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Il danno differenziale e il danno biologico; la sentenza costituzionale n 184/1986

Con il termine danno differenziale si fa riferimento alla somma risarcibile al lavoratore che si ottiene dalla differenza tra quanto versato dall’istituto assicuratore (INAIL) a titolo di indennizzo per infortunio sul lavoro o malattia professionale, e quanto è possibile richiedere al datore di lavoro a titolo di risarcimento del danno in sede civilistica. Le prestazioni erogate dall’INAIL sono infatti percepite per il solo verificarsi dell’infortunio, mentre il risarcimento, oltre all’infortunio, presuppone la qualifica di fatto illecito per il comportamento del datore o di un suo preposto. Per anni la giurisprudenza244 su siffatto risarcimento è stata pacifica; il danno differenziale era composto dal solo danno patrimoniale dovuto alla perdita della capacità lavorativa (oltre al danno morale da reato). Negli anni’80 la visione della questione iniziò a mutare. Sulla scena giurisprudenziale, come già da tempo accadeva in quella dottrinale, inizia a farsi strada una nuova categoria di danno, il c.d. danno biologico. Tale concetto fu delineato in particolare dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 184 del 14 luglio 1986, che individuò il fondamento della risarcibilità del danno biologico nell’integrazione tra art. 32 Cost. e art. 2043 cod. civ., ovvero tra la tutela del diritto alla salute e la sanzione di ogni danno ingiustamente arrecato. La vicenda ebbe inizio quando alla Consulta fu presentata una questione di legittimità costituzionale dell’art. 2059 cod. civ.245

per contrasto con gli artt. 2246, 3, 24247 e 32 Cost., nella parte in cui consentiva la risarcibilità del danno non patrimoniale causato dalla lesione di un diritto costituzionalmente tutelato solamente nei casi in cui il danno derivasse da reato (art. 185 c.p.248). Il pensiero della Corte era che si dovesse evitare di

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Vedi ad es. Cass. civ., 10 maggio 1982, n. 2901, in Riv. it. dir. lav., 1983, II, 393, Mass.

245 Art. 2059 cod. civ. “Danni non patrimoniali.

Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”.

246 Art 2 Cost. “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle

formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

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Art. 24 Cost. “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.

Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.

La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari”.

248 Art. 185 c.p. “Restituzioni e risarcimento del danno.

Ogni reato obbliga alle restituzioni a norma delle leggi civili. Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui.”

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confondere il risarcimento del danno biologico con il risarcimento per danno non patrimoniale espresso dall’art. 2059 cod. civ.; quest’ultimo si riferisce solo ai danni morali soggettivi, quali ad esempio ingiuste perturbazioni dell’animo o sensazioni dolorose, non escludendo la risarcibilità delle lesioni alla salute, anche quelle improduttive di pregiudizio patrimoniale (danni biologici). L’art. 2059 cod. civ. dunque, così interpretato, non contrasta con gli artt. 2, 3, 24 e 32 Cost.; nella definizione di danno non patrimoniale espressa da tale norma sono da ricomprendere unicamente i danni non patrimoniali subiettivi. Nell’idea espressa in questa decisione, il danno biologico è la lesione derivante dall’atto illecito commesso, è una menomazione dell’integrità psico-fisica della persona; il danno morale e quello patrimoniale sono invece danni che possono derivare da quello biologico, come conseguenze. Da tale angolo di visuale il danno biologico costituisce l’essenza del danno alla persona, indipendente da qualunque profilo patrimoniale, risarcibile sempre e comunque, a prescindere dal fatto che il danneggiato lavori o meno o produca o meno reddito o guadagno. Qualora poi ricorrano le condizioni giuridiche saranno risarciti, oltre a quello biologico, anche i danni patrimoniali e morali. La sentenza del 1986 ha poi definito in maniera più ampia il concetto di danno biologico; in esso ora rientrano infatti, oltre al concetto di danno anatomo-funzionale, anche quello di danno estetico, sessuale e alla vita di relazione.

Queste innovazioni non hanno tardato a farsi strada anche nel mondo del diritto del lavoro. La Corte Costituzionale, dai primi anni ‘90, si è pronunciata in favore del risarcimento al lavoratore, da parte del datore, del danno biologico, oltre che di quello patrimoniale (danno differenziale). Con la sentenza del 18 luglio 1991 n. 356249 e con la n. 485250 del 27 dicembre 1991 si è affermato il diritto del lavoratore a ottenere il ristoro del danno biologico di sua esclusiva spettanza e non indennizzato dall’INAIL, da parte del datore di lavoro. Questi d’altra parte non avrebbe potuto usufruire dell’esonero dalla responsabilità

249 In particolare con questa pronuncia la Consulta ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 1916 cod. civ. “nella

parte in cui consente all’assicuratore di avvalersi, nell’esercizio del diritto di surrogazione del terzo responsabile, anche delle somme a titolo di risarcimento del danno biologico”.

250 Nello specifico in tale sentenza la Corte ha dichiarato illegittimo l’art. 10 commi 6 e 7 D.P.R. n.

1124/1965 perché in contrasto con l’art. 32 Cost. “nella parte in cui prevede che il lavoratore infortunato o i suoi aventi causa hanno diritto, nei confronti delle persone civilmente responsabili per il reato da cui l’infortunio è derivato, al risarcimento del danno biologico non collegato alla perdita o riduzione delle capacità lavorativa generica solo se e solo nella misura in cui il danno risarcibile, complessivamente considerato, superi l’ammontare delle indennità corrisposte all’Inail”. Al tempo stesso è stata sancita l’incostituzionalità dell’art.11 commi 1 e 2, “nella parte in cui consente all’Inail di avvalersi, nell’esercizio del diritto di regresso contro le persone civilmente responsabili, anche delle somme dovute al lavoratore infortunato a titolo di risarcimento del danno biologico non collegato alla perdita o riduzione della capacità lavorativa generica”.

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civile per una voce di danno esclusa dalla tutela sociale. L’intervento previdenziale in materia di infortuni sul lavoro perse il suo equilibrio originario, dal momento che il datore, che continuava in ogni caso a versare il premio all’Istituto assicurativo, si vedeva accorciare la copertura dell’esonero, che non copriva più quelle voci di danno (il biologico ma anche il morale), ancora escluse dalla transazione sociale ma che andavano via via assumendo una posizione preminente nella liquidazione del danno alla persona.

La liquidazione di tale danno va effettuata sulla base di criteri equitativi, che hanno il vantaggio di consentire una certa personalizzazione del danno, ma al contempo possono dar luogo a discriminazioni. Il danno biologico viene quindi descritto definitivamente come una menomazione dell’integrità psico-fisica della persona, indipendente dai profili patrimoniali del danno; possiamo dire che esso si riferisce alla sofferenza che la lesione ha comportato nella sfera individuale.

Il lavoratore otteneva in questi casi un trattamento di maggior favore rispetto al comune cittadino; nonostante ciò il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) era fatto salvo in virtù della particolare tutela accordata al lavoratore dalla stessa Cost. all’art. 38.

L’obbligo del datore di risarcire il danno biologico al lavoratore cadeva con la prospettazione secondo cui l’INAIL liquida al lavoratore il solo danno patrimoniale conseguente alla perdita della capacità lavorativa

3.1. Il contributo della legislazione penale.

L’opera del giudice delle leggi svolta attraverso le diverse pronunce di illegittimità costituzionale, ha comportato una graduale riduzione dello spazio operativo riservato al parziale esonero della responsabilità datoriale. Accanto a quest’ultima si pone l’intervento del legislatore, che, anche se indirettamente, ha inciso sulla materia dell’esonero ampliando la sfera di applicazione di quest’ultimo. L’art. 92 della L. 24 novembre 1981, n. 689 ha infatti modificato l’art. 590 c.p. (delitto di lesioni personali colpose); fino a questo momento sia le lesioni gravi che quelle gravissime erano considerate perseguibili d’ufficio, ora invece, con la nuova previsione, tutte le lesioni personali colpose diventano perseguibili a querela, tranne quelle commesse “con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, o relative all’igiene del lavoro o che abbiano

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determinato una malattia professionale”. Questa nuova formulazione dell’art. 590 c.p. ha indirettamente fatto si che si ampliasse la copertura assicurativa garantita dal parziale esonero, dal cui raggio di estensione ora restano fuori le sole lesioni personali colpose gravi o gravissime commesse con violazione di una norma generica o specifica in materia di sicurezza e igiene sul lavoro (ad es. l’art. 2087 cod. civ. o il D.P.R. n. 547/1955). Per tutte le altre forme di lesioni personali colpose (ad es. le fattispecie di reato commesse per imprudenza o negligenza generica) il datore è coperto dal parziale esonero, dal momento che sono perseguibili solamente a querela.