4. Uno sguardo al parametro delle questioni: (non chiedere mai) quali sono
4.4. I diritti inviolabili e alcune isolate pronunce
Vi sono infine un certo numero di pronunce nelle quali la Corte, valorizzando la perentoria dizione di alcune disposizioni costituzionali che sanciscono l'inviolabilità di determinati diritti, sembra stabilirne un legame con la categoria dei principi supremi dell'ordinamento. Il legame, che nel capitolo precedente si è visto essere stato oggetto di attenzione anche da parte delle ricostruzioni dottrinali dei principi supremi204, traspare
con chiarezza dalla sentenza n. 366 del 1991, che trattando della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altro mezzo di comunicazione, espressamente afferma che questi «costituiscono un diritto dell'individuo rientrante tra i valori supremi costituzionali»205. La Corte riconosce «una duplice caratterizzazione della sua
inviolabilità», l'una legata alla sua derivazione dall'art. 2 della Costituzione, in base al quale «il suo contenuto essenziale non può essere oggetto di revisione costituzionale, in quanto incorpora un valore della personalità avente un carattere fondante rispetto al sistema democratico voluto dal Costituente», l'altra legata alla formulazione propria dell'art. 15 Cost., in base al quale «lo stesso diritto è inviolabile nel senso che il suo contenuto di valore non può subire restrizioni o limitazioni da alcuno dei poteri costituiti se non in ragione dell'inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante, sempreché l'intervento limitativo posto in essere sia strettamente necessario alla tutela di quell'interesse e sia rispettata la duplice garanzia che la disciplina prevista risponda ai requisiti propri della riserva assoluta di
come “clausole di eternità”, di cui si farà cenno più avanti, soprattutto in riferimento alla riflessione sviluppata nell'ordinamento tedesco: vedi infra, cap. 5, § 3, 180 ss.
203Vedi il capitolo sui rapporti tra principi supremi e vicende del bilanciamento tra principi costituzionale,
infra, cap. 4, 141 ss.
204Vedi supra, cap. 1, § 2.4, 21 ss. Non si intende in questa sede pertanto soffermarsi sul problema del
significato della garanzia dell'inviolabilità in sé, né sulla differenza tra la garanzia dell'inviolabilità e dell'irrivedibilità (sul punto si veda A. PACE, Problematica delle libertà fondamentali, parte generale, Padova, 2003, 41 ss. e P. GROSSI, Introduzione ad uno studio sui diritti inviolabili nella Costituzione
italiana, Padova, 1972, 101 ss.), bensì soltanto sui legami tra diritti inviolabili e principi supremi
dell'ordinamento che è possibile rintracciare nella giurisprudenza della Corte. Per convincersi del fatto che i problemi sono distinti basterà osservare che la Corte ha esteso la qualificazione dell'art. 2 Cost. a pressoché tutti i diritti inclusi nel titolo I della prima parte della Costituzione: affermandolo in generale (sentenza n. 122 del 1970); e in particolare, per la libertà di manifestazione del pensiero, per la libertà di associazione, per la libertà religiosa, per la libertà di circolazione, e per numerosi diritti derivanti dalle disposizioni del titolo II (diritti della famiglia, diritto alla salute, libertà di emigrazione, diritto ad un'equa retribuzione e al riposo, diritto all'assistenza e alla previdenza, libertà sindacale, libertà di insegnamento, diritto alla abitazione. Una compiuta rassegna di questa giurisprudenza è in A. BALDASSARRE, Diritti
inviolabili, cit., 27.
legge e la misura limitativa sia disposta con atto motivato dell'autorità giudiziaria»206. La
pronuncia, che trova alcune successive conferme207, condivide peraltro con la sentenza
n. 1146 del 1988 diverse caratteristiche: il registro solenne, la penna del giudice redattore e la discontinuità tra le affermazioni di maggior pregio teorico-generale e il dispositivo, che si risolve nell'infondatezza della questione.
Con la sentenza n. 235 del 1988 la Corte attribuisce invece particolare risalto al diritto di elettorato passivo. Sindacando la legittimità costituzionale di una legge regionale che – in materia di cause di incompatibilità all'elezione alla carica di consigliere comunale – disponeva una disciplina più restrittiva rispetto a quella nazionale, la Corte accertava la compressione di «un diritto politico fondamentale che l'art. 51 Cost. riconosce e garantisce a ogni cittadino con i caratteri propri dell'inviolabilità»208.
Ancora in questo quadro è utile fare un cenno alla sentenza con cui la Corte costituzionale dichiarò inammissibile la richiesta di referendum abrogativo dell'art. 1 della legge n. 194 del 1978 (recante "Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza"). Si trattava di valutare se la richiesta fosse compatibile con l'interpretazione che la Corte – a partire dalla sentenza n. 16 del 1978 – aveva applicato all'art. 75 Cost., comma secondo, per la quale erano da ritenersi inammissibili iniziative referendarie volte ad abrogare norme di legge a contenuto costituzionalmente vincolato. Negando che la richiesta in questione rispettasse tale requisito, la Corte motivava la sua decisione affermando che «il diritto alla vita, inteso nella sua estensione più lata, sia da iscriversi tra i diritti inviolabili, e cioè tra quei diritti che occupano nell'ordinamento una posizione, per dir così, privilegiata, in quanto appartengono – per usare l'espressione della sentenza n. 1146 del 1988 – "all'essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana"»209. In questo caso il legame
206Ibidem.
207Sebbene l'assimilazione del nucleo inviolabile del diritto ai limiti alla revisione costituzionale non
venga mai ripetuto con tanta chiarezza dalla Corte, tracce della giurisprudenza inaugurata dalla sentenza n. 366 del 1991 si trovano in Corte costituzionale, sentenza n. 81 del 1993; 63 del 1994; 249 del 2010
208Corte costituzionale, sentenza n. 235 del 1988 (punto 2 c.i.d.). Successivamente, nello stesso senso,
sentenze nn. 571 del 1990 e 539 del 1990.
209Corte costituzionale, sentenza n. 35 del 1997 (punto 4 del c.i.d.). Di un qualche interesse ritorna in
questo quadro la giurisprudenza costituzionale in materia di pena di morte. La sanzione capitale non ha infatti implicato particolari problemi costituzionali con riferimento all'ordinamento interno, sebbene soltanto con la legge costituzionale n. 1 del 2007 sia stata data copertura costituzionale al divieto perentorio di pena di morte (prima ammessa «nei casi previsti dalle leggi militari di guerra»): la pena di morte veniva legislativamente abrogata, con riferimento ai delitti previsti dal codice penale, già con Dlgs. Lgt. 224/1944 e con più recente Legge n. 589/1994 si era disposta che «per i delitti previsti dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra la pena di morte è abolita e sostituita dalla pena massima prevista dal codice penale» e che «sono abrogati l'art. 241 del codice penale militare di guerra e tutte le disposizioni dello stesso codice e delle leggi militari di guerra che fanno riferimento alla pena di morte». Problemi più seri si sono posti in relazione alla possibilità di stipulare trattati internazionali che avessero l'effetto di consentire l'estradizione verso Paesi che prevedessero, per la fattispecie in questione
tra inviolabilità del diritto alla vita e inclusione tra i principi supremi dell'ordinamento è reso esplicito dal riferimento alla sentenza n. 1146 del 1988. Non va però ignorato che il richiamo è quantomeno sovrabbondante rispetto alla stretta funzionalità della decisione, se è vero che per escludere l'ammissibilità del referendum abrogativo era sufficiente che la normativa verso la quale era indirizzata la richiesta vertesse su un oggetto a contenuto costituzionalmente vincolato: la soglia dell'inammissibilità, in altre parole, era stata posta dalla medesima Corte costituzionale ben più indietro rispetto al limite dei principi supremi dell'ordinamento
Ancor più generico ed evanescente è invece il riferimento al principio “fondamentale”210 della tutela delle minoranze linguistiche, che la Corte, a partire dalla
sentenza n. 15 del 1996 sull'uso della lingua madre all'interno del processo, colloca «al punto di incontro con altri principi, talora definiti "supremi", che qualificano indefettibilmente e necessariamente l'ordinamento vigente (sentenze nn. 62 del 1992, 768 del 1988, 289 del 1987 e 312 del 1983): il principio pluralistico riconosciuto dall'art. 2 […] e il principio di eguaglianza riconosciuto dall'art. 3 della Costituzione»211.
Tale passaggio viene ripreso testualmente dalla recente sentenza n. 159 del 2009 (punto 2 del c.i.d.)212, e – meno esplicitamente – sta dietro alle motivazioni con cui la Corte
dichiara incostituzionale la parificazione, introdotta da una legge regionale, del valore della “lingua piemontese” alle altre lingue minoritarie già tutelate in virtù della legislazione nazionale. Con la sentenza n. 170 del 2010 la Corte chiarisce infatti che la collocazione dell'art. 6 Cost. tra i principi fondamentali dell'ordinamento «finisce per rappresentare – ben al di là di quanto, peraltro, si possa trarre, a proposito di “principî fondamentali”, dal semplice argomento della sedes materiae – una sorta di ulteriore tratto fisionomico della dimensione costituzionale repubblicana e non già soltanto un indice della relativa forma di governo»213.
In tempi non molto lontani il principio in questione ha peraltro conosciuto una problematica tensione nei rapporti con l'ordinamento comunitario: la Corte di Giustizia,
nel caso concreto, la pena edittale della morte all'interno dell'ordinamento dello Stato richiedente (così Convenzione stipulata con la Francia, r.d. 5726/1980). La Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima una tale soluzione normativa, in quanto «deve considerarsi lesivo della Costituzione che lo Stato italiano concorra all'esecuzione di pene che in nessuna ipotesi, e per nessun tipo di reati, potrebbero essere inflitte in Italia nel tempo di pace, se non sulla base di una revisione
costituzionale» (sentenza n. 54/1979, enfasi aggiunta). La Corte sembra così delineare expressis verbis e
con affermazione esorbitante i termini della questione proposta, la compatibilità della pena di morte con i limiti alla revisione costituzionale.
210Il riferimento al carattere fondamentale del principio in questione è da intendersi con ogni probabilità
nel senso della collocazione dell'art. 6 Cost. tra i primi dodici articoli della Costituzione.
211Corte costituzionale, sentenza n. 15 del 1996 (punto 2 del c.i.d.).
212La sentenza dichiara l'illegittimità costituzionale di diverse norme della legge della Regione Friuli-
Venezia Giulia 18 dicembre 2007, n. 29 (Norme per la tutela, valorizzazione e promozione della lingua friulana).
pronunciando la sentenza 24 novembre 1998 (causa C-274/96 Bickel e Franz), ha ritenuto infatti incompatibile con il divieto di discriminazione in base alla nazionalità e in riferimento alla libertà di circolazione la mancata estensione ai cittadini europei di lingua tedesca delle norme di tutela della minoranza germanofona residente in Trentino Alto Adige/Südtirol che prevedevano la possibilità di usare la lingua tedesca all'interno del processo che si celebri nei loro confronti. L'accoglimento delle ragioni del ricorrente, cittadino europeo, germanofono, ma non residente in T.A.A., era fondato sulla qualificazione del requisito della residenza come discriminazione indiretta, essendo la maggior parte dei residenti cittadini italiani. Il fatto che la pronuncia della Corte estendesse una disciplina, adattandone creativamente la ratio, già di per sé derogatoria rispetto alle regole generali sulla lingua nel processo, ha sostanzialmente anteposto le ragioni della non discriminazione a tutela della libertà di circolazione dei cittadini a quelle che sono presupposte all'uso della lingua ufficiale della Repubblica italiana nello svolgimento del processo, e che alcuni autori avevano ritenuto essere attinenti «a quelle esigenze unitarie, espressione dell'unità politica dello Stato, che nemmeno in nome della tutela rafforzata delle minoranze linguistiche possono essere derogate»214.
Tra i parametri che compaiono nelle questioni aventi a oggetto norme disposte da leggi ordinarie, in cui la Corte spende alcuni passaggi della motivazione attorno alla categoria dei principi supremi dell'ordinamento, vi è anche la tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione. Nella sentenza n. 94 del 1985 la Corte valorizza infatti la collocazione dell'art. 9 Cost. tra i principi fondamentali dell'ordinamento215 «il
paesaggio, unitamente al patrimonio storico e artistico della Nazione», a «valore cui la Costituzione ha conferito straordinario rilievo»216, ribadendo nella successiva sentenza
n. 359 dello stesso anno la qualificazione del «valore estetico-culturale riferito (anche) alla forma del territorio a valore primario dell'ordinamento»217.
Come già accennato, vi sono quindi alcune sentenze che sembrano collocare il principio regionalista tra i principi supremi dell'ordinamento: più propriamente, sembra che la Corte ammetta che la distribuzione delle competenze (legislative e amministrative) tra i diversi livelli dello stato-apparato sia regolata anche a livello dei principi supremi dell'ordinamento. Ma quali siano i principi che dovrebbero ritenersi inviolabili (più probabilmente rispetto alle modificazioni derivanti da fonti comunitarie), non è facile dire: di fronte alla scarsa generosità delle motivazioni della Corte sul punto, alcuni autori hanno ritenuto utile scorgere delle affinità con l'ordinamento tedesco, laddove il principio federale è sancito dalla Costituzione quale
214F. SORRENTINO, L'eguaglianza nella giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di
Giustizia delle Comunità europee, in Pol. del dir., 2001, 179 ss.
215I “principi fondamentali” sono in questo caso intesi inequivocabilmente con riferimento alla
collocazione “topografica” nella Carta dell'art. 9 Cost.
216Corte costituzionale, sentenza n. 94 del 1985 (punto 3 del c.i.d.). 217Corte costituzionale, sentenza n. 359 del 1985 (punto 4 del c.i.d.).
principio sottratto alla revisione costituzionale, e incluso dal BVerfG tra i controlimiti opposti al diritto comunitario; così si è ritenuto che «[d]ate le analogie che ricorrono tra l'ordinamento italiano e quello tedesco in materia di “controlimiti” alle limitazioni di sovranità, […] pare che la posizione sostenuta dal tribunale costituzionale tedesco possa adiuvare l'interpretazione delle pronunce della Corte costituzionale italiana; perciò anche se la Corte costituzionale italiana non lo afferma esplicitamente, bisogna ritenere che il principio regionalista debba rientrare tra i principi fondamentali inderogabili che non possono essere modificati dalle normative comunitarie»218. Si tratta però di
affermazioni che, proprio per l'avarizia dei dati forniti dalla Corte costituzionale, hanno un carattere fortemente speculativo.
Non si possono, infine, non riportare i passaggio della motivazione di due sentenze nelle quali la Corte, quasi tangenzialmente e distrattamente, attribuisce un rilievo particolare ad alcuni principi costituzionali: così, nella sentenza n. 15 del 1996 – già ricordata in relazione al principio di tutela delle minoranze linguistiche – la Corte misura il principio di cui all'art. 6 Cost., come una risultante della combinazione di due principi «talora definiti supremi»219: non solo il principio di eguaglianza, derivato
dall'art. 3 Cost., ma anche il principio pluralistico, derivato dall'art. 2 Cost.
Infine, nella sentenza 238 dello stesso anno, la libertà personale, caratterizzata come 'inviolabile' dal testo della Costituzione, è ricondotta dalla Corte ai «valori supremi»220
dell'ordinamento.