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Ebbene, i principi supremi dell'ordinamento, messi alla prova del bilanciamento (o in altri termini, ma perfettamente equivalenti, alla prova del caso), sembrano reagire come qualsiasi altro principio costituzionale: a volte prevalgono, altre volte soccombono, a seconda – appunto – del caso, ovvero delle circostanze di fatto e di diritto. Oppure, in termini logicamente più rigorosi, tra i principi costituzionali non sembrano esservi principi che escono sempre vincenti dal bilanciamento, nemmeno quelli che la Corte costituzionale ha ambiguamente enfatizzato, etichettandoli con altalenante convinzione come principi supremi o fondamentali dell'ordinamento.

Il Re è, dunque, nudo? I principi sono dunque tutti uguali?

Una conclusione di tal genere potrebbe essere affrettata. Il fatto che i principi

63C. SUNSTEIN, Designing democracy: what Constitutions do, New York, 2001, trad. it. a cura di di

Valeria Ottonelli, A cosa servono le Costituzioni? Dissenso politico e democrazia deliberativa, il Mulino, 2009, 71 ss.

64Ibidem, 73,

65Su questi aspetti si tornerà più approfonditamente nel capitolo seguente: vedi infra, cap. 5, §§ 5 e 6, 192

supremi non siano insensibili alle vicende del bilanciamento, non significa infatti affermare che questi non esistano, non funzionino e che non vadano presi sul serio. Tutt'al contrario, significa che per essere presi sul serio, tali principi non possono che funzionare diversamente da come si potrebbe – erroneamente – essere indotti a pensare. Il conflitto tra principi, infatti, è inevitabile, e la struttura pluralistica (della società prima, e) della costituzione (conseguentemente), non può ambire né a prescindere da tale dato né a rimuoverlo, una volta per tutte.

Il bilanciamento tra “normali” principi costituzionali, si è visto, non sembra potersi fedelmente accostare all'applicazione di formule algoritmiche, come cerca di fare il metodo proposto da Alexy, che prevede la misurazione e il confronto asettico, in termini quasi numerici, del peso dei principi in conflitto, a cui seguirebbe un risultato sempre prevedibile e rassicurante.

Nemmeno uscendo dalla logica della quantità, e passando a quella delle relazioni qualitative, si ottiene la certezza che i calcoli di Alexy cercano di raggiungere: volendo riconoscere principi sempre vincenti, il problema – almeno per quanto concerne la Costituzione italiana – è anzitutto individuarli. Anche a voler ammettere, con una smaccata finzione, che questi siano predeterminabili, i principi supremi rimarrebbero sempre potenzialmente confliggenti fra loro: è il testo stesso della Costituzione a fornire elementi testuali idonei a fondare tesi e antitesi dei principi supremi.

Non si giunge dunque da nessuna parte, percorrendo la strada del bilanciamento? Si potrebbe infatti essere indotti a ritenere che le considerazioni svolte debbano condurre a rassegnarsi di fronte a un caos irrazionale66, nel quale è impossibile mettere le cose al

loro posto.

Sembra invece possibile adottare una diversa prospettiva, indagando la natura dell'attività del bilanciamento: se questo non pare infatti potersi tradurre nell'elaborazione di una formula (quasi)matematica – come invece vorrebbe Alexy – dall'altro canto affermare che il bilanciamento sia un'operazione rimessa all'arbitrio soggettivo dell'interprete – come si desume dalla critica di Habermas67 – sembra essere

un'esagerazione di segno eguale e contrario.

Il bilanciamento «in senso proprio» è certamente un metodo, se non razionale, ragionevole, dato il fatto del pluralismo: se ci sono più principi supremi, non si può che bilanciarli.

Il bilanciamento non sarebbe un tecnica argomentativa razionale se si aderisse all'idea di un'ordinazione assiologica dei principi costituzionali, al cui vertice sarebbero posti i principi supremi dell'ordinamento: in tal caso sembrerebbero fondate le critiche di Habermas al bilanciamento, perché «lo stesso giudizio diventerà un giudizio di

66Ed è questa la critica che gli scettici del bilanciamento fanno, in particolare, ad Alexy: così J.

HABERMAS, Faktizität und Geltung, cit., 309 ss.

valore»68. In altre parole, fondare la prevalenza dei principi supremi rispetto ai principi

non supremi in base a un loro fondamento assiologico necessiterebbe la giustificazione della preferenza di determinati valori rispetto ad altri: si riproporrebbe, quindi, il medesimo problema, soltanto trasferito sul terreno dell'etica, nel quale il giurista non sembra avere molte chance di trovare soluzioni ai problemi che vuole risolvere. Per queste ragioni, già altrove esplicitate69, la prospettiva che qui si è intesa sposare è

un'altra. Il bilanciamento «in senso proprio» è, al contrario, un'operazione che proprio dalla razionalità trae la sua legittimazione. Nessuna Corte del mondo, trovandosi a dover gestire un conflitto tra principi costituzionali contrapposti, potrebbe arbitrariamente decidere a favore dell'uno o dell'altro: vi saranno motivazioni migliori e peggiori70, ma certamente non potranno che essere tratte su un terreno razionale, nel

quale si confrontano gli argomenti che è possibile desumere dai diversi principi.

In questo processo razionale, si è avuto modo di verificare, dai principi supremi non si ricavano argomenti invincibili. Ma è ciononostante possibile osservare che quando la Corte si risolva a operare un bilanciamento nel quale i principi supremi soccombono, usa una particolare cautela motivazionale: la sopra citata sentenza n. 15 del 1982 sembra essere un caso esemplare71.

68J. HABERMAS, Die Einbeziehung des Anderen: Studien zur politischen Theorie, Frankfurt am Main,

1996, 369: «das Urteil ist dann selbst ein Werturteil, das im Rahmen einer konkreten Wertordnung eine sich darin artikulierende Lebensform mehr oder weniger angemessen reflektiert, aber gar nicht mehr auf die Alternative bezogen ist, ob die gefällte Entscheidung richtig oder falsch ist» [corsivo nell'originale].

69Cfr. cap. 1, § 3, 32 ss.

70Ha ragione in questa critica G. PINO, Diritti e interpretazione, cit., 155: «spesso i principi supremi

vengono individuati, in relazione al tipo di questione che la Corte si trova di volta in volta ad affrontare, in maniera alquanto apodittica, come se l'elevazione di un diritto fondamentale a diritto costituzionale «supremo» fosse un dato evidente e non un'operazione in senso ampio interpretativa bisognosa, al pari di qualunque altra, di essere giustificata con una adeguata argomentazione. Tanto più se si tiene conto che le costituzioni pluraliste possono facilmente prestarsi a differenti ricostruzioni assiologiche, in grado di rendere conto in maniera egualmente adeguata dei valori contenuti nel documento costituzionale». Ciò non significa che le motivazioni della Corte sulla portata dei principi supremi non debbano essere sottoposte ad un moto evolutivo, come d'altronde si è visto nell'indagine sulla giurisprudenza costituzionale, e come si avrà modo di argomentare nelle pagine successive (cfr. infra, cap. 5), gli stessi principi supremi non possono essere concepiti come fossili immutabili dell'ordinamento, fotografabili una volta per tutte. Questa loro caratteristica, comune agli altri principi costituzionali, non li sottrae da argomentazioni contrastanti, ma ciò non significa accettare argomentazioni apodittiche. Il punto sembra essere evocato, mutatis mutandis, con riferimento alla giurisprudenza costituzionale statunitense, da quegli autori che hanno osservato che «a volte, come in Brown vs. Board of Education è essenziale che la corte parli con una sola voce. Ma ci sono valori più importanti che non avere segnali chiari dall'alto. In una repubblica costituzionale come la nostra, uno di questi consiste nel dare voce alle visioni in conflitto sul significato della Costituzione, sia come modo di coinvolgere la nazione nel dibattito, sia di dare forma a ciò che un dibattito del genere, al suo meglio, può offrire»: così L.H. TRIBE - M. C. DORF, Leggere la

costituzione, cit., 87.

71Vedi supra, in questo capitolo, § 3.2, 152 ss., e la dottrina che, commentando la sentenza, ha ravvisato

La formula sintetica dei principi supremi sembra celare l'intendimento della Corte per il quale alcuni argomenti sarebbero particolarmente pesanti nel gioco del bilanciamento. Si potrebbe addirittura ipotizzare, come qualcuno ha fatto, che quando la Corte qualifica determinati principi come «supremi», essa aggiunge «solo una presunzione di maggiore importanza del principio o diritto supremo, presunzione tuttavia vincibile in base alle circostanze»72. Varrebbe, in altre parole, per i principi

supremi, quanto autorevoli voci73 hanno riferito al cd. «nucleo duro» dell'eguaglianza:

una legge che fosse discriminatoria, in quanto lesiva di uno dei divieti qualificati di cui all'art. 3, primo comma, «al contrario della generalità delle leggi, si può ritenere che sia gravata da una presunzione di illegittimità, presunzione non comunque assoluta ma suscettibile di prova contraria»74.

Una simile presunzione, non assoluta, ma non per questo inutile, sembra poter essere felicemente applicata al bilanciamento tra principi supremi e principi non supremi. Come si è visto, la prevalenza dei primi non può essere garantita, ma la loro soccombenza richiede un surplus di motivazione da parte della Corte costituzionale: caso emblematico di questa dinamica sembra potersi desumere dalla citata sentenza n. 15 del 1982, in tema di allungamento dei tempi della carcerazione preventiva per contrastare l'emergenza del terrorismo.

5.1. Corte costituzionale, principi supremi e bilanciamento in senso lato.

Il bilanciamento «in senso proprio» opera spesso come uno strumento di controllo esterno di quella particolare forma di manifestazione del bilanciamento «in senso lato», che è la ponderazione di interessi contrapposti disposta dalla legge. Facendo un passo indietro, può essere infatti utile osservare che il bilanciamento si esprime nella maggior parte dei casi nelle forme del «meta-bilanciamento», ossia nelle forme del sindacato sul bilanciamento disposto dal legislatore ordinario. La Corte interverrà a correggere il prodotto della ponderazione effettuata dal legislatore, laddove questa appaia irragionevole: la dottrina ha ordinato gli strumenti con cui la Corte opera il suo «meta- bilanciamento» nell'applicazione dei test di «idoneità», «necessità» e «proporzionalità in senso stretto»75, dietro ai quali aleggiano le multiformi manifestazioni del principio di

ragionevolezza.

cui le misure legislative intendevano far fronte.

72G. PINO, Diritti e interpretazione, cit., 156.

73A. CERRI, L'eguaglianza nella giurisprudenza Costituzionale, Padova, 1972, 56 ss. e L. PALADIN,

Corte costituzionale e principio generale d'eguaglianza: Aprile 1979-Dicembre 1983, in AA. VV., Scritti in onore di Vezio Crisafulli, Padova, 1985, 659 ss.

74G.P. DOLSO, Sub art. 3, in S. BARTOLE - R. BIN, Commentario breve alla Costituzione, Padova,

2008, 19 [enfasi aggiunta].

75Ex plurimis, G. SCACCIA, Gli «strumenti» della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Milano,

Il Costituente non sembra aver infatti fornito una soluzione definitiva alle infinite possibilità di combinare i principi accolti nel testo della Costituzione, in quell'ottica pluralista – nel senso inteso sopra76 – che trova cittadinanza nella Costituzione del 22

dicembre 1947, e nelle sue successive modificazioni, né avrebbe probabilmente potuto farlo. La Costituzione italiana, come ogni costituzione, soprattutto quelle pluraliste del secondo dopoguerra, sembra davvero contenere in sé «tesi e antitesi»77, affermazione e

negazione dei principi sui quali si fonda: soltanto raramente è la Costituzione a definire un bilanciamento «in senso lato» che sia autoapplicativo78, mentre nella maggior parte

dei casi non fa altro che dare dignità costituzionale agli opposti termini del bilanciamento, senza definirne una sintesi. In questi casi, la Corte costituzionale, nei limiti degli strumenti che le sono attribuiti, contribuisce al “proseguimento” del bilanciamento dei termini indicati dalla costituzione. E se sembra potersi concordare con il fatto che – a fronte di principi potenzialmente contrastanti che la costituzione cionondimeno fa convivere nel suo testo – il completamento della delega a bilanciare non può che svolgersi caso per caso, poiché non vi sono strumenti per definire l'equilibrio una volta per tutte, essendo i casi futuri infiniti e imprevedibili, ciò non significa che l'operato della Corte debba essere informato all'arbitrio e all'irrazionalità. Il fatto che la Corte abbia “inventato”, senza esserne richiesta, i principi supremi dell'ordinamento sembra invece deporre nel senso contrario: attraverso l'attribuzione di enfasi a determinati principi, la Corte manifesta una sua “politica” del bilanciamento «in senso lato»: e ciò spiega perché i principi supremi non compaiano soltanto laddove l'oggetto della questione di legittimità costituzionale imponga una risalita ai livelli più alti dell'ordinamento (quando la questione si ponga su leggi costituzionali o leggi costituzionalmente coperte79), ma anche quando l'oggetto della questione sia una legge

76Vedi supra, in questo capitolo, § 4, 155.

77Cfr. supra, in questo capitolo, § 4, 156. La coesistenza di principi potenzialmente antagonisti nello

stesso testo costituzionale, come accennato supra (ivi), può ricollegarsi a quelli che una voce autorevole, qual è Cass Sunstein, (ID., A cosa servono le Costituzioni, cit.), ha descritto come «accordi non completamente teorizzati»: il consenso verso un certo contenuto della Costituzione non necessariamente è fondato su una compiuta teoria costituzionale, né tantomeno implica che le diverse parti che giungono a convergere sulla formulazione del testo costituzionale intendano allo stesso modo il precipitato applicativo dei principi sui quali si trovano d'accordo: e ciò è perché i principi inclusi nelle Costituzione, non dovendo decidere casi particolari, presuppongono un accordo «solo parzialmente specificato» (ivi, 80)

78Tale sembra essere, ad esempio, quanto disposto dall'art. 32 Cost., secondo comma, nella misura in cui,

nel quadro del riconoscimento del diritto costituzionale alla salute, stabilisce il principio della libertà del rifiuto delle cure, derogabile «soltanto per disposizione di legge», la quale non può in nessun caso violare «i limiti imposti dal rispetto della persona umana»: in questo caso la Costituzione delinea non solo i termini del bilanciamento, ma anche l'equilibrio di sintesi. Ciò, peraltro, non significa che all'interprete non spetti ancora il compito di definire, ad esempio, cosa debba intendersi con i «limiti imposti dal rispetto della persona umana», ma quest'ultima è un'operazione che si colloca sul terreno dell'interpretazione e non su quello del bilanciamento.

ordinaria, suscettibile tuttavia di alterare l'equilibrio del bilanciamento tra principi che la costituzione ha lasciato “in sospeso”, e nel quale la Corte ravvisi l'irragionevole compressione di un principio fondamentale.

I principi supremi, in altre parole, sono uno dei modi con cui la Corte cerca di far dire alla costituzione ciò che il suo testo non dice. È stato osservato che, nella gestione dei conflitti tra diritti fondamentali, si potrebbe distinguere tra una fase ordinaria, che si risolverebbe con l'applicazione degli strumenti della ragionevolezza (principio d'eguaglianza e bilanciamento), e una fase straordinaria, per la quale sarebbe necessario riscoprire il ricorso al testo costituzionale, attraverso il quale il giudice costituzionale definirebbe «il limite invalicabile della “discrezionalità legislativa”»80. I principi

supremi dell'ordinamento sembrano invece funzionare esattamente al contrario. Essi ambiscono infatti a fungere da “limite invalicabile della discrezionalità costituzionale”, quando abbiano a oggetto direttamente norme costituzionali; oppure, quando oggetto del giudizio siano norme di leggi ordinarie, fungono da argomento per sciogliere i conflitti che permangono al termine del “ricorso al testo costituzionale”, quando cioè è il testo stesso che non permette di trovare un solo limite invalicabile alla discrezionalità legislativa. Non vi è quindi nulla di strano nel fatto che i principi supremi non trovino un ancoraggio diretto nel testo della Costituzione81: è proprio delle contraddizioni che

derivano dal ricorso al testo che essi debbono farsi carico. Ciò non può però condurre a spostare presso la Corte costituzionale la competenza a stabilire un ordine, rigido e definitivo, tra le tensioni che il Costituente di un testo pluralista ha inteso lasciare aperte.

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