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3. Principi supremi e bilanciamento «in senso proprio»

3.2. I principi supremi nel bilanciamento: un bilanciamento peculiare?

esempi tratti dalla giurisprudenza costituzionale.

L'ipotesi sopra delineata potrebbe essere sintetizzata in una formulazione “massimalista” quale la seguente: quando la Corte si trovi a bilanciare due principi, dei quali uno sia tra quelli che essa ha qualificato come principi supremi dell'ordinamento28,

questo è imprescindibilmente destinato a prevalere?

Il tipo di interrogativo che ci si pone è di quelli più facili da smentire che non da suffragare: basterà infatti un solo caso contrario per provare che, nel bilanciamento, i principi supremi non prevalgono sempre rispetto ai principi non supremi. E, si vedrà, i casi che negano l'assunto di partenza sono ben più d'uno.

Si prenda, così, il diritto di difesa, sancito come inviolabile dall'art. 24 Cost. ed elevato dalla costante giurisprudenza della Corte a principio supremo dell'ordinamento29: già a partire dalla sentenza n. 5 del 1965 i giudici di Palazzo della

Consulta affermavano che il diritto di difesa non è un «valore assoluto», ma che esso deve poter consentire adattamenti e restrizioni «qualora si appalesino giustificati da altre norme, o da principi fondamentali desunti dal sistema costituzionale»30.

Così, nello stesso senso, la Corte ha dichiarato non fondati i dubbi di legittimità costituzionale di norme che, imponendo al giudice di prendere in considerazione documenti prodotti in giudizio soltanto ove fossero in regola con gli adempimenti fiscali, erano certamente suscettibili di arrecare grave pregiudizio al diritto di difesa dell'imputato31. Ciò è dovuto al fatto che le contrapposte esigenze sono espressione

dell'interesse generale alla riscossione dei tributi, che è «condizione di vita per la

28Non sfugge certo il fatto che accanto a tale interrogativo si possa porre quello relativo al conflitto tra più

principi, tutti qualificati come principi supremi dell'ordinamento: questo ulteriore problema sarà affrontato infra, in questo capitolo, § 4, 155 ss.

29Vedi supra, cap. 2, § 4.1, 88 ss.

30Corte costituzionale, sentenza n. 6 del 1965, punto 3 del c.i.d. 31Corte costituzionale, sentenze nn. 57 del 1962 e 45 del 1963.

comunità»32, ed è anch'esso interesse costituzionalmente pregiato33. Questi esempi

potranno sembrare ovvi e banali, e dimostrano che ovvia e banale è l'esigenza di non considerare a priori alcun principio costituzionale “imbilanciabile”, neppure quelli verso i quali la Corte ha espresso esigenze massime di garanzia.

La soccombenza del diritto alla tutela giurisdizionale, peraltro, pare trovare cittadinanza nella giurisprudenza della Corte addirittura a fronte di esigenze che non sembrano nemmeno di rango costituzionale: laddove la Corte non si è astenuta dal ritenere infondate questioni di legittimità costituzionale di norme limitative (se non totalmente abolitive) del diritto alla tutela giurisdizionale dei non cittadini, a fronte di esigenze di tutela dell'ordine pubblico o della sicurezza dello Stato, della tutela della regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno nel territorio nazionale, dell'integrità delle frontiere34. La soccombenza di principi supremi di fronte a non ben

(costituzionalmente) identificati interessi generali, ridimensiona fortemente la pretesa di poter qualificare i primi come principi sempre prevalenti nel bilanciamento, per quanto questa “giurisprudenza concessiva” della Corte non sia priva di eccezioni35. Ma uno

“sbilanciamento” radicale, empiricamente permanente a favore dei principi supremi si darebbe, appunto, soltanto laddove non fossero ammissibili eccezioni alla loro prevalenza in caso di conflitto con principi non supremi.

Il diritto alla tutela giurisdizionale, peraltro non è l'unico caso, nella giurisprudenza della Corte, di principio contemporaneamente «supremo» e «occasionalmente soccombente» nel bilanciamento con altri principi non supremi. Così, ad esempio, nella sentenza n. 94 del 1985, si afferma (dato ricorrente nella giurisprudenza costituzionale) che la tutela del paesaggio rientra tra i principi fondamentali dell'ordinamento, essendo un «valore primario» dell'ordinamento, e dall'altra parte che la medesima tutela del paesaggio «presuppone, normalmente, la comparazione e il bilanciamento di interessi diversi»36.

Lo stesso vale per il principio di libertà personale, «inviolabile» nel testo della Costituzione e rientrante tra i «valori supremi»37 nella giurisprudenza costituzionale.

Nella famosa sentenza n. 15 del 1982, pronunciata dai giudici di Palazzo della Consulta sulla legislazione d'emergenza per contrastare il fenomeno del terrorismo, e riguardante, nel caso di specie, l'allungamento della durata massima dei termini della carcerazione

32Corte costituzionale, sentenza ult. cit., punto 3 del c.i.d. 33Corte costituzionale, sentenza b. 45 del 1963, punto 3 del c.i.d.

34Su questi temi cfr. A. PUGIOTTO, «Purché se ne vadano». La tutela giurisdizionale (assente o carente)

nei meccanismi di allontanamento dello straniero, in Dir. Soc., 2009, 3-4, 483 ss., particolarmente 497 ss.

35La stessa dottrina ha osservato infatti che è possibile rintracciare alcune «prese di posizione perentorie

nell'escludere che la tutela giurisdizionale dello straniero possa essere sacrificata sull'altare della sicurezza e dell'ordine pubblico compromessi da flussi migratori incontrollati: cfr. sentenza n. 222/2004, ma anche n. 34/1995»: A. PUGIOTTO, op. ult. cit., 529, sub nota 189.

36Corte costituzionale, sentenza n. 94 del 1985, punto 3 del c.i.d. 37Corte costituzionale, sentenza n. 238 del 1996, punto 3.1 del c.i.d.

preventiva, la Corte rende una dimostrazione molto significativa del grado di elasticità a cui possono essere sottoposti i principi supremi. La questione, infatti, viene dichiarata non fondata, «benché i dati posti in evidenza nella prospettazione suscitino immediato e profondo turbamento»38, concedendo un rilevo centrale al carattere emergenziale della

misura: le norme in questione sono considerate un ragionevole bilanciamento dei principi costituzionali coinvolti, in quanto «di fronte ad una situazione di emergenza, quale risulta quella in argomento […] Parlamento e Governo hanno non solo il diritto e potere, ma anche il preciso e indeclinabile dovere di provvedere»39. Ma è la Corte stessa

ad avvertire che il bilanciamento che in quel momento si considera ragionevole, in altro momento potrebbe non esserlo stato, o non esserlo più: l'emergenza «legittima, sì, misure insolite, ma […] queste perdono legittimità, se ingiustificatamente protratte nel tempo»40.

È evidente come in questa sentenza la Corte ricalibra la misura del peso dei principi coinvolti, applicando il metro dell'emergenza. Autorevoli commentatori hanno fornito valutazioni diverse del metodo attraverso il quale la Corte giunge a tale rimodulazione: una certa lettura41 ne ha estratto un «segnale positivo a difesa della democraticità del

sistema, pur in una fase critica della gestione del potere»42; mentre per un'altra lettura

era importante sottolineare che si era applicata in questo caso «una ragionevolezza “specifica”»43 che travalicava la ragionevolezza “ordinaria”, alla misura della quale il

legislatore non avrebbe potuto spingersi così in là. Quel che conta, ai fini del presente lavoro, è che resta incontestata la liceità della compressione “ai minimi termini” dei diritti costituzionali coinvolti dalla legislazione emergenziale. Rileva, dunque, il fatto di aver ritenuto che «la Costituzione potesse acquisire capacità di risposta a situazioni straordinarie, e, quindi, una certa elasticità attraverso il richiamo a principi non espressamente statuiti nel suo testo»44.

E non è indifferente il fatto che, «attraverso il richiamo a principi non espressamente statuiti», si sia ritenuto ammissibile comprimere un diritto che non solo trova espressa statuizione nel testo della Costituzione, ma al quale la medesima attribuisce expressis

verbis la garanzia dell'inviolabilità, e che la giurisprudenza costituzionale ha inteso

ricondurre ai «valori supremi dell'ordinamento».

A queste esemplificazioni si potrebbe opporre il classico argomento della distinzione tra contenuto essenziale di un diritto, e le diverse esplicazioni accidentali da esso derivate45. Queste ultime non sarebbero irrinunciabili, mentre soltanto il contenuto

38Corte costituzionale, sentenza n. 15 del 1985, punto 3 del c.i.d. 39Ibidem, 5 c.i.d.

40Ibidem, 7 c.i.d.

41L. CARLASSARE, Una possibile lettura in positivo della sent. n. 15?, in Giur. Cost., 1982, 98 ss. 42Ibidem, 104.

43A. PACE, Ragionevolezza abnorme o stato d'emergenza?, in Giur. Cost., 1982, 111.

44S. BARTOLE, Interpretazioni e trasformazioni della Costituzione repubblicana, Bologna, 2004, 320. 45Non si può tacere che tale configurazione è sposata proprio dalla giurisprudenza costituzionale sui

minimo del diritto a cui presidio si pone il principio supremo sarebbe intangibile e non bilanciabile.

La distinzione tra nucleo duro e declinazioni accidentali dei principi supremi sembra suscettibile di porre le base di un'irenica convivenza di principi e diritti costituzionali: il problema è che una tale ricostruzione pare viziata da un ricorso a «”figurini” dei diritti»46 che sembrano più opportunamente collocabili nell'ideologia che non tra gli

strumenti d'analisi del diritto. In altre parole, distinguere tra il contenuto essenziale di un diritto e il suo contenuto accidentale sembra un'operazione che funziona bene soltanto astrattamente: in concreto, è inevitabile che di un diritto costituzionale si rendano rilevanti soltanto alcune delle «ondate»47 di diritti da esso derivabili. E così come è

difficile (forse impossibile) individuare in astratto un “contenuto essenziale”, ad esempio, del diritto alla tutela giurisdizionale, se anche tale contenuto fosse predeterminato dallo stesso legislatore, è assai improbabile che esso si presenti come tale all'interno di un conflitto: le particolarità del caso, lo manifesteranno per definizione in una sua forma “non essenziale”. Come è stato detto, insomma, «raramente il conflitto vede contrapposti i nuclei essenziali di due diritti»48. L'inutilità della categoria del

contenuto essenziale (dei principi supremi e dei diritti fondamentali), ai fini della sistemazione del bilanciamento, e in particolare – per quel che rileva ai fini del presente discorso – l'impossibilità logica di identificare un contenuto essenziale che sia sottratto al bilanciamento, oppure che nel bilanciamento prevalga sempre, è determinato, in ultima analisi, da un fatto: è soltanto attraverso il bilanciamento che si determina qual è, caso per caso, il contenuto essenziale di un determinato principio o diritto. In altre parole, «il contenuto essenziale di un diritto ha un peso diverso a seconda della fonte della possibile lesione, e può essere identificato solo a seguito di un bilanciamento»49.

principi supremi: così, nella più volte citata “sentenza manifesto” n. 1146 del 1988, punto 2.1. c.i.d., si afferma che i principi supremi «non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale». Ciononostante, sull'utilità della nozione di contenuto essenziale del principio (o forse meglio, del diritto derivato da quel principio) a guidare l'interprete nella risoluzione di questi “conflitti al vertice dell'ordinamento”, ci sarà modo di avanzare qualche perplessità.

46R. BIN, Diritti e fraintendimenti, cit., 25. L'impossibilità di fotografare con esattezza il contenuto

essenziale del diritto pare derivabile dall'impossibilità di individuare una volta per tutte la definizione del “diritto”, che «non è come una pentola, rispetto alla quale un determinato fenomeno sta dentro o fuori,

tertium non datur. Si comporta piuttosto come un ombrello durante un forte acquazzone: vi è un punto in

cui la protezione è massima, e poi, via via che ci si allontana da esso, la tenuta diviene sempre meno efficiente; è persino difficile dire in che punto si è totalmente fuori dall'ombrello, anche perché in buona parte dipende dal vento» (ivi, 17).

47Così J. WALDRON, Rights in Conflict, in Ethics, 1989, 99, 503 ss. 48G. PINO, Conflitto e bilanciamento fra diritti fondamentali, cit., 264. 49G. PINO, Diritti e interpretazione, cit., 214.

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