Sono tutte formule che indicano una condizione che non consiste in una sofferenza (e che quindi non possono nemmeno rientrare nel generico danno morale cui si faceva riferimento allora) ma nel mero non poter più fare le cose secondo il metodo adottato fino a quel momento. È ovvio poi che mancando una lesione all’integrità psicofisica non si poteva nemmeno ricondurre il tutto al danno biologico.

Il danno esistenziale veniva inserito nel sistema dell’art. 2043 cod. civ. individuando un pregiudizio non accompagnato necessariamente dalla ricerca, ai fini del requisito dell’ingiustizia del danno, dell’interesse giuridicamente rilevante leso dal fatto illecito. La giurisprudenza di merito, favorevole a risarcire il danno esistenziale indipendentemente da eventuali indagini sull’ingiustizia del danno, non aveva recepito tale carenza, rilevata invece dalla Corte di Cassazione già prima delle storiche sentenze gemelle del 2003. Già con la pronuncia del 7 giugno 2000, la n. 7713, pur ammettendo il ricorso al danno esistenziale riconducendolo al collegamento tra l’art. 2043 cod. civ. e le norme della

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Costituzione344 (così come avveniva per il danno biologico), il giudice delle leggi ravvisò in ogni caso il fondamento della tutela nella lesione (integrante un danno evento) del diritto costituzionale del figlio a ricevere educazione e istruzione. La pronuncia è nettamente contraria quindi alla tesi che primeggiava nelle sentenze dei giudici di merito secondo cui il danno esistenziale sarebbe una categoria generale risarcibile indipendentemente dal fatto che sia stato leso un interesse rilevante.

Altre decisioni hanno poi riconosciuto il danno esistenziale nell’ambito del rapporto di lavoro, quindi in tema di responsabilità contrattuale. Ad esempio è stato riconosciuto il danno esistenziale da mancato godimento del riposo settimanale345 o quello da demansionamento346; in queste ipotesi si ravvisa la lesione di diritti fondamentali del prestatore di lavoro, dunque la risarcibilità è correlata a un’ingiustizia costituzionalmente qualificata.

Alla diffusione del danno esistenziale hanno contribuito in misura rilevante anche i giudici di pace che hanno concesso risarcimenti in relazione spesso a discutibili ipotesi di pregiudizi capaci di alterare il modo di essere delle persone, quali la rottura del tacco di una scarpa, un taglio di capelli errato, il mancato godimento di una partita della propria squadra di calcio trasmessa in tv. È in questo contesto sono intervenute le sentenze della Cassazione del 2003 che hanno fornito una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ.; questa comporta, dal momento che il legislatore ordinario non può porre limiti alla risarcibilità dei diritti costituzionali della persona (in virtù del principio della gerarchia delle fonti), che anche a questi valori va riconosciuta la tutela minima, quella risarcitoria. Argomentando in questo modo il danno non patrimoniale rientra nella sua tipicità, perché esso non è più risarcibile solo nei casi espressamente previsti dalla legge ordinaria ma anche quando sono lesi diritti costituzionali della persona. Di conseguenza, non si può far più riferimento a una generica categoria di danno esistenziale, categoria che per di più non ha mai avuto confini chiari e definiti, poiché in questo modo si finirebbe per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità, anche se apparentemente il danno esistenziale sembrerebbe una categoria tipica, in esso confluiscono fattispecie non previste dal legislatore, e tale situazione non è richiesta dall’art. 2059 cod. civ. che tutela in ogni caso specifici valori della persona ritenuti inviolabili dalla nostra Carta fondamentale.

344 Nel caso di specie, gli artt. 29 e 30 Cost. 345

Vedi ad es. Cass. civ. sez. lav., 3 luglio 2001, n. 9009, in Lavoro e prev. oggi, 2001, 1396, Mass.

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Così il risarcimento del danno non patrimoniale al di fuori dei casi dell’art. 185 c.p. e degli altri casi legislativamente previsti attiene solo alle ipotesi in cui sono lesi valori garantiti dalla Costituzione quali la salute, la famiglia, la libertà di pensiero etc., senza che si individui un generico danno esistenziale, bensì un danno da lesione di quello specifico valore costituzionale.

Quindi in definitiva nell’art. 2059 cod. civ. a seguito della nuova impostazione proposta dalla giurisprudenza cassazionista e costituzionale trovano tutela solo le violazioni gravi di diritti inviolabili della persona non altrimenti rimediabili; è il parere anche del Consiglio di Stato il quale nella pronuncia n. 1096 del 16 marzo 2005 ha riconosciuto che il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 cod. civ. va inteso come una categoria nella quale si collocano tutte le ipotesi in cui si ha la lesione di beni o valori inerenti alla persona ovvero sia il danno morale (danno da reato che si concretizza nel turbamento dell’animo) sia quello biologico in senso stretto (danno all’integrità psicofisica tutelata dall’art. 32 Cost.) sia quello esistenziale (danno derivante dalla lesione a beni non patrimoniali tutelati dalla Costituzione). La giurisprudenza di legittimità ha quindi raggiunto il proprio intento di escludere l’autonoma rilevanza di un danno esistenziale o biologico optando per la risarcibilità di un generico danno non patrimoniale; nonostante ciò però spesso i giudici di merito continuano a pronunciare risarcimenti per le specifiche tipologie di danno su indicate.