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Il breve excursus nella giurisprudenza costituzionale tedesca sembra assai significativo rispetto all'ipotesi di partenza. Il maggiore grado di positivizzazione di quella che si è vista essere – in prospettiva storica – la capostipite di una generazione di “clausole lunghe” di intangibilità, non pare aver affatto impedito una manipolazione interpretativa dei limiti alla revisione costituzionale. Al contrario, si è visto come l'approccio della giurisprudenza costituzionale all'art. 79 III GG ha conosciuto un'evoluzione per molti versi parallela a quella della giurisprudenza costituzionale italiana sui principi supremi dell'ordinamento, che

Heidelberg, agg. 2003.

37§ 218, 2 BvE 2/2008 (cd. Lissabon Urteil). Il volo pindarico a cui il BVerfG destina l'art. 79 III, che dal

divieto di instaurazione di una dittatura nazista giunge ai limiti dell'integrazione dell'Unione europea, è sottolineato da C. SCHÖNBERGER, Lisbon in Karslruhe: Maastricht's Epigones At Sea, in German Law

Journal, 2009, Vol. 10, No 8, 1208: «A provision that the framers of the Basic Law considered a last

guarantee against the pseudo‐legal transition to a dictatorship becomes, in the interpretation of the Court, an instrument to potentially censure any further step towards European integration. But the Court does not provide any argument for putting both situations on the same level» e da D. HALBERSTAM- C. MÖLLERS, The German Constitutional Court says “Ja zu Deutschland!” , ivi, 1254: «Article 79(3) was not meant to protect Germany against Europe. It was meant to prevent the German state from a new 1933, from a slow slippage into totalitarianism without an obviously illegal break. [...]. It is thus highly dubious that Basic Law Article 79(3) was meant to preserve the sovereignty of the German state within the process of European integration».

pure si è mossa nel silenzio del testo della Costituzione.

L'assonanza ha assunto le forme di una certa svalutazione della funzione originaria dei principi immodificabili, pensata come argine materiale agli emendamenti costituzionali, e dall'altra parte si è concretizzata – in entrambi gli ordinamenti – in una rivalutazione dei medesimi principi nella nuova funzione di argini alle modificazioni derivanti dal processo di integrazione europea. Nel caso dell'ordinamento tedesco, come si è visto, è stata ancora più evidente, fino a diventare positivamente tangibile, la progressiva estensione della categoria dei limiti alla revisione costituzionale a quella dei controlimiti: l'estensione, dapprima di matrice giurisprudenziale, ha ricevuto infatti l'avvallo del legislatore costituzionale, che l'ha espressamente contemplata nel testo del GG, rinviando all'art. 79 III GG (limiti alla revisione) nella clausola di apertura dell'ordinamento (art. 23 GG, c.d. Europaartikel), sulla quale si fonda l'adesione della Repubblica federale tedesca all'Unione europea.

Il grado di positivizzazione dei limiti alla revisione costituzionale non sembra quindi determinante per garantirne una maggiore o minore operatività alla prova di un approccio empirico. Sembra valere, per i limiti alla revisione, quanto osservato da Vezio Crisafulli in riferimento ai principi generali dell'ordinamento, ossia «l'indipendenza logica del concetto dalla disposizione»38 che li enuncia.

Tanto in Italia, ove la giurisprudenza stessa ha dato il contributo decisivo per la “invenzione” stessa della categoria, quanto in Germania, ove i limiti alla revisione possono invece essere da chiunque letti nel testo del GG, la manipolazione interpretativa di detti limiti ha finito per ridurne le possibilità applicative intra moenia. Si potrebbe cercare di ricollegare tale volontà, volta a minimizzare l'operatività interna dei principi immodificabili dell'ordinamento, a ipotetiche spiegazioni strutturali: nell'ordinamento italiano, ad esempio, alcuni autori hanno messo in luce la difficoltà pratica di dare garanzia ai principi supremi dell'ordinamento contro l'eventuale volontà difforme del legislatore costituzionale39. I meccanismi di giustizia costituzionale, anche se astrattamente

38Ci si riferisce qui alle considerazioni svolte dall'insigne autore in riferimento al concetto di principi

generali di diritto, allora espressamente contemplati dall'art. 3 delle disposizioni preliminari al codice civile del Regno d'Italia del 1865, il quale articolo – ad avviso di Crisafulli – «non dice affatto che i principi generali siano sempre e necessariamente inespressi né indica comunque la via da seguire per identificarli, ma si limita a rinviare ad essi l'interprete, presupponendone l'esistenza e la conoscibilità:

tanto è vero, che di principi generali si parla, non di rado, (come si è visto) anche nella dottrina relativa a ordinamenti nei quali manca una disposizione simile a quella del nostro art. 3, confermandosi, così, di

riflesso, l'indipendenza logica del concetto dei principi generali da tale disposizione»: V. CRISAFULLI,

Per la determinazione del concetto dei principi generali del diritto, Pisa, 1941, 202-3 [enfasi aggiunta].

Le argomentazioni di Crisafulli sembrano calzare perfettamente, mutatis mutandis, alla comparazione degli ordinamenti che dispongono limiti articolati e testuali alla revisione costituzionale, e ordinamenti – come quello italiano – silenti (o quasi) sul punto.

39Cfr. M. MAZZIOTTI DI CELSO, Principi supremi e forma di Stato, in Dir. Soc., 1996, 312 ss. e F.

idonei al fine, rendono effettivamente improbabile che un organo, privo di legittimazione popolare, quale la Corte italiana, si spinga fino ad annullare una deliberazione adottata con il voto favorevole dei 2/3 delle Camere, oppure mediante l'approvazione referendaria40. Le stesse ragioni potrebbero così spiegare

invece la maggiore spregiudicatezza della giurisprudenza costituzionale in materia di controlimiti, considerato che in quel caso non è il legislatore costituzionale il soggetto la cui volontà verrebbe vanificata dalla censura della Corte, bensì un “legislatore esterno” (concordatario, europeo o internazionale, nel caso della teoria dei controlimiti della Corte italiana). Verso tale soggetto le perplessità concernenti la legittimazione democratica valgono probabilmente di meno, anche se forse da un punto di vista (ormai) solo meramente retorico41.

onore di Gianni Ferrara, Vol. II, Torino, 615 ss.

40Non rientra tra gli obiettivi di questo lavoro affrontare la questione della natura della legittimazione

della Corte, né quello della ricerca di metro idoneo a misurare il deficit democratico degli ordinamenti (cfr. nota successiva). Il problema tuttavia si manifesta come una sottospecie drammatica della più ampia contrapposizione delle tesi “democratiche”, da una parte, e “garantiste” dall'altra, dei rapporti tra legislatore ordinario e Corte costituzionale, che nasconde radici lontane (la contrapposizione Constant- Sieyes e quella parallela degli autori dei paper del Federalist) e sul quale la letteratura è sconfinata: ex

plurimis, C. MEZZANOTTE, Corte costituzionale e legittimazione politica, Roma, 1984; F.

MODUGNO, Corte costituzionale e potere legislativo, in AA.VV., Corte costituzionale e sviluppo della

forma di governo in Italia, Bologna, 1982, 19 ss; G. ZAGREBELSKY, La Corte costituzionale e il legislatore, ivi, 103 ss; ID., Come giudica la Corte costituzionale?, in ID., Intorno alla legge, Torino,

2009, 303 ss; L. PEGORARO, La Corte e il Parlamento, Padova, 1987; M. LUCIANI, Giurisdizione e

legittimazione nello stato costituzionale di diritto (ovvero: di un aspetto spesso dimenticato del rapporto fra giurisdizione e democrazia), in Studi in onore di Leopoldo Elia, I, Milano, 1999, 883 ss; E. GROSSO, Parlamento e Corte costituzionale, in L. Violante (a cura di), Storia d’Italia, Annali 17, Il Parlamento,

Torino, Einaudi, 2001, 443 ss.; R. BIN - C. BERGONZINI, La Corte Costituzionale in Parlamento, in R. BIN - G. BRUNELLI - A. PUGIOTTO (a cura di), "Effettività" e "seguito" delle tecniche decisorie della

corte costituzionale, Napoli, 2006, 215 ss; C. TRIPODINA, “La giustizia costituzionale a una svolta” vent'anni dopo, Relazione al Seminario annuale del gruppo di Pisa, 2010, in corso di stampa e già su

www.gruppodipisa.it.

41Sarebbe impensabile affrontare qui il tema della legittimazione democratica degli attori costituzionali (e

dei loro prodotti normativi), accennato nel testo: è forse opportuno aggiungere soltanto un cenno sulla difficoltà di misurare con rigore la legittimazione democratica alla base dei diversi oggetti normativi che vengono in rilievo nella trattazione. Sembra infatti potersi pacificamente ammettere che il procedimento di revisione costituzionale è astrattamente idoneo a fornire gli atti che ne risultano di una legittimazione popolare relativamente maggiore rispetto ai prodotti della legislazione ordinaria: così sarebbe sicuramente nel caso in cui in seconda lettura il testo venga approvato nelle Camere da una maggioranza superiore ai 2/3, evitandosi il ricorso al referendum, oppure ove il referendum si svolgesse effettivamente, raccogliendo un esteso consenso. È però anche possibile che le leggi di revisione costituzionale vengano approvate a maggioranza assoluta (si pensi alla riforma del titolo V del 2001, e quella dell'intera Parte II del 2005, poi vanificata dall'esito del referendum tenutosi l'anno successivo, approvate – rispettivamente – con 4 e 8 voti di scarto tra favorevoli e contrari) ed è poi possibile che la consultazione popolare non si svolga, oppure si svolga e raccolga un consenso tutt'altro che consistente (vuoi per la distribuzione delle preferenze tra il Si e il No, vuoi per la scarsa partecipazione che, in assenza del requisito del quorum, non inficia la validità della consultazione). L'assestamento dell'ordinamento italiano verso sistemi elettorali

Si potrebbe continuare a speculare a lungo sulle possibili cause di un approccio interpretativo della giurisprudenza costituzionale, che si rivela empiricamente così diverso, ove venga riferito ai limiti alla revisione oppure ai controlimiti. Tuttavia non sembra che ciò possa condurre a esiti rilevanti per il discorso che in queste pagine si sta conducendo, per il quale potrà essere sufficiente prendere atto della divergenza rilevata.

L'aspetto sul quale invece interessa tornare è l'insensibilità della problematica dei limiti alla revisione costituzionale alla loro inclusione positiva nel testo della Costituzione: l'esempio tedesco conduce infatti a ritenere che l'oscillazione interpretativa conosciuta dalla giurisprudenza italiana non si possa imputare alla povertà di appigli testuali nella Carta fondamentale. Ciò, d'altronde, potrebbe indurre a dare una collocazione della tematica dei principi supremi al di fuori del diritto positivo: i principi immodificabili dell'ordinamento sarebbero una reviviscenza del diritto naturale, da collocarsi nel quadro di una forte espansione nel costituzionalismo del secondo dopoguerra, non a caso proprio in seguito a una fase di crisi del giuspositivismo, radicata sulle esperienze totalitarie del primo dopoguerra.

Rifugiarsi in una pretesa fattura giusnaturale dei principi supremi dell'ordinamento sembra oggi, tuttavia, quantomeno anacronistico. Al contrario, collocando i principi supremi nel quadro della complessiva evoluzione della teoria generale dei principi42, sembra di potersi affermare il contrario: non solo i

principi supremi, bensì i principi costituzionali tout court sembrano infatti aver vinto la diffidenza giuspositivistica che ne contestava il carattere di “autentiche” norme giuridiche. Non senza fatica. Basti ricordare la controversia sulle norme

che provocano un'accentuata distorsione in senso maggioritario del quadro politico rende ancor più probabile che il procedimento di revisione costituzionale garantisca soltanto un formale aggravamento procedurale dell'approvazione, senza necessariamente prevedere un coinvolgimento di una maggioranza politica che rappresenta un settore più ampio del pluralismo sociale. Per quanto concerne la legittimazione democratica nel circuito dei controlimiti, la letteratura sul deficit democratico dell'Unione europea è ormai sterminata, e in una certa parte (che qui si condivide pienamente) tende sempre più a smascherare il carattere di luogo comune dell'immagine del deficit democratico a livello europeo: se infatti a livello sovranazionale l'evoluzione dei processi decisionali si muove in direzione di un coinvolgimento sempre maggiore del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali, l'ordinamento italiano conosce un esautoramento progressivo e costante del Parlamento dalla sua tipica funzione legislativa. Cfr. ex plurimis, J. HABERMAS, Why Europe needs a Constitution?, in D. ROGOWSKI - C. TURNER, The shape of the new Europe, Cambridge, 2006, 25 ss.; C. PINELLI, Il deficit democratico

europeo e le risposte del trattato di Lisbona, in Rass. Parl., 2008, n. 4, 925 ss.; G. D. MAJORRRE, Europe's “Democtac Deficit”: the question of Standards, in European Law Journal, 1998, 28 ss.

42Per un'autorevole ricostruzione della contesa tra positivismo giuridico e «dottrina dei principi», cfr. G.

ZAGREBELSKY, Intorno alla legge, cit., 85 ss. nonché per una recente ricostruzione dei tentativi di collocare il (neo)costituzionalismo stesso nella grande famiglia del giusnaturalismo, si veda L. FERRAJOLI, Costituzionalismo principalista e costituzionalismo garantista, cit., specie 2776 ss.

costituzionali di principio43, aventi efficacia meramente programmatica secondo

una certa concezione44, ed efficacia direttamente precettiva secondo una diversa

impostazione, accolta infine dalla giurisprudenza costituzionale45. Come

autorevolmente affermato, dietro a tale controversia si nascondeva una questione più generale sul «ruolo della legislazione e, correlativamente, della giurisprudenza rispetto alla determinazione del diritto»46. L'affermazione del

carattere pienamente normativo dei principi, e la loro diretta applicabilità, ne comporta la collocazione a pieno titolo nel diritto positivo, e allo stesso tempo comporta il ridimensionamento del ruolo del legislatore, non più depositario esclusivo del diritto come lo era nello Stato di diritto liberale. Ma, per quanto concerne i principi enunciati nella costituzione, ciò avviene proprio sulla scorta della convinzione che «la Costituzione è una legge»47.

Non può quindi ignorarsi che è in questo solco che sorgono le teorie dei principi supremi nell'ordinamento italiano. Rispetto agli “ordinari” principi costituzionali, però, il loro significato è ancor più dirompente. Affermare che la costituzione stessa sia sottoposta a un nucleo di principi immodificabili ridimensiona il ruolo dello stesso legislatore costituzionale, e della medesima costituzione (in quanto legge): se dei principi costituzionali “ordinari” poteva arrivarsi a dimostrare la precettività in quanto «la Costituzione è una legge», lo stesso non può dirsi per i principi supremi. Questi, infatti, non fondano la loro autorità nel carattere legislativo dell'atto che li veicola, e anzi l'esperienza tedesca – per come sopra riferita – sembra dimostrare che le vicende dei limiti alla revisione costituzionale procedono indipendentemente dalla cornice legislativa-costituzionale che eventualmente li contempli.

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