• Non ci sono risultati.

Profili di incostituzionalità del T.U n 1124/1965

2. La responsabilità civile del datore di lavoro

2.3. Profili di incostituzionalità del T.U n 1124/1965

Il nuovo testo normativo introdotto con il D.P.R. n. 1124/1965 è stato oggetto di diverse pronunce riguardo la sua legittimità da parte della Corte Costituzionale. Già prima della sua entrata in vigore il Tribunale di Milano sollevò un’ordinanza236

in cui erano indicati alcuni profili di illegittimità del sistema di parziale esonero (allora contenuti nel R.D. 17 agosto 1935 n. 1765) per violazione degli artt. 3237, 35, 38 Cost. La Consulta rispose con la sentenza 9 marzo 1967 n. 22, affermando che, sebbene ritenesse opportuna una nuova strutturazione “dell’intero congegno previdenziale e del relativo sistema di finanziamento” per renderlo più in linea con il contenuto dell’art. 38 Cost., complessivamente l’impianto era da ritenersi valido. Questo perché il parziale esonero dalla responsabilità civile del datore si giustifica con la peculiarità del regime assicurativo, che garantisce al lavoratore infortunato una tutela più ampia di quella consentita dal diritto comune; il lavoratore infatti ottiene il ristoro per il danno (professionale) subito, anche nelle ipotesi di caso fortuito o forza maggiore. L’esito di questa prima questione di legittimità mise in evidenza

235 Dopo alcune oscillazioni iniziali (vedi ad es. Cass. civ., 2 marzo 1988, n. 2222, in Riv. inf. e mal. prof.,

1988, II, 184, che configurava l’azione come surroga) ha prevalso l’orientamento dominante che configura l’azione di rivalsa dell’INAIL come regresso; vedi ad es. Cass. civ., 18 ottobre 1994 n. 8467, in Riv. inf. e

mal. prof., 1994, II, 181; Cass. civ. 7 febbraio 1992, n. 1350, ivi, 1992, II, 46.

236 Ordinanza del 22 aprile 1965.

237 Art. 3 Cost. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione

di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

112

l’importanza del principio del rischio professionale, che arriva a influenzare perfino l’opera della Consulta, che “anziché giudicare della validità costituzionale delle leggi in relazione ai principi e norme costituzionali, in primo luogo l’art. 38 Cost., che non distingue tra lavoratori esposti a rischio e lavoratori non esposti al rischio, ha attribuito alla norma costituzionale la portata desumibile dai principi accolti dal legislatore ordinario che pertanto, finiscono con il coincidere senza residui con i principi costituzionali”238.

Nella formulazione originaria dell’art. 10 D.P.R. n. 1124/1965 l’esonero dalla responsabilità civile veniva meno solo se il datore o coloro che egli aveva incaricato della direzione o sorveglianza del lavoro avessero subito una condanna penale per un reato perseguibile d’ufficio. Nel periodo appena successivo all’entrata in vigore del T.U. il datore veniva di regola esonerato per il delitto di lesioni lievi colpose (che l’art. 590 c.p. considerava perseguibili a querela), mentre la responsabilità civile risorgeva pienamente nei casi di delitti di omicidio colposo (art. 589 c.p.) e lesioni gravi e gravissime colpose (art. 590 c.p.)., ritenute tutte239 perseguibili d’ufficio. Dunque, al di fuori delle ipotesi del comma 5 dell’art. 10 (estinzione del reato per morte del presunto reo o amnistia), per accertare la responsabilità civile del datore era necessaria una sentenza penale di condanna; se mancava, il datore poteva opporre al lavoratore infortunato o all’INAIL il parziale esonero. Questo assetto aveva in realtà già iniziato a vacillare con la sentenza della Corte Costituzionale n. 22/1967, che aveva si confermato la generale validità del sistema, ma al contempo dichiarava la parziale incostituzionalità della norma contenuta nell’art. 4 del R.D. n. 1765 del 1935 (successivamente divenuto art. 10 del D.P.R. n. 1124/1965) nella parte in cui escludeva la responsabilità civile indiretta del datore per gli infortuni sul lavoro derivati da una condotta colpevole, integrante un reato perseguibile d’ufficio, di un suo dipendente che non rivesta la qualifica di preposto, sempre che dal fatto di esso ne debba rispondere secondo il codice civile (art. 2049) e nella parte in cui non consentiva al giudice civile di accertare l’esistenza del fatto-reato nelle ipotesi di pronuncia di estinzione del reato per prescrizione240. A partire da questa pronuncia il giudicato penale di condanna perse il suo ruolo di condizione sine qua non ai fini dell’accertamento della responsabilità civile del datore di lavoro, lasciando gradualmente il posto all’accertamento incidenter

238 S. P

ICCININNO, L’evoluzione tecnologica ed i limiti soggettivi ed oggettivi del rischio professionale, in

Riv., med. leg., VIII, 1986, 680.

239 Almeno fino alla L. n. 689/1981. 240

A. ROSSI, La responsabilità civile del datore di lavoro per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: il sistema di parziale esonero in FACELLO (a cura di), Il sistema di tutela degli infortuni e delle

113

tantum del giudice civile sull’esistenza di un reato perseguibile d’ufficio, che è divenuto

mera condizione dell’azione.

L’impianto originario fu definitivamente capovolto qualche anno dopo, a seguito delle pronunce di illegittimità costituzionale241 che interessarono gli artt. 25, 27 e 28 dell’ormai abrogato codice di procedura penale perché violavano il principio secondo cui il giudicato penale non può produrre effetti erga omnes; i terzi estranei al giudizio non subiscono la sentenza penale (a causa dell’impossibilità giuridica o perché non posti nella condizione di partecipare). Partendo da quest’ultima affermazione, verso la fine degli anni’70 la Consulta venne chiamata a verificare la legittimità degli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 1124/1965 che precludevano l’esercizio dell’azione di regresso da parte dell’INAIL in casi quali le pronunce dibattimentali di assoluzione, le sentenze istruttorie di non doversi procedere, i provvedimenti di archiviazione della notizia di reato242. Le medesime norme furono sottoposte al giudizio di costituzionalità anche nella parte in cui estendevano l’efficacia del giudicato di condanna, pronunciato nei confronti del compagno di lavoro dell’infortunato, al datore che non aveva partecipato al giudizio penale.

La Consulta accolse tutti i profili di incostituzionalità ora elencati, determinando l’ampliamento delle ipotesi di responsabilità civile del datore di lavoro. L’esonero parziale ora si otteneva solo nella circostanza in cui il fatto che ha cagionato l’infortunio non integrasse un reato perseguibile d’ufficio. Con la sentenza del 19 giugno 1981 n. 102 sono stati dichiarati illegittimi gli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 1124/1965 nella parte in cui escludono che l’INAIL possa esercitare in sede civile il diritto di regresso nei confronti del datore di lavoro qualora il processo penale, promosso contro il datore o un suo dipendente per il fatto che ha causato l’evento lesivo, si sia concluso con un’assoluzione, anche se l’istituto assicurativo non ha potuto parteciparvi. Con la stessa pronuncia è dichiarata l’incostituzionalità del comma 5 dell’art. 10 del T.U. nella parte in cui non consente all’INAIL di esercitare il diritto di regresso anche quando il datore o un suo dipendente siano stati prosciolti in sede istruttoria o vi sia stato un provvedimento di archiviazione, e ancora degli artt. 10 e 11 nella parte in cui rendono opponibili nel giudizio di danno a carico del datore civilmente responsabile per fatto di un proprio dipendente, gli accertamenti dei fatti materiali da parte del giudice nel processo penale a carico del

241 Corte Cost., 22 marzo 1971, n. 55, in Foro it., 1971, I, 824 e 1798; 27 giugno 1973, n. 99, in Foro it.,

1973, I, 2009; 26 giugno 1975, n. 165, in Foro it., 1976, I, 36. In pochi anni con queste tre sentenze la Corte Costituzionale ha sancito il divieto che la sentenza possa avere effetti pregiudizievoli su un terzo estraneo al giudizio, in quanto in caso contrario sarebbe violato il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.

114

dipendente (procedimento a cui il datore è rimasto estraneo perché non in grado di intervenire).

Con la sentenza del 30 aprile 1986 n. 118 invece la Corte Costituzionale dichiarò l’incostituzionalità dell’art. 10 comma 5 del D.P.R. n. 1124/1965 nella parte in cui non consente che affinché il lavoratore infortunato possa esercitare l’azione risarcitoria, l’accertamento del fatto di reato possa essere compiuto dal giudice civile anche quando vi sia un provvedimento di archiviazione dell’azione penale, e nella parte in cui, sempre ai fini dell’esercizio dell’azione di risarcimento da parte dell’infortunato, esclude che l’accertamento del fatto che costituisce reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nel caso in cui il processo penale si sia concluso con il proscioglimento del datore o di un suo dipendente in sede istruttoria. Questa seconda pronuncia esplicò i propri effetti totalmente a favore del lavoratore che chiedeva il risarcimento del danno differenziale.

A seguito di queste due sentenze costituzionali la Corte di Cassazione, con numerose pronunce susseguitesi nel tempo, ha ritenuto corretto che “il giudice civile compia un’autonoma valutazione dei fatti posti a base dell’azione di regresso, nell’ambito della quale tuttavia non gli è precluso di trarre utili elementi di prova e di convincimento dell’istruttoria svolta nel processo penale e dagli accertamenti eseguiti in quella sede”243

. Successivamente nel nostro ordinamento si compiva la transizione dal processo penale di tipo inquisitorio a quello di stampo accusatorio, che comportava il passaggio dalla regola della pregiudizialità penale a quella dell’autonomia dei giudizi affidati alla piena cognizione di ciascun giudice; così ora l’opera di emancipazione dell’azione civile di risarcimento del danno promossa dal lavoratore o dell’azione di regresso dell’istituto assicurativo poteva dirsi definitivamente compiuta. Prima che l’azione penale e quella civile fossero separate infatti il rapporto tra processo penale e civile era tale che il secondo veniva sospeso in attesa di conoscere l’esito del primo per salvaguardare il principio di uniformità dei giudicati e di unità della giurisdizione.

115

3. Il danno differenziale e il danno biologico; la sentenza costituzionale n.