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cd. «dottrina Ciampi». – 3. Svolgimento. Uno sguardo ai parametri dei rinvii (con particolare attenzione a quelli dei Presidenti a «regime maggioritario»). – 3.1. Il parametro dei rinvii dopo la «svolta maggioritaria». – 4. Conclusione: una tesi indimostrata.

1. Ipotesi: principi supremi e attribuzioni presidenziali.

Nei precedenti capitoli si è cercato di dare conto di come un'indagine della problematica dei principi supremi dell'ordinamento svolta sul piano dottrinale apra più interrogativi di quanti non ne risolva. Parimenti si è cercato di dare conto delle ragioni per cui nemmeno affidandosi alla giurisprudenza della Corte si riescano ad individuare coordinate certe in merito all'individuazione dei principi supremi dell'ordinamento.

Ciononostante sarebbe un errore di valutazione ignorare i maggiori risultati che derivano da un accesso alla problematica dei principi supremi attraverso le lenti della giurisprudenza costituzionale: se infatti le dottrine dei principi supremi, applicando metodi interpretativi diversi, sono giunte a esiti ermeneutici contraddistinti da un'eterogeneità che potrebbe dirsi al limite della schizofrenia1, nella giurisprudenza

costituzionale si rintracciano degli elementi ricorrenti che, pur non essendo idonei a consentire di stilare un elenco determinato di principi supremi2, forniscono coordinate

1Vedi supra, cap. 1, particolarmente § 2.2, 16 ss.

2Un elenco predeterminato che attenta dottrina ha osservato essere difficilmente compilabile: cfr. A.

PIZZORUSSO, sub Art. 138, in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna- Roma, 1981, 723. Le ragioni per le quali non è da ritenersi né utile, né sistematicamente praticabile la compilazione di un elenco predeterminato di principi supremi saranno approfondite infra, cap. 5, § 5, 192 ss.

più precise.

In questo senso può essere utile perseverare su questa strada, indagando se attraverso la prassi di altri organi costituzionali sia possibile individuare indizi per risalire a una gradazione “verticale” dei principi costituzionali. Accanto alla giurisprudenza della Corte, l'organo la cui prassi sembra poter essere più promettente per condurre una tale indagine, è certamente il Capo dello Stato.

La giustificazione di questa scelta presupporrebbe una compiuta analisi della posizione e del ruolo del Capo dello Stato nell'ordinamento repubblicano: si comprenderà che una tale indagine condurrebbe ben oltre il fuoco della presente ricerca, e forse – a ben vedere – la sua chiarificazione non sarebbe comunque strettamente necessaria alla funzione che, nell'economia complessiva dell'indagine che qui si sta svolgendo, l'analisi della prassi presidenziale comporta: in altre parole, che il Capo dello Stato sia potere neutro o potere politico, che questi detenga o non detenga una funzione di indirizzo politico o politico-costituzionale, che eserciti funzioni di «garante giuridico» o «garante politico» della costituzione3, non cambia in modo decisivo la sua idoneità a

essere un organo che si pone a presidio dei principi supremi dell'ordinamento.

La faticosa premessa, a cui si è detto di voler rinunciare, in fondo è resa superflua dallo stesso carattere sperimentale della presente indagine: si ipotizzerà che l'esercizio dei poteri del Presidente della Repubblica possa essere indirizzato a tutelare i principi supremi dell'ordinamento e si verificherà se una tale ipotesi possa trovare rispondenza nella prassi presidenziale.

Non sfugge, e non si vuol nascondere, una certa fallacia che sta alla base di questo tentativo: non essendo chiaro cosa e quali siano i principi supremi dell'ordinamento, si ipotizza di andarli a cercare nella prassi presidenziale: “cercare che cosa?”, è la candida obiezione che sembra potersi opporre immediatamente a questo modo di procedere, essendo proprio quel che si cerca il problema di partenza. A tale fallacia rispondono le considerazioni svolte in sede di introduzione4: non si cerca qui di rispondere a domande

ontologiche sui principi supremi, bensì di capire se e come funzionino i margini

3Il riferimento è, ancora, alla nota contrapposizione tra la ricostruzione, rispettivamente, di H. KELSEN,

Chi deve essere il custode della Costituzione?, in La giustizia costituzionale (1928), Milano, 1981,

particolarmente 229 ss. e C. SCHMITT, Der Hüter der Verfassung, Berlin, 1931 [ed. it. a cura di A. Caracciolo, Il custode della costituzione, Milano, 1981], particolarmente 179 ss., certo non priva di riflessi nel contesto costituzionale italiano, ove si divide chi riconosce nel potere di rinvio attribuito al Capo dello Stato l'esercizio di una funzione di «controllo giuridico» (ex plurimis, S. GALEOTTI, La

posizione costituzionale del Presidente della Repubblica, Milano, 1955, 40 ss. e L. PALADIN, La funzione presidenziale di controllo, in Quad. Cost., 1982, 319 ss.) e chi vi riconosce invece «un controllo

politico sulla funzione legislativa», disconoscendo il modello del controllo giuridico «vuoi perché non ha carattere definitivo, qual è quello esercitabile dalla Corte costituzionale, vuoi perché non sta scritto da nessuna parte che il diniego di promulgazione debba essere motivato sulla base di ragioni d'ordine costituzionale»: così O. CHESSA, Il Presidente della Repubblica parlamentare. Un'interpretazione della

forma di governo italiana, Napoli, 2010, 231.

dell'ordinamento rispetto ai quali, per diverse ragioni e con diverse funzioni, sia stato affermato un grado di resistenza accentuato all’interno della costituzione.

In questo quadro, non sarà quindi vano tentare di approfondire la prassi presidenziale, confortati in tale tentativo anche da alcuni dati formali-positivi che forniscono ottimi indizi per fondare un'ipotesi di legame tra esercizio della funzione presidenziale e principi supremi dell'ordinamento. Tali indizi possono ravvisarsi nelle disposizioni della Costituzione che sanciscono che «il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l'Unità nazionale» (art. 87 Cost.), e «non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione» (art. 90 Cost.); o ancora, nella disposizione che sancisce che il Capo dello Stato «prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza alla Costituzione dinanzi al Parlamento in seduta comune» (art. 91 Cost.)5.

Già a partire da questi elementi testuali, non sembra vano indagare nelle trame mai completamente chiarite della responsabilità presidenziale, chiedendosi se le fattispecie di alto tradimento e attentato alla Costituzione possano essere legate da un rapporto logico-giuridico con la categoria dei principi supremi dell'ordinamento. Alla dottrina6

che si è occupata della tematica non è certo sfuggita una tale prospettiva: nella difficoltà di individuare il significato normativo di «alto tradimento e attentato alla Costituzione», si sono infatti avanzate tre ipotesi: la prima7, volta a sostenere che ogni reato commesso

dal Capo dello Stato integrerebbe l'alto tradimento e l'attentato alla Costituzione; la seconda8, intermedia, che estende le ipotesi di responsabilità alle sole fattispecie di

delitti contro la personalità dello Stato; la terza9, e più restrittiva, limitata ai delitti di cui

5Sulla valorizzazione degli elementi testuali fra le disposizioni relative al Capo dello Stato che

presuppongono una gradazione intra-costituzionale delle norme: cfr. C. MORTATI, Costituzione

(dottrine generali), in Enc. Dir., vol. XI, Milano, 1962, 174.

6La dottrina sulla responsabilità presidenziale è ormai di tale ampiezza, da non consentire che un rinvio ai

principali contributi monografici: M. CAVINO, L'irresponsabilità del Capo dello Stato, Milano, 2008; F. DIMORA, Alla ricerca della responsabilità del Capo dello Stato, Milano, 1990, specialmente 111 ss.; R. BIN - G. BRUNELLI - A. PUGIOTTO - P. VERONESI (a cura di), Il “caso Cossiga”. Capo dello Stato

che esterna o privato cittadino che offende?, Giappichelli, 2003; G. SILVESTRI (a cura di), La figura e il ruolo del Presidente della Repubblica nel sistema costituzionale italiano, Milano, 1985; M. LUCIANI -

M. VOLPI (a cura di), Il Presidente della Repubblica, Bologna, 1997 e da ultimo A. SPERTI, La

responsabilità del presidente della Repubblica. Evoluzione e recenti interpretazioni, Torino, 2010.

7G. RICCIO, Il processo penale avanti alla Corte Costituzionale, Napoli, 1955, 77 ss; A. CARIOLA, La

responsabilità penale del Capo dello Stato e dei ministri: disegno costituzionale e legge di riforma, in Riv. Trim. dir. pubbl., 1990, 152 ss.

8P. ROSSI, Alto tradimento, in Enc. del dir., II, Milano, 1958, 113 ss.; V. MANZINI, Trattato di diritto

penale italiano, IV, Torino, 1981, 18 ss.

agli articoli 283 c.p.10 e 77 c.p. militare di pace11. Queste tre ipotesi sono state peraltro

criticate attraverso argomenti convincenti12: la prima eluderebbe le disposizioni

costituzionali che sanciscono l'irresponsabilità presidenziale, ponendosi rispetto a esse come una tentativo di interpretatio abrogans; la seconda sarebbe arbitraria; la terza troppo restrittiva. Queste considerazioni inducono quindi a una lettura che tenga conto di quanto disposto dall'articolo successivo a quello che stabilisce i confini della responsabilità presidenziale: soltanto attraverso l'interpretazione del significato del giuramento di cui all'art. 91 Cost.13 si potrebbe giungere a delineare le ipotesi di alto

tradimento e attentato alla Costituzione.

In questo quadro torna ancora una volta utile rifarsi agli insegnamenti classici: già Carl Schmitt, aveva infatti osservato come il giuramento di fedeltà alla Costituzione non potesse ritenersi né un giuramento di fedeltà alle singole disposizioni costituzionali né, tanto meno, un giuramento di fedeltà “in bianco” sulla disposizione della Costituzione che, disciplinando il procedimento di revisione, è la porta di ingresso di tutte le disposizioni costituzionali future14. E neppure l'alto tradimento andrebbe inteso, ad

avviso dell'autore tedesco, con riferimento alle singole disposizioni costituzionali, bensì con riferimento alla 'costituzione', intesa nel senso di decisione politica fondamentale15.

L'argomento sembra oggi mantenere una certa forza persuasiva, nonostante i significativi mutamenti del quadro costituzionale di riferimento: se il giuramento di fedeltà alla Costituzione fosse inteso nel senso più rigido, criticato da Schmitt, il semplice fatto che una legge promulgata dal Presidente della Repubblica venga dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale dovrebbe significare un tradimento di quel giuramento.

10La formulazione attualmente vigente, modificata dalla legge 24 febbraio 2006, n. 85

(http://www.camera.it/parlam/leggi/06085l.htm), dispone: «Art. 283. - (Attentato contro la Costituzione

dello Stato). – Chiunque, con atti violenti, commette un fatto diretto e idoneo a mutare la Costituzione

dello Stato o la forma di governo, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni», mentre la formulazione originaria disponeva: «Chiunque commette un fatto diretto a mutare la costituzione dello Stato, o la forma del Governo, con mezzi non consentiti dall'ordinamento costituzionale dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni».

11«Art. 77. Alto tradimento. Il militare, che commette alcuno dei delitti contro la personalità dello Stato

preveduti dagli articoli 241, 276, 277, 283, 285, 288, 289 e 290-bis del codice penale, modificati dal decreto legislativo luogotenenziale 14 settembre 1944, n. 288, e dalla legge 11 novembre 1947, numero 1317, è punito a norma delle corrispondenti disposizioni dello stesso codice, aumentata di un terzo la pena della reclusione. E' punito con l'ergastolo il militare che commette alcuno dei delitti preveduti dagli articoli 242 e 284 del codice penale per il solo fatto di essere insorto in armi, o di aver portato le armi contro lo Stato, ovvero di aver partecipato ad una insurrezione armata».

12Cfr. M. CAVINO, L'irresponsabilità del Capo dello Stato, cit., 123 ss.

13Art. 91: «Il Presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà

alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento in seduta comune».

14SCHMITT C., Verfassungslehre, Belin, 1928, ed. it. a cura di A. Caracciolo, Dottrina della

costituzione, Milano, 1984, 47.

Il percorso conduce già qui a incrociare tematiche attinenti alle attribuzioni costituzionali del Presidente della Repubblica con tematiche attinenti alle competenze che la Costituzione assegna alla Corte. Questo intreccio16, si vedrà nelle pagine che

seguono, è un leitmotiv che inevitabilmente accompagna l’analisi dell’esercizio delle funzioni presidenziali, e che, in tema di garanzia dei principi supremi dell’ordinamento, può condurre a esiti interessanti. Non sembra però in questa sede opportuno avvicinarsi all’intreccio Presidente-Corte dalla prospettiva della responsabilità presidenziale: non, almeno, volendo prestare fede alle premesse che si sono poste. La responsabilità presidenziale è infatti un tema molto rilevante sotto il profilo speculativo, ma lo è meno per cercare di intraprendere un'indagine empirica sui principi supremi dell’ordinamento, se non altro per la scarsità dell'esperienza applicativa.

Sembra quindi molto più utile dedicarsi all'analisi della prassi applicativa di attribuzioni presidenziali che hanno avuto maggiore vitalità: ci si riferisce, qui, alle attribuzioni presidenziali in sede di promulgazione delle leggi.

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