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4. Uno sguardo al parametro delle questioni: (non chiedere mai) quali sono

4.2. Il principio di eguaglianza

La collocazione del principio di eguaglianza tra i principi supremi dell'ordinamento è spesso data per scontata, tanto dalla dottrina175, quanto dalla giurisprudenza della

Corte costituzionale: apparentemente, in già alcune risalenti pronunce sembrano infatti trovarsi elementi per includere il principio di eguaglianza tra i principi supremi dell'ordinamento. La sentenza n. 25 del 1996 lo qualificava come «principio generale che condiziona tutto l'ordinamento nella sua obiettiva struttura»; la già citata sentenza n. 175 del 1971 organizzava l'ordine delle questioni da affrontare «[m]uovendo dal rilievo della sussistenza di una gerarchia fra norme e norme della stessa Costituzione», al cui vertice veniva posto il principio di eguaglianza; la famosa sentenza n. del 1146 del

171L. DANIELE, Costituzione italiana ed efficacia nel tempo delle sentenze, cit., 1189. 172Corte costituzionale, sentenza n. 5 del 1965 (punto 3 del c.i.d.).

173Corte costituzionale, sentenze nn. 5 del 1965; 55 del 1971; 175 del 1970; 126 del 1971; 177 del 1974;

98 del 1977; 225 del 1984; 226 e 300 del 1984; 345 del 1987.

174Corte costituzionale, già sentenza n. 5 del 1965 (punto 3 del c.i.d.).

175L'eguaglianza è descritta da alcuni autori come una «supernorma» (C. MORTATI, Istituzioni di diritto

pubblico, II, IX ed., Padova, 1976, 1023); o come un «principio generalissimo» (M. MAZZIOTTI DI

CELSO, Lesioni di diritto costituzionale, II, Milano, 1993, 71), oppure ancora come «nucleo forte di un principio più vastamente applicabile» (A. CERRI, L'uguaglianza nella giurisprudenza della Corte

costituzionale, Milano, 1976, 63); o ancora più direttamente come «principio supremo, implicito

nell'assetto stesso dell'ordinamento, assolutamente non messo più in discussione, di là da ogni considerazione di diritto positivo circa la sua immodificabilità o lo sottrazione a revisione costituzionale» (A. CELOTTO, Art. 3, in R. BIFULCO - A. CELOTTO - M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla

Costituzione, Torino, 2006, 68); critico verso questo atteggiamento è M. MAZZIOTTI DI CELSO, Principi supremi dell'ordinamento costituzionale e forma di Stato, cit., 306, secondo il quale, riguardo al

problema dell'individuazione dei principi supremi, «[s]embra ovvio che ne faccia parte il principio di eguaglianza», salvo poi, secondo un'indagine approfondita della giurisprudenza della Corte, essere diverse volte smentiti.

1988, architrave della dottrina della Corte costituzionale sui principi supremi come limite alla revisione costituzionale, muoveva proprio dalla supposta violazione «del principio supremo dell'ordinamento costituzionale sancito dall'art. 3 della Costituzione (principio di eguaglianza)»176; e ancora la sentenza n. 15 del 1996, includeva il principio

di eguaglianza tra quei principi «talora definiti “supremi”, che qualificano indefettibilmente e necessariamente l'ordinamento vigente»177. Si tratta a ogni modo di

affermazioni piuttosto generiche, ospitate all'interno di pronunce di rigetto o di inammissibilità, e collocate al di fuori del cuore motivazionale delle decisioni. Pertanto sembrano poco utili a capire se e in quale estensione il principio di eguaglianza venga collocato dalla Corte tra i principi supremi dell'ordinamento. Anche perché, già a partire dalle pronunce dei primi anni '70, si è visto come la giurisprudenza della Corte ha offerto, allo stesso tempo, argomenti che volgono in senso diametralmente opposto: i principi supremi dell'ordinamento venivano, infatti, altrove costruiti come limite esterno alla derogabilità del principio d'eguaglianza178, derogabilità che la Corte sembrava

disposta ad ammettere ogniqualvolta la medesima Costituzione179 lo consentisse.

Assonanze di questa impostazione si ritrovano nella ben più recente sentenza n. 24 del 2004, nella cui motivazione la Corte ha si ribadito che «il principio di eguaglianza rientra tra i principi fondanti della Carta costituzionale», ma in un senso sicuramente diverso rispetto a quello della sua inclusione tra i principi supremi dell'ordinamento, giacché la stessa Corte ha precisato che il medesimo principio è «derogabile solo dalla stessa Costituzione o con modifiche costituzionali adottate ai sensi dell'art. 138 Cost»180.

Ascrivere il principio di eguaglianza tra i principi supremi dell'ordinamento è così difficile, innanzitutto perché è problematico afferrarne l'essenza181. Anche ai fini della

176Corte costituzionale, sentenza n. 1146 del 1988 (punto 1 del c.i.d.). 177Corte costituzionale, sentenza n. 15 del 1996 (punto 2 del c.i.d.).

178«[L]a Corte, nell'ammettere la derogabilità del principio di eguaglianza in quanto venga richiesta dagli

impegni concordatari, ha tuttavia statuito che essa trova un limite inderogabile nel rispetto dei principi supremi dell'ordinamento», Corte costituzionale, sentenza n. 12 del 1975 (punto 3 del c.i.d.).

179Risale a quegli anni il dibattito dottrinale tra chi sosteneva che deroghe al principio di eguaglianza

potessero essere disposte anche da leggi costituzionali, e chi invece riteneva si dovesse tollerare soltanto le deroghe che già trovavano cittadinanza nel testo della Costituzione: cfr., ad esempio, C. ESPOSITO,

Eguaglianza e giustizia nell'art. 3 della Costituzione, in La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954,

32.

180Corte costituzionale, sentenza n. 24 del 2004. Quel che conta non è il fatto che il principio sia

derogabile dalla sola Costituzione o legge costituzionale, ma il semplice fatto che esso non sia inderogabile. La sentenza verteva sulla legge sulla sospensione dei processi per le alte cariche dello Stato, il cd. lodo Schifani: l'occasione era quindi propizia per pronunciarsi sull'estensione del nucleo essenziale del principio costituzionale che andrebbe considerato principio supremo dell'ordinamento. Su questa vicenda (e il suo seguito), cfr. infra, cap. 6, § 4.2, 220 ss.

181La letteratura sul principio di eguaglianza, o anche solo sulla sua progressiva trasformazione

nell'ordinamento costituzionale italiano è sterminata, ma in queste pagine si è fatto riferimento a F. GHERA, Il principio di eguaglianza nella Costituzione italiana e nel diritto comunitario, Padova, 2003, specialmente 29 ss.; A. CERRI, L'eguaglianza nella giurisprudenza della Corte costituzionale: esame

presente indagine, sembra infatti utile perlomeno distinguere tra «nucleo forte» e «ambito allargato di applicabilità» del principio di eguaglianza182. Il primo sarebbe

deducibile dal testo della Costituzione, valorizzandone la formulazione che tipizza le discriminazioni fondate su sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali. Per le norme che contravvenissero a tali “divieti qualificati” di discriminazione sorgerebbe una sorta di «presunzione di irragionevolezza»183: così si

potrebbe parlare, limitatamente all'ambito di tutela offerta dai divieti di discriminazioni tipiche di cui all'art. 3 Cost., primo comma, di un diritto fondamentale alla parità di trattamento, derivato dal nucleo forte del principio. Da ciò andrebbe distinto il principio di eguaglianza come principio di ordine obiettivo, metro di valutazione della coerenza sistematica tra parte e parte dell'ordinamento.

Sembra ragionevole affermare che soltanto inteso nel suo nucleo forte il principio di eguaglianza potrebbe ambire a essere incluso tra i principi supremi dell'ordinamento184:

eppure, anche all'interno dei divieti qualificati di cui all'art. 3 Cost., comma primo, la giurisprudenza della Corte costituzionale mostra di usare un rigore non sempre uniforme nell'esercizio del suo sindacato185.

Si è visto186, concretizzando il discorso, che per quanto concerne le discriminazioni

fondate su ragioni di ordine religioso, la Corte – lungi dall'esercitare uno strict scrutiny

– non esita a giustificare le differenziazioni di trattamento sulla base delle norme

costituzionali di cui all'art. 7 e 8 Cost.: il diverso trattamento, ad esempio, a cui è sottoposto il regime matrimoniale di chi abbia contratto matrimonio concordatario, rispetto a chi abbia contratto matrimonio civile è costituzionalmente legittimo, «volendo rispettare le basi confessionali sulle quali si fonda la dispensa di diritto canonico relativa

analitico ed ipotesi ricostruttive, Milano, 1976; ID., Uguaglianza (principio costituzionale di), in Enc. Giur., Roma, 1994; C. ESPOSITO, Eguaglianza e giustizia nell'art. 3 della Costituzione, cit. 17 ss.; L.

PALADIN, Il principio costituzionale di eguaglianza, Milano, 1965, specie 147 ss. e 170 ss.

182Così A. CERRI, L'eguaglianza nella giurisprudenza della Corte, cit., 65-66, parlava dell'«ipotesi

secondo cui il principio di eguaglianza conterrebbe un «nucleo forte» corrispondente a quella che è stata la sua funzione storica nello Stato liberale e liberal-democratico ed un contenuto più ampio corrispondente all'esigenza attuale di garantire un minimo di razionalità nell'ordine legislativo».

183P. BARILE, Diritti dell'uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, 84.

184Restringe ancor di più il cerchio A. CERRI, L'eguaglianza nella giurisprudenza costituzionale, cit., 64,

secondo il quale «sembra in ogni caso che il principio di cui si tratta assume un rilievo particolare solo quando attiene a fattispecie subiettivizzabili garantite in quanto tali e che solo in tal caso viene a far parte di quel nucleo fondamentale ed irriducibile della Costituzione nel quale si esprime l'essenza del regime in vigore. Solo in tal caso quindi il suo rilievo giuridico potrà in qualche modo considerarsi privilegiato rispetto a quelle delle altre norme costituzionali».

185A. CERRI, Uguaglianza (principio costituzionale di), cit., 5-7, osserva come il rigore del sindacato

della Corte nell'accertare discriminazioni fondate sulla razza o le opinioni politiche, si attenui in relazione alla lingua, alla religione, al sesso, alle condizioni personali e a quelle sociali.

186Mi riferisco alla giurisprudenza in materia di controlimiti concordatari, supra, in questo capitolo, §

agli impedimenti al matrimonio»187 .

Piuttosto complessa è la valutazione del metro di giudizio adottato dalla Corte per sindacare le discriminazioni fondate sul sesso: è nota infatti l'evoluzione della giurisprudenza della Corte costituzionale che, nei primi anni, aveva “salvato” diverse norme che sembravano essere ormai disallineate con l'art. 3 Cost., comma primo, e che soltanto diversi anni più tardi sono state rimosse dall'ordinamento, in parte con l'intervento del legislatore ordinario, in parte attraverso l'overuling delle posizioni della medesima Corte. Senza entrare nei dettagli di questa complessa vicenda, è interessante osservare come il salvataggio, ad esempio, di alcune norme sull'adulterio e su altri aspetti del rapporto coniugali, quali l'art. 144 c.c.188, e gli artt. 559 e 560 c.p.189,

muoveva da una certa lettura di altre disposizioni costituzionali: usando le parole di un illustre commentatore dell'epoca, «sul punto gioverà[giovava] osservare analiticamente che la disposizione dell'art. 29 della Costituzione: «Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare» esclude, anche oggi[ieri] la incostituzionalità dell'art. 144 del codice civile […] e la incostituzionalità degli art. 559 e 560 del codice penale»190.

Analogamente, sulla base di una certa lettura dell'art. 37 Cost. che riconosce la essenziale funzione familiare della donna, si escludeva l'incostituzionalità di quelle normative che distinguevano lavori compatibili con la funzione familiare della donna, da lavori incompatibili «da cui la donna andrebbe tenuta lontana»191.

Vicende simili abbondano nell'esperienza costituzionale, ma questi esempi sono per ora sufficienti a mostrare come la giurisprudenza costituzionale abbia man mano costruito intorno all'art. 3 Cost., primo comma, percorsi interpretativi che hanno coinvolto l'interpretazione di altre disposizioni costituzionali, che per prime si ponevano come ostacolo alla piena esplicazione degli effetti del principio d'eguaglianza. Ciò che qui è interessante osservare, è il fenomeno per cui il riconoscimento degli effetti che, anche solo a livello interpretativo, l'art. 3 Cost., primo comma, poteva dispiegare sugli

187Corte costituzionale, sentenza n. 31 del 1971 (c.i.d., terzo capoverso).

188L'art. 144 c.c., nella formulazione originaria del codice civile, stabiliva che «la moglie assume il

cognome del marito e è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli crede di fissare la sua residenza». La formulazione, oggi non più vigente, mantiene un'eco normativo nell'art. 143 bis («La moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze»): di quest'ultima norma è stata già peraltro accertata dalla Corte costituzionale il disallineamento rispetto al quadro costituzionale, senza che ne sia stata dichiarata l'incostituzionalità poiché – ad avviso della Corte – le soluzioni costituzionalmente ammissibili sarebbero molteplici e spetterebbe dunque al solo legislatore scegliere tra esse (ex plurimis, sentt. n. 145/2007 e 61/2006 seppure con riferimento alla trasmissione del cognome ai figli).

189La normativa sanzionava penalmente la donna per il semplice adulterio, mentre prevedeva per gli

uomini la sola fattispecie del concubinato, muovendo dall'idea di una particolare gravità del tradimento della donna.

190C. ESPOSITO, La Costituzione italiana, saggi, art. 3, cit., 46. 191Ibidem, 47.

artt. 29 e 37 Cost., negli esempi sopra citati, si è affermato man mano in un lento processo, e non è derivato da una sorta di prevalenza statica del principio d'eguaglianza su altri principi costituzionali, che invece si potrebbe essere indotti a dedurre dall'inclusione del primo tra i principi supremi dell'ordinamento192.

In tempi più recenti il principio di eguaglianza, nonostante l'inequivocabile formulazione dell'art. 3 Cost. che fa riferimento ai soli «cittadini», è stato ritenuto applicabile, almeno in parte, anche ai non cittadini. In particolare, almeno in riferimento alla titolarità193 dei diritti costituzionali, non solo la giurisprudenza della Corte ha

ritenuto irrilevante il lessico costituzionale, ma ha utilizzato un metro di scrutinio a volte più stringente rispetto ad alcuni dei divieti di discriminazioni tipici di cui all'art. 3 Cost., comma primo: in una recente sentenza i giudici di Palazzo della Consulta hanno chiaramente affermato che «la condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti [fondamentali] – come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi, specie nell’ambito del diritto penale»194. La giurisprudenza della Corte sul punto era peraltro già ben guarnita:

già a partire dalla sentenza n. 62 del 1994 la Corte aveva infatti chiarito che «il principio costituzionale di eguaglianza in generale non tollera discriminazioni fra la posizione del cittadino e quella dello straniero». Con la sentenza Corte n. 249 del 2010 la Corte, dichiarando l'illegittimità costituzionale della norma che introduceva una circostanza aggravante comune fondata sul soggiorno irregolare sul territorio dello Stato (cd. aggravante di clandestinità), continua dunque quel discorso, affermando che una norma limitativa di un diritto fondamentale «deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo sufficiente, ai fini del controllo sul rispetto dell’art. 3 Cost., l’accertamento della sua non manifesta irragionevolezza»195.

Questo quadro rischia però di fornire un'immagine troppo brillante della giurisprudenza della Corte costituzionale, dipingendo un'incondizionata estensione dell'applicazione del principio di eguaglianza ai non cittadini, almeno limitatamente alla

192Il processo di espansione interpretativa dei divieti qualificati di cui all'art. 3 Cost., comma primo,

sull'interpretazione di altre disposizioni costituzionali concernenti la famiglia, è da molti autori invocato in riferimento alla vicenda del matrimonio tra persone dello stesso sesso, sul quale la Corte si è pronunciata (negando tale espansione interpretativa), con la sentenza n. 138 del 2010. Sulle posizioni della dottrina si veda, R. BIN - G. BRUNELLI - A. GUAZZAROTTI - A. PUGIOTTO - P. VERONESI (a cura di), La «società naturale» e i suoi "nemici". Sul paradigma eterosessuale del matrimonio, Torino, 2010 (e-book).

193Altro discorso andrebbe fatto in ordine al godimento dei medesimi diritti. Una cosa è riconoscere la

titolarità di un diritto, altra cosa, si è osservato, è riconoscere l'effettivo godimento: la scissione è analizzata – in riferimento al riconoscimento del diritto alla tutela giurisdizionale ai non cittadini – da A. PUGIOTTO, «Purché se ne vadano», La tutela giurisdizionale (assente o carente) nei meccanismi di

allontanamento dello straniero, Relazione al convegno annuale dell’A.I.C, Lo statuto costituzionale del non cittadino, Cagliari, 16-17 ottobre 2009, in Dir. Soc., 2009, 3-4, 483 ss.

194Corte costituzionale, sentenza n. 249 del 2010 (punto 4.1 del c.i.d.). 195Corte costituzionale, sentenza n. 249 del 2010 (punto 4.1 del c.i.d.).

titolarità dei diritti fondamentali: se la titolarità dei diritti fondamentali è pacificamente riconosciuta, diverse ipotesi di trattamento discriminatorio rientrano dalla finestra, dando rilievo a una «differenza di situazioni di fatto e di connesse valutazioni giuridiche»196, che finiscono per fondare legislativamente, con un micidiale circolo

vizioso, la giustificazione di scelte legislative di differenziazione di trattamento giuridico tra cittadini e non cittadini197.

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