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Vi è inoltre almeno un altro ordine di considerazioni che sembra indurre a disconoscere ipotesi ricostruttive che attribuiscano ai principi supremi il ruolo di “assi piglia-tutto” nel “gioco” del bilanciamento tra principi costituzionali.

In ogni caso rimarrebbe infatti intatto il problema del conflitto tra principi supremi dell'ordinamento: si è visto infatti che il ricorso ai principi supremi affiora nella giurisprudenza della Corte in relazione agli ambiti materiali più disparati, suscettibili quindi di interferire e possibilmente di contrapporsi.

Se già è difficile, come si è visto, riconoscere nella giurisprudenza costituzionale una costante distinzione tra principi supremi e non supremi, sarebbe davvero arduo individuare un ordine di preferenza all'interno degli stessi principi supremi. Non sembra essere ravvisabile, nell'ordinamento italiano, un principio prevalente su tutti, come invece sembra potersi desumere in base alla objektive Wertordnung (ordine oggettivo di valori) della giurisprudenza costituzionale tedesca, che pone al vertice della scala dei valori quello della dignità umana50.

Al contrario, sembra invero difficile non riconoscere che quelli che la Corte costituzionale qualifica come principi supremi dell'ordinamento sono principi che la costituzione stessa limita e contrae attraverso il loro legame con altri principi dotati di pregio costituzionale: in altre parole, non c'è principio costituzionale che non trovi nella costituzione stessa una sua (seppur solo potenziale) antitesi.

Ciò pare derivare dalla funzione propria di una costituzione pluralista51, non nel

senso generico di plurale, inteso come pluralità di ideali rappresentati nei lavori dell'Assemblea Costituente, bensì nel senso specifico di pluralismo dei valori. Tale accezione di 'pluralismo'52, non ha dunque nulla a che fare con la vexata quaestio sul

carattere compromissorio della costituzione53, sulla Costituzione repubblicana come

50Cfr. il noto «caso Lüth», BVerfGE 7, 198, su cui A. CERRI, I modi argomentativi del giudizio di

ragionevolezza delle leggi, in AA. VV., Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Milano, 1994, 131 ss.

51Meriterebbe un approfondimento ben maggiore a quello che vi si potrà dedicare in questi passaggi

l'individuazione della concezione del concetto di pluralismo a cui qui ci si riferisce: basti qui distinguere tra generico pluralismo politico e specifico pluralismo dei valori ultimi: soltanto il pluralismo dei valori ultimi si imbatte nel problema del conflitto incomponibili: cfr. M. BARBERIS, Etica per giuristi, Bari, 2006, 157 ss.

52Indiscutibile è il pluralismo inteso nel suo significato più antico di «pluralità di sostanze»; altra

questione è la possibilità di riconoscere il carattere pluralistico della Costituzione inteso nel senso più moderno del «riconoscimento della possibilità di soluzione diverse per uno stesso problema, o interpretazioni diverse di una stessa realtà o concetto»: così in N. ABBAGNANO, voce Pluralismo, in

Dizionario di Filosofia, Torino, 2ª ed., 1995

53Si veda, da ultimo, A. BARBERA, I principi della Costituzione repubblicana: dal compromesso al

l'incontro tra una «rivoluzione mancata» e una «rivoluzione promessa»54: queste

ricostruzioni, nel tentativo di elaborare degli schemi interpretativi che delineano il contesto nel quale si sarebbe formato l'original intent dei Costituenti sembrano infatti, a ben vedere, nascondere finalità essenzialmente prescrittive.

Il pluralismo nel senso qui inteso vuole invece essere limitato al piano meramente descrittivo, al fine di riconoscere che, tanto nella Costituzione italiana del '47, quanto nella maggior parte delle costituzioni cd. «pluraliste» del dopoguerra, le tensioni tra i principi ivi affermati sono intrinseche nella loro stessa funzione.

Tornando alla distinzione ipotizzata all'inizio del capitolo, si può sostenere che tali frizioni, non sono patologiche ma fisiologiche55, e sembrano confermare l'ipotesi per cui

la costituzione stessa è al contempo strumento e terreno di bilanciamento «in senso lato».

E ciò, invero, non è probabilmente un'invenzione delle costituzioni del secondo dopoguerra, ma risale più profondamente alle radici della storia del costituzionalismo moderno, se già Karl Marx, in riferimento alla Costituzione repubblicana francese della seconda Repubblica, aveva ragione di affermare che «ogni paragrafo della Costituzione contiene [infatti] la sua propria antitesi, la sua Camera alta e la sua Camera bassa: nella proposizione generale, la libertà, nella nota marginale, la soppressione della libertà»56.

Per calare queste affermazioni sul terreno del diritto costituzionale positivo, si pensi all'art. 24 Cost. che sancisce il diritto alla tutela giurisdizionale, e agli artt. 68, 90 e 96 Cost., che fondano diverse forme di immunità di fronte alla giurisdizione: ove c'è immunità, non c'è per definizione spazio alcuno per la tutela giurisdizionale. Oppure all'art. 41, primo comma, Cost. che sancisce la libertà dell'iniziativa economica privata, e all'art. 43 Cost., che prevede la possibilità di riservare originariamente o trasferire allo Stato determinate imprese o categorie di imprese. Oppure si pensi ancora, da un parte, all'art. 3 Cost. che sancisce l'eguaglianza e pari dignità sociale senza distinzione di opinioni politiche, e all'art. 49 Cost. che sancisce il diritto dei cittadini di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, e dall'altra parte all'art. 98, terzo comma, che prevede che con legge possano stabilirsi limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici per determinate categorie di

54Secondo la suggestiva immagine di P. CALAMANDREI, Cenni introduttivi sulla Costituente e sui suoi

lavori, in P. CALAMANDREI - A. LEVI (a cura di), Commentario sistematico alla Costituzione italiana,

Firenze, 1950, vol. I, 35 ss.

55Per dirla con due illustri autori statunitensi, «la natura innegabilmente pluralistica e intimamente

contraddittoria della Costituzione non è una triste realtà; può invece costituirne uno dei maggiori punti di forza»: così L. H. TRIBE - M. DORF, Leggere la Costituzione, Bologna, 2005 (or. 1991), 36.

56K. MARX, Il I8 Brumaio di Luigi Bonaparte, Roma, 1974, 69, cit. in R. BIN, Che cos'è la Costituzione,

in Quad. Cost., 2007, 1, 15. Quest'ultimo osserva che la differenza fondamentale che distingue le Costituzioni liberali e «flessibili», da quelle «rigide» odierne, è appunto la collocazione del conflitto sociale rispetto alla Costituzione: soltanto recentemente infatti, si è pretesto che la Costituzione fosse uno strumento “precedente” al conflitto sociale, intento addirittura a governarlo (ibidem, 16).

pubblici impiegati. Si pensi quindi agli artt. 3, 8, 19 e 20 Cost. che stabiliscono un certo assetto di eguaglianza e libertà delle confessioni religiose, e che pure coesistono con la copertura costituzionale della disciplina concordataria dei rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica di cui all'art. 7 Cost., e con tutto il precipitato normativo che ne deriva57.

Si pensi quindi, da una parte, agli artt. 3 e 51 Cost., che sanciscono il principio di parità di acceso agli uffici pubblici e alle cariche elettive, e dall'altra parte al sistema della cd. «proporzionale etnica» – disposto dallo Statuto del Trentino Alto Adige- Südtirol e ricondotto dalla Corte all'art. 6 della Costituzione58 – in base al quale l'accesso

al pubblico impiego nella Provincia di Bolzano è organizzato secondo la distribuzione demografica dei tre gruppi linguistici59. La proporzionale etnica, al fine di fornire una

speciale tutela per le minoranze alloglotte, riserva peraltro quote di seggi negli organi di rappresentanza politica, locale e nazionale, e influisce dunque sul principio di eguaglianza nel godimento del diritto all'elettorato passivo.

Gli esempi che si potrebbero trarre sono probabilmente infiniti, e in molti di questi sono coinvolti diversi principi che figurano nella giurisprudenza della Corte tra i principi supremi dell'ordinamento: si pensi, tornando agli esempi sopra citati, al principio di pari trattamento davanti alla giurisdizione, che la Corte ha collocato «alle origini della formazione dello Stato di diritto»60 e al quale è la Costituzione stessa a

contrapporre le deroghe derivanti dai regimi di immunità sopra citati; al diritto all'elettorato passivo, incluso dalla Corte tra diritti politici fondamentali nonché tra i diritti inviolabili di cui all'art. 2 Cost.61, e agli effetti distorsivi derivanti

dall'applicazione della cd. proporzionale etnica; oppure, infine, al principio di eguale libertà delle confessioni religiose davanti alla legge, derivabile dagli artt. 3, 7 e 19 Cost., e alla coesistenza di tali coordinate costituzionali con lo speciale regime con cui sono regolati i rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica in base all'art. 7 Cost62.

Queste, a ben vedere, sembrano essere manifestazioni fisiologiche della vita di una costituzione. Si potrebbe pensare che derivino dall'accoglimento, nell'opera dei Costituenti, di quelli che Cass Sunstein ha chiamato “accordi non completamente

57Sulla particolare declinazione che la giurisprudenza costituzionale ha inteso attribuire al principio

supremo di laicità, si veda supra, cap. 2, § 4.3, 95 ss.

58Corte costituzionale, sentenza n. 289 del 1987.

59Sulla compatibilità della «proporzionale etnica» con la Costituzione si è più volte espressa la Corte

costituzionale: ex plurimis, Corte costituzionale, sentenza n. 286 del 1987.

60Corte costituzionale sentenza n. 24 del 2004.

61Per alcuni cenni alla giurisprudenza della Corte che valorizza il diritto all'elettorato passivo come diritto

politico fondamentale, riconosciuto e garantito a tutti come diritto politico fondamentale in condizioni di eguaglianza, vedi supra, cap. 2, § 4.4., 97 ss.

62Sulla giurisprudenza costituzionale volta a costruire il principio supremo di laicità, sintesi dei parametri

teorizzati”63: «questi accordi implicano astrazioni, che vengono accettate tra notevoli

contrasti sui casi particolari»64, e sarebbero fondamentali per garantire il buon

funzionamento delle costituzioni. Vengono raggiunti risalendo a principi più generali rispetto al livello al quale le diverse voci che contribuiscono alla redazione di un testo costituzionale non riescono invece a trovare un accordo. Può quindi ben capitare che, quando i principi sui quali è formato un «accordo non completamente teorizzato» vengano concretizzati nella vita dell'ordinamento, il disaccordo riaffiori nelle forme delle controversie costituzionali, sulle quali la Corte è chiamata a giudicare. In queste operazioni, che Sunstein definisce di «discesa concettuale» verso un livello di astrazione più basso, l'interferenza di certe concezioni dei principi supremi – che pretendono di affermare una superiorità assiologica di quelli rispetto ai principi costituzionali “ordinari” - rischia di vanificare (o almeno di manipolare irreversibilmente) l'opera del Costituente, che ha fatto convivere principi antagonisti nel testo della Costituzione. Di fronte all'inestricabile pluralismo che caratterizza le costituzioni del secondo dopo guerra, a cui non fa eccezione la Costituzione italiana, non sembra esserci ragione perché siano le Corti costituzionali a “completare l'accordo non completamente teorizzato”, stabilendo una sorta di ordine gerarchico e astratto tra i principi antagonisti: non c'è quindi motivo di scandalo se i principi supremi, nella giurisprudenza della Corte costituzionale, non corrispondono allo schema di un bilanciamento definitorio risolto a loro favore65.

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