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2. Questioni aventi a oggetto leggi di revisione costituzionale o «altre» legg

2.2 Principi supremi e leggi fornite di “copertura costituzionale”

2.2.6. Un ulteriore passo del cammino comunitario (sentenza

Alcuni anni più tardi, la Corte costituzionale tornava a esprimersi sulla compatibilità delle norme che, provenendo da ordinamenti esterni, fanno ingresso nell'ordinamento interno attraverso una copertura costituzionale: si tratta della questione decisa dalla sentenza n. 232 del 1989, con cui la Corte segna probabilmente uno degli ultimi significativi passi avanti del suo cammino comunitario: il dubbio di legittimità costituzionale verteva, in sostanza, sulla tecnica decisoria della Corte di Giustizia attraverso cui essa modulava gli effetti temporali delle sue sentenze. Il giudice a quo dubitava che ciò fosse compatibile con il diritto alla tutela giurisdizionale sancito

91Corte costituzionale, ordinanza n. 26 del 1985.

92Non lo sono «agli effetti in questione» e la precisazione è di non poco conto: se ne potrebbe infatti

desumere una sorta di carattere relazionale dei principi supremi, presupposto dalla Corte: non esisterebbero cioè parametri costituzionali sempre espressivi di principi supremi, in rapporto a qualunque questione, ma la qualificazione andrebbe operata caso per caso. Nei capitoli successivi si avrà modo di indagare l'atteggiamento dei principi supremi nei processi di bilanciamento tra principi: vedi infra, cap. 4, 141 ss.

93La Corte non mancherà, anche in altre occasioni (sentenze nn. 94 del 1985 e 359 del 1985), di

qualificare la tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione con formule espressive di una “dignità costituzionale” particolarmente qualificata: vedi infra, in questo capitolo, § 4.4, 100 ss.

dall'art. 24 Cost., almeno nella parte in cui la modulazione pro futuro degli effetti delle sentenze precludesse allo stesso ricorrente di giovarsi di un eventuale accoglimento delle sue ragioni. E ciò si sarebbe verificato, ad avviso del giudice a quo, nella controversia dalla quale era originata la questione di legittimità costituzionale: la Corte di Giustizia, dichiarando l'illegittimità di un regolamento comunitario applicabile nel giudizio a quo, avrebbe limitato gli effetti della sua pronuncia soltanto pro futuro, precludendo alle parti in causa di giovarsene.

La Corte sconfessava però una tale ricostruzione, trovando il modo di eludere il contrasto prospettato dal giudice: i giudici di Palazzo della Consulta sostennero infatti che la sentenza della Corte di Giustizia non fosse che dichiarativa di un principio già affermato con altra pronuncia alcuni anni prima, e che pertanto era pacificamente applicabile nel giudizio a quo dal quale era sorta la questione di legittimità costituzionale. Secondo tale ricostruzione, dunque, le parti in causa potevano tranquillamente giovarsi degli effetti della pronuncia della Corte di Giustizia94 . La

questione di costituzionalità, ricostruiti i fatti di causa in questi termini, era dunque irrilevante95.

Ma, ancora una volta, non è esattamente la formula del dispositivo ciò che più rileva ai fini della presente indagine: rileva piuttosto concentrare l'attenzione sull'oggetto della questione di legittimità costituzionale. A differenza delle questioni risolte con le sentenze nn. 183 del 1973 e 170 del 1984, la Corte costituzionale muta infatti di qualche

94La scelta che la Corte costituzionale adotta per stabilire l'ordine delle valutazione in merito

all'ammissibilità della questione tradisce il forte interesse della Corte stessa a trovare un'occasione propizia per esplicitare la sua “nuova” posizione sul sindacato di legittimità costituzionale delle norme comunitarie alla stregua dei principi supremi dell'ordinamento: sarebbe stato certamente possibile per la Corte affrontare per primo il punto della (ir)rilevanza della questione, evitando qualunque considerazione sul punto della compatibilità tra le norme comunitarie che consentivano la modulazione temporale delle sentenze della Corte di Giustizia e l'art. 24 Cost. L'atteggiamento ricorda peraltro quelle pronunce rese dal

Bundesverfassungsgerichtshof secondo il procedimento di Verfassungsbeschwerde, via diretta di accesso

al Tribunale federale, che – in linea generale – è rimesso a condizioni molto rigorose di ammissibilità, secondo le quali la lesione di diritti fondamentali prospettata dal ricorrente deve essere immediata e attuale. Così il BVerfG: «...der Akt geeignet sein muss, den Beschwerdeführer selbst, unmittelbar und gegenwärtig in seiner grundrechtlich geschätzten Rechtsposition zu beeinträchtigen», BVerfGE 53, 30 (48). Ciononostante il BVerfG dichiarava ammissibili i ricorsi sollevati nei confronti del Trattato di Lisbona, nemmeno entrato in vigore al momento del ricorso, per violazione (immediata e diretta?) del diritto di voto dei cittadini tedeschi. La disinvoltura delle Corti costituzionali, italiana e tedesca, nell'entrare nel merito di questi problemi è sicuramente segno della volontà di rivolgere un messaggio, in quel quadro di “dialogo tra le Corti” che è diventato ormai un tema a sé del diritto costituzionale: ex

plurimis, si veda G. MARTINICO, L'integrazione silente, cit.

95Commentando il ragionamento della Corte in punto di rilevanza della questione alcuni autori hanno

ritenuto, non senza valide argomentazioni, che questo sia stato «quantomeno dettato da un eccessivo formalismo e lascia aperto il dubbio che la Corte si sia orientata in questo senso solo per evitare di pronunciarsi sul merito»: così L. DANIELE, Costituzione italiana ed efficacia nel tempo delle sentenze

della Corte di Giustizia comunitaria (nota a Corte cost., 21 aprile 1989, n. 232, Soc. Fragd c. Min. fin.),

grado la sua rotta: sebbene formalmente «le disposizioni della legge viziate da illegittimità costituzionale»96 restino quelle della legge di esecuzione del Trattato,

sostanzialmente la Corte non nasconde ormai che il suo sindacato sia volto ad accertare «se una qualsiasi norma del trattato, così come essa è interpretata e applicata dalle istituzioni e dagli organi comunitari, non venga in contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale o non attenti ai diritti inalienabili della persona umana»97. È vero, quindi, non solo che «i “controlimiti”, concepiti all'origine come

condizioni delle limitazioni di sovranità, divengono una limitazione al primato del diritto comunitario»98, ma anche che con questo (apparentemente) lieve mutamento di

prospettiva, la Corte guadagna un orizzonte (quasi) infinito quanto al profilo oggettivo delle questioni di legittimità costituzionale: da questo momento in poi ogni singola norma di diritto comunitario, astrattamente, è suscettibile di essere sottoposta al sindacato di compatibilità con i principi supremi dell'ordinamento. Il mutamento di prospettiva è lieve soltanto apparentemente, perché – con un po' di azzardo – si potrebbe arrivare a configurare una rilettura interpretativa da parte della Corte dell'art. 134 Cost., che non si limiterebbe più a disporre che «[l]a Corte costituzionale giudica: sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni», bensì aggiungerebbe ora a quell'elenco anche la competenza a giudicare – attraverso la fittizia interposizione dell'ordine di esecuzione – sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle norme comunitarie99, ma

soltanto limitatamente alla violazione dei principi supremi dell'ordinamento. Si tratta quindi di una piccola rivoluzione quanto a posizione e funzioni della Corte costituzionale all'interno dell'ordinamento.

Ipotizzata la configurabilità di un rovesciamento di prospettive così significativo, eppur in una certa misura silente, è ragionevole dedurre alcune considerazioni: di fronte

96Art. 23, Legge n. 87 del 1953.

97Corte costituzionale, sentenza n. 232 del 1989 (punto 3.1 c.i.d., enfasi aggiunta). 98M. CARTABIA, Principi inviolabili e integrazione europea, cit., 116.

99Pur avendo premesso il consapevole azzardo di una tale ricostruzione, alcune precisazioni sembrano

purtuttavia necessarie: la Corte costituzionale non giudicherebbe sulla legittimità costituzionale delle norme comunitarie, bensì sulla legittimità costituzionale della legge di esecuzione del Trattato nella parte in cui consente l'ingresso nell'ordinamento delle norme comunitarie lesive dei principi supremi dell'ordinamento. A livello operativo la ricostruzione è comunque idonea a rappresentare una realtà nella quale è comune che la Corte, di fronte ad una questione di legittimità costituzionale che, seppure in forma indiretta, debba farsi carico di valutare la compatibilità di norme comunitarie con i principi costituzionali, non esita ad escludere in radice la sua competenza a giudicare in tutti quei casi in cui «l’ordinanza di rimessione non prospetta alcuna questione di compatibilità né con i suddetti evocati parametri né con i “principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale o i diritti inalienabili della persona umana”» (Corte costituzionale, ordinanza n. 25 del 2010). In questo quadro, la motivazione del carattere di principio supremo delle norme derivate dalle disposizioni che il giudice a quo assume violate sembra atteggiarsi quasi come un ulteriore requisito di ammissibilità della questione di legittimità costituzionale, accanto a rilevanza, non manifesta infondatezza ed esaurimento del tentativo di interpretazione conforme.

a un ampliamento così rilevante dell'estensione del profilo oggettivo del sindacato di legittimità costituzionale, sulla Corte non può che incombere la preoccupazione di applicare un'interpretazione ancor più rigorosa e restrittiva dei parametri alla stregua dei quali accordare l'ammissibilità a un tal tipo di questioni di legittimità costituzionale. In altre parole, di fronte a un allargamento potenzialmente sconfinato dell'oggetto del suo sindacato, dal punto prospettico della Corte diventa essenziale che i parametri di queste “anomale questioni” siano tali da poter essere chiamati in gioco soltanto in casi davvero eccezionali, altrimenti la Corte stessa rischierebbe di essere travolta da un numero enorme di ordinanze che dubitano della compatibilità di una determinata norma di diritto comunitario con i principi supremi dell'ordinamento.

Dopo la riformulazione dei rapporti tra ordinamento costituzionale e ordinamento comunitario che la Corte pone in essere attraverso la sentenza n. 232 del 1989, non si trovano, nella giurisprudenza successiva, novità di paragonabile rilievo, limitatamente ai fini della presente indagine. Tuttavia, il filo del discorso del giudice costituzionale sui principi supremi dell'ordinamento come limite extra moenia, continuerà ancora su due diversi versanti: quello dell'impatto del diritto comunitario sulla distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni e quello della laicità dello Stato, dopo l'approvazione, nel 1984, dell'accordo che apporta modificazioni al Concordato lateranense.

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